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La Repubblica Rassegna Stampa
20.08.2023 Pakistan, odio sui cristiani
Cronaca di Carlo Pizzati

Testata: La Repubblica
Data: 20 agosto 2023
Pagina: 15
Autore: Carlo Pizzati
Titolo: «Pakistan, odio sui cristiani in fiamme chiese e case: “Erano senza pietà”»

Riprendiamo da REPUBBLICA di oggi, 20/08/2023, a pag.15 con il titolo "Pakistan, odio sui cristiani in fiamme chiese e case: “Erano senza pietà” ", la cronaca di Carlo Pizzati.

Pakistan, la conta dei danni della furia dei musulmani contro le chiese di  Jaranwala. Sono 146 gli arresti - la Repubblica

CHENNAI — Dopo le 10 ore di inferno per la comunità cristiana della città di Jaranwala, nel Pakistan orientale, presa di mira due giorni fa da cinquemila musulmani armati di sbarre, bastoni e spade, ora tra le macerie fumanti di 19 chiese, 87 case di cristiani e quelle di un cimitero cristiano si fa l’inventario di un’esplosione di rabbia che sembrerebbe innescata ad arte da alcune pagine del Corano imbrattate da insulti addebitati in modo poco credibile a due cristiani. «Hanno spaccato porte e finestre, rubando frigoriferi, divani, poltrone e suppellettili buttati in un rogo di fronte alle chiese», ha raccontato Yassir Bhatti, un trentenne dalla comunità cristiana di Jaranwala. «Hanno dissacrato e bruciato molte Bibbie. Erano senza pietà». Molti video hanno documentato la furia dei giovani musulmani in questa città nella provincia di Faisalaban, nel Punjab pakistano, non lontano dal confine con l’India. Alcuni vandali hanno abbattuto un tetto con la croce, facendo crollare mattoni e travi, dando alle fiamme tutto ciò che potevano bruciare in una furia che appare pilotata. Negli ultimi giorni sono stati arrestati 128 musulmani, identificati grazie ai video sui social e alla geolocalizzazione degli smartphone. Indagato anche un mullah con l’accusa, assieme ad altri 12 musulmani, d’aver incitato la folla con gli altoparlanti. Agli arresti pure i due fratelli cristiani accusati d’aver innescato lo scontro. Ora nel Punjab più di 3200 chiese sono protette da agenti di polizia per evitare che si arrivi ai linciaggi, tra le proteste della comunità cristiana, appena il 2% della popolazione del Pakistan, cristiani che ora si sentono cittadini di «seconda categoria», come ha dichiarato l’arcivescovo di Karachi, Benny Travas. La miccia che ha fatto infuriare la massa sono alcune pagine del Corano imbrattate da scritte insolenti fatte con un pennarello rosso ed abbandonate in modo plateale nelle vicinanze del quartiere cristiano. Come se non bastasse, spillata a una delle pagine sacrileghe - in un Paese dovedagli anni Ottanta la blasfemia è punita con la pena di morte, anche se finora non è stata applicata - c’erano addirittura i nomi, gli indirizzi e il numero delle carte di identità dei due fratelli arrestati, dettaglio alquantobizzarro. Il capo della polizia provinciale Usman Anwar dice che sta indagando per capire come mai gli indagati di blasfemia abbiano attaccano i propri nomi e indirizzi alle pagine incriminate. Lo stesso poliziotto ha dichiarato che i suoi agenti sono rimasti a guardare lo scempio in atto senza intervenire «per non esacerbare la rabbia dei manifestanti ed evitare spargimenti di sangue». Appare evidente che un episodio del genere, come accade di frequente in Pakistan, serve più che altro a coprire vendette personali e regolamenti di conti che nulla hanno a che vedere con la religione, ma sono legati piuttosto alla riscossione di pagamenti, a insulti e offese tra individui, a conflitti alla cui radice si individuano interessi economici, più che contrasti religiosi. Nel 2021 fu assalita una fabbrica di articoli sportivi a Sialkot, sempre nel Punjab pakistano, dove lavorava un operaio dello Sri Lanka bruciato vivo con l’accusa di blasfemia, mentre nel 2009 a Gojra furono uccisi sei cristiani e bruciate 60 case di cristiani. Ed ora i roghi di Jaranwala. Ma questi attacchi, con la serpeggiante radicalizzazione dell’elettorato pakistano, rischiano d’essere sempre più frequenti. Fonti governative hanno dichiarato che a guidare la protesta sono stati visti esponenti del Tehreek-e-Labbaik Pakistan o Tlp, il partito islamico spesso coinvolto in queste proteste. I portavoce del Tlp hanno negato ogni coinvolgimento, mentre il Primo Ministro ad interim, in attesa delle elezioni, Anwar ul-Haq Kakar ha registrato le proteste di rito, promettendo che i colpevoli di blasfemia verranno puniti, oltre a chi ha perpetrato le violenze in ritorsione all’insulto. «La società pakistana ha subito una crescente frammentazione guidata da un aumento del divario economico che ha portato a un’impennata di violenze contro le minoranze religiose», spiega Iftekharul Bashar, ricercatore della Rsis, centro studi sulla violenza politica e religiosa nel Sud asiatico. «L’emergenza di fazioni militanti e di vigilantes in Pakistan, gruppi finanziati generosamente e in modo evidente, ha contribuito a questa tendenza che non accenna a fermarsi».

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