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La Stampa Rassegna Stampa
16.07.2023 Amore e morte a Tel Aviv, la storia mai raccontata dei gay in fuga dalla Palestina
Mario Baudino recensisce il romanzo di Cinzia Leone

Testata: La Stampa
Data: 16 luglio 2023
Pagina: 29
Autore: Mario Baudino
Titolo: «Amore e morte a Tel Aviv la storia mai raccontata dei gay in fuga dalla Palestina»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 16/07/2023, a pag.29, con il titolo "Amore e morte a Tel Aviv la storia mai raccontata dei gay in fuga dalla Palestina" il commento di Mario Baudino.

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Mario Baudino

Vieni tu, giorno nella notte, perché tu riposerai sulle ali della notte più bianco che neve fresca sulla groppa d'un corvo», chiede l'innamorata nel Giulietta e Romeo shakespeariano. E Vieni tu giorno nella notte è anche il titolo del recente romanzo di Cinzia Leone (Mondadori): dove l'invocazione assume un senso più ampio, e soprattutto non solo amoroso. Racconta ciò che resta di un amore fra un giovanissimo italiano che ha scelto Israele, prestando servizio militare, e un ragazzo palestinese fuggito da Jenin e dal clima di violenza, ricatto, intimidazione contro gli omosessuali come lui. Ma anche molto altro. Jenin, a poca distanza dalla frontiera, è la città da cui proviene la maggioranza degli attentatori suicidi; una città di duri scontri appena infiammata, per l'ennesima volta, questo non è il romanzo ma la cronaca, dalla violenza e dalla morte. Ma quanto è accaduto ora non è tanto diverso da quanto narra il libro, perché la trama ne conferma quantomeno le dinamiche. Ariel, protagonista per assenza, muore nelle prime pagine tentando di bloccare un terrorista kamikaze in un bar di Tel Aviv; a Jenin, dove il terrorista viene celebrato come un eroe, verrà individuato e arrestato con un blitz dell'esercito israeliano il mandante, questa volta senza ulteriori vittime.

Due chiacchiere con lo scrittore
Cinzia Leone

Non è però questo il cuore del romanzo, questo è semmai il dominio della notte che Cinzia Leone vorrebbe trafiggere. Il cuore del romanzo è la storia di un incontro: quello fra le persone più diverse che a poco a poco si raccolgono intorno al ricordo di Ariel, e scoprono di lui aspetti fino a quel momenti ignoti. Il loro è un percorso di conoscenza; si aprono a una crisi che pur non cancellando il dolore le arricchirà umanamente – anche se non tutte. E alcuni di loro, soprattutto, scoprono finalmente Israele, un paese fino a quel momento estraneo se non guardato con diffidenza – e dopo l'attentato quasi con rancore - dalla madre e dal padre del ragazzo. Arrivano l'una da Roma l'altro da Milano, non si sentono ebrei se non «per caso», hanno un rapporto difficile con la nonna Stella, lei sì sionista storica a lungo vissuta in un kibbutz. Soprattutto, non hanno mai nemmeno intuito l'omosessualità di Ariel. E poi c'è Tariq, il compagno di Ariel, che in Israele è riuscito fortunosamente a riparare, ma vive da clandestino; e molti altri ancora, gente comune, volontari, fruttivendoli, rabbini, naturalmente soldatesse e soldati. Siamo a un romanzo corale, che esplora estesamente anche il Paese: ad esempio, una casa protetta per minorenni palestinesi gay o, alla fine, il celebre Pride di Tel Aviv, o ancora i volontari che dopo un attentato si precipitano sul luogo della strage per soccorrere le vittime e poi lavorare con infinita pazienza e pietà a rimettere insieme i poveri resti. Nel caso di Ariel, che è morto quasi abbracciato al kamikaze, è molto difficile ormai distinguere ciò che resta dell'uno e dell'altro. L'attesa si fa lunga, e quest'attesa è il romanzo stesso, che dura quanto il ciclo lunare (e forse non a caso mestruale), 28 giorni. Solo alla fine tutto sarà molto più chiaro: la vita vera di Ariel e di Tariq, quella delle loro madri, quella della nonna Stella, che nel frattempo hanno rivelato molto di sé quasi trovando una sorta di pacificazione con la memoria, se pure o forse proprio perché irradiate dal dolore dell'assenza. «Dalla tragedia che li ha fatti incontrare – scrive Cinzia Leone descrivendo una serata insieme dei personaggi principali - sono passati solo pochi giorni atroci che ciascuno nasconde nel buio dei propri pensieri. La vita non cancella il dolore ma pretende di scavalcarlo. Almeno per una sera». Le madri – ce ne saranno ancora, inattese, prima dello scioglimento finale – sono le vere eroine del romanzo, le custodi della vita; mentre i padri, sia quello milanese sia molto di più quello palestinese, restano chiusi ostinatamente o ferocemente nei loro pregiudizi. Vieni tu giorno nella notte è una sorta di trenodia che si fa narrazione, con un linguaggio alto e spesso solenne, che si scioglie periodicamente nella conversazione e si direbbe nell'autocoscienza. Ed è un romanzo, a tutto dire, commovente, una poesia del lutto e dell'amore: ma anche un libro che insegue i segni di un'utopia della libertà («Abbiamo perduto tutto, almeno tu difendi i tuoi sogni», dice la mamma palestinese a Tariq che è incerto se andare al Gay Pride) e di una pace giusta. Ariel e Tariq non sono Giulietta e Romeo se non perché amano qualcuno che altri, non loro, potrebbero considerare il nemico. Il rapporto è difficile o persino inopportuno – ne è convinto persino Tariq -, ma non clandestino perché non è vietato né tantomeno perseguito. Stella, la nonna sionista che a tratti sembra incarnare la voce del Paese stesso, dei suoi ideali e della sua storia, lo accetta e lo protegge senza discussione. C'è in Vieni tu giorno nella notte un'idea trainante di Israele «paese complicato ma in continuo mutamento», come dice ancora Stella alla madre di Tariq. E un'idea di democrazia e di convivenza, nonostante, aggiunge, il «fuoco amico»: per arginare il quale, da Tel Aviv a Gerusalemme, la gente scende in piazza.

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