Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 01/07/2023, a pag.12, con il titolo "Non basta sperare nella fine di Putin: il sistema del regime gli sopravviverà", l'intervista di Marco Imarisio.
Marco Imarisio
Nikolaj Rybakov
Loro l’avevano detto. «Guardi qui, se non ci crede». Sul tavolo ci sono dépliant vecchi di cinque anni, che risalgono alle elezioni del 2018, e altri più recenti. In ogni documento si fa cenno al pericolo che corre lo Stato russo facendo ricorso alle milizie dei mercenari, si invita il governo a imporre «prima che sia troppo tardi» l’obbligo di operare in patria e all’estero solo con l’esercito regolare, alle dipendenze del ministero della Difesa. E non con strutture parallele private, come la Brigata Wagner, espressamente nominata. «Anche perché la presenza di queste organizzazioni comporta forti rischi di instabilità interna», è scritto in una delle tante proposte di legge presentate in questi anni. «Noi avevamo avvertito in ogni modo del pericolo. Naturalmente, non ci hanno ascoltato».
Nikolaj Rybakov, presidente di Yabloko, l’unico partito russo di opposizione ancora legale e a piede libero, sembra avere una maschera di disillusione sulla faccia. Siamo nella sede nazionale, in una via del centro di Mosca. Alle pareti della sala d’attesa ci sono poster che riproducono frasi celebri sulla pace di pericolosi sovversivi come Albert Einstein, John Lennon, il Mahatma Gandhi. Questo è il posto giusto per capire se davvero dopo i fatti del 23 giugno si apre una fase nuova, anche per chi dissente. «Certamente», dice con ironia questo economista, ex deputato, di formazione liberale. «Nel senso che potrebbero metterci su un treno e spedirci in Siberia».
Cosa può succedere in Russia? «Io vedo soltanto un possibile peggioramento della situazione sociale. Molti prendono l’instabilità come un auspicio. Tante persone sono convinte del fatto che è importante cambiare Putin, non importa con chi. Ma pensare che dopo di lui arrivino come per incanto democrazia e diritti umani è un colossale abbaglio. La nostra storia dimostra che qualcuno di peggio lo si trova sempre».
È questa la vera forza di Putin? «In un certo senso è così. La speranza coltivata dall’Occidente che dopo di lui tutto andrà bene, risponde alla volontà generale di trovare una risposta semplice a una domanda tremendamente complessa. Putin è solo una parte del sistema che ha formato e rafforzato, che gli sopravviverà, del quale non è però l’artefice. Il presidente ha terminato la costruzione della casa. Ma le fondamenta sono state posate da altri».
Da chi? «Dagli autori delle folli riforme degli anni Novanta che hanno spolpato lo Stato e reso ricche poche migliaia di persone. Putin è solo il risultato di questo processo, che venne appoggiato in modo sconsiderato dall’Europa e dagli Stati Uniti, è sempre bene ricordarlo».
Perché è così pessimista? «Purtroppo, dopo le guerre afghane e cecene, nessuno ha voluto curare l’anima delle persone. Non di chi era al fronte, ma di chi le aveva guardate da lontano. I conflitti precedenti non sono mai stati vissuti socialmente, non sono mai stati elaborati. Erano uno spettacolo televisivo. Così, quando è arrivato il 24 febbraio del 2022, il popolo russo ha continuato a tacere, dicendo, perché no, in fondo è solo un’altra guerra».
Dopo l’insurrezione militare di Prigozhin è ancora così? «Si tratta di un fatto importante, che ha rivelato la fragilità dell’attuale potere, ma che per ora non cambierà molto degli attuali equilibri. E non saranno certo i dissidenti in esilio a farlo cadere, con le loro ricette estreme».
Per cosa battersi allora? «In primo luogo, per fare in modo che la gente smetta di morire. Da una parte e dall’altra. Sempre più persone vedono i loro destini segnati da questa atrocità. L’odio reciproco continua a crescere, è una cosa che si sente. Bisogna fermare la guerra».
È d’accordo con il premio Nobel per la Pace Dmitry Muratov quando dice che tra ucraini e russi sarà comunque guerra per sempre? «Quando verrà trovato un accordo negoziale, dopo bisognerà pensare a una pacificazione tra i due popoli. Sarà una impresa lunghissima, difficile, che andrà fatta partendo da una base di vita e di storie comuni. Ma non è impossibile. Certo, senza questo tentativo, sarà impossibile parlare di vera pace».
L’insurrezione di Prigozhin cambierà qualcosa? «Chi sostiene che non ci saranno novità, sa in cuor suo di mentire. In Russia cambia tutto rapidamente. Ma chi costruisce la propria politica seguendo quel che farà o non farà Putin, commette l’ennesimo errore».
Perché vi ostinate a rimanere in un sistema che non prevede la vostra esistenza? «Siamo consapevoli del fatto che le nostre elezioni non sono democratiche, non sono libere, e neppure oneste. E così sarà anche per le presidenziali del prossimo marzo. Ma noi continuiamo a partecipare, per dare alla gente una possibilità. Per fare in modo che le persone siano pronte nel momento in cui ci saranno elezioni normali, degne di un Paese normale. Prima o poi, succederà».
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