La doppiezza di Erdoğan nello scenario internazionale
Analisi di Antonio Donno
Recep T. Erdoğan
Mentre la Nato sta compiendo passi politico-militari di estrema importanza nel Nord Europa, mettendo in grave difficoltà la Russia di Putin, lo stesso non si può dire per la regione del Mediterraneo orientale, dove la Turchia di Erdoğan rappresenta un blocco, insieme a Iran e Russia, che svolge una azione politico-militare in qualche modo contraria rispetto a quella che la Nato, di cui la Turchia fa parte, svolge nell’Europa del Nord. Se la Nato, al nord, con l’ingresso di Finlandia e Svezia, si contrappone alla Russia anche in funzione dell’opposizione che le potenze occidentali operano nei confronti dell’invasione russa dell’Ucraina, al sud la Nato è passiva verso la politica mediorientale del trio Turchia-Russia-Iran. Questa è una delle preoccupazioni principali del governo di Netanyahu in Israele.
Dopo il fallimento, abilmente ricercato da Teheran, dei negoziati di Vienna, l’Iran di Raisi è libero di agire nel Medio Oriente e di accrescere lo sviluppo del proprio programma nucleare. La Turchia di Erdoğan fornisce all’Iran una sorta di scudo politico protettivo verso le posizioni critiche – in verità, sempre più deboli – dell’Occidente verso il progetto nucleare iraniano, volto alla distruzione di Israele. Non è un caso che Teheran fornisca danaro e armi in gran quantità ai gruppi terroristici anti-israeliani (Hezbollah, Jihad islamica, Hamas) che sono disposti intorno allo Stato ebraico e attendono il momento – se mai ci sarà – di attaccare Israele, insieme all’Iran, in un cordone bellico che avvolgerebbe Israele. In sostanza, nel Medio Oriente la partecipazione della Turchia alla Nato fornisce a Erdoğan lo strumento politico per agire nella regione senza sostanziali opposizioni. L’adesione di Ankara alla Nato è un prezioso jolly nelle mani di Erdoğan, a partire dall’inizio della sua presidenza, più di vent’anni fa. Il presidente turco usa questo jolly con grande destrezza e soprattutto senza remore verso i suoi alleati Nato.
Tutto questo, nonostante la disastrosa situazione economica di Russia, Turchia e Iran. Le proteste che si sono avute soprattutto nelle città iraniane non hanno prodotto alcun cambiamento, mentre in Russia e in Turchia il controllo sociale è ferreo. La povertà crescente nei tre paesi non produce un’opposizione organizzata, al di là delle rivolte saltuarie represse nel sangue. È difficile dire quando la miseria popolare potrà produrre rivolgimenti significativi. In Turchia le scorse elezioni hanno dato vita a un’opposizione di notevoli proporzioni, ma Erdoğan l’ha spuntata nuovamente, anche se di stretta misura. Il controllo politico-sociale in Russia, Iran e Turchia è ancora solido.
Israele, in questa situazione, deve contare esclusivamente su se stesso. Gli Stati Uniti, come si è detto più volte, sono pressoché assenti dallo scenario mediorientale. I gruppi terroristici hanno inflitto pesanti perdite civili a Israele, ma a loro volta sono stati severamente puniti nelle loro postazioni a Jenin e dintorni. Ma nulla fa prevedere la cessazione o la diminuzione degli attacchi terroristici. Anzi, è probabile che gli Hezbollah a nord, la Jihad islamica a est, Hamas a sud, tutti sostenuti militarmente dall’Iran, possano coalizzarsi in un attacco congiunto a Israele. L’agenda politico-militare di Israele non può che contenere questa ipotesi.
L’isolamento di Israele non è affatto una novità nella storia di questo paese, a partire dall’invasione araba del 1948. Una politica molto intensa sul potenziamento dell’apparato bellico nel corso dei settantacinque anni di vita dello Stato ebraico ha permesso la sopravvivenza del paese, la sua crescita sociale, il suo prodigioso sviluppo economico, il progresso tecnologico unico al mondo.
Gli “Accordi di Abramo”, stipulati con alcuni paesi arabi sunniti, rappresentano l’esito di questo successo. Parte del mondo arabo ha compreso che Israele non può che rappresentare un partner indispensabile per il suo sviluppo dopo decenni di inutile contrapposizione. Ma Israele è sempre all’erta.
Antonio Donno