Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 12/06/2023, a pag.26, con il titolo "Famiglia queer in fuga dalla Russia", il racconto di Masha Gessen.
Masha Gessen
Della stessa autrice ricordiamo un libro fondamentale sulla storia degli ebrei perseguitati nella Russia di Stalin (Giuntina ed.)
Da più di un anno, ormai, Alex Stone, la sua fidanzata Halyna Rusanova e la madre di lei, Nataliya, condividono un monolocale al nono piano di un edificio dell'epoca sovietica a Saltivka Est, un sobborgo residenziale di Kharkiv. La famiglia ha trascorso la maggior parte delle notti dormendo nel minuscolo ingresso dell'appartamento, lontano dalle finestre. Tra bombardamenti e raid aerei russi, si sono avventurate fuori per comprare il cibo che potevano permettersi con l'aiuto, piuttosto sporadico, di un'associazione benefica. Hanno vissuto e vivono come gli altri residenti di Kharkiv in tempo di guerra, in tutto uguali a loro tranne che per un dettaglio: quando è iniziata l'invasione russa, abitavano a Mosca. A metà marzo, l'anno scorso, poche settimane dopo l'inizio della guerra, Alex lavorava ancora come capocuoco in un bar del centro di Mosca. Preparava piatti messicani da abbinare a birre artigianali. Amava cucinare e vedere il piacere che le sue ricette davano alle persone. Poi, però, ha iniziato a detestare il suo lavoro. Ogni volta che entrava in sala e vedeva i clienti ridere e bere birra venduta a caro prezzo, provava una forte rabbia. Avrebbe voluto gridare: «C'è una guerra in corso! C'è gente che viene ammazzata!» Quando tornava in cucina, prendeva a pugni il frigorifero. Molte persone contrarie alla guerra avevano già lasciato la Russia. Alex, però, non poteva andarsene: da anni risparmiava soldi per sottoporsi a un intervento chirurgico, e il costo non faceva che aumentare. Intorno ai 35 anni si era rassegnato a vivere con il seno. Poi, con Halyna, aveva deciso di cambiare nome legalmente e dopo, insieme, si sarebbero trasferite in un Paese dove gli stranieri dello stesso sesso sono autorizzati a sposarsi.
Nato come Ekaterina Leonova, Alex ha scelto di chiamarsi così perché Alex è un nome neutro e "Stone" per riferirsi alla pietra, che è parte della sua identità. Due settimane prima dell'inizio della guerra, Alex ha presentato richiesta per il cambio del nome e ha consegnato tutti i suoi documenti alle autorità. Cresciuto a Mosca, come molti altri russi Alex aveva un rapporto personale con l'Ucraina: possedeva una casetta a Slovyansk, nella parte orientale del Paese. Halyna è ucraina, originaria di una città mineraria nel Donbass, Antratsyt, dove sua madre Nataliya insegnava. All'inizio degli anni Duemila, madre e figlia si erano trasferite a Mosca, dove Nataliya ha poi trovato lavoro in campo edile mentre Halyna ha finito le superiori e frequentato il college. Nel 2014, la Russia ha occupato Antratsyt, ma non per questo Nataliya e Halyna sono diventate cittadine russe. Hanno ricevuto il timbro di residenti in Russia sul loro passaporto ucraino. Alex e Halyna si sono conosciute online durante la pandemia. Alex è robusto. Parla dolcemente, e con fare autorevole. Halyna è alta e magra e porta i capelli sistemati in una lunga treccia bionda. Parla velocemente, ha la voce acuta. Entrambe sono stupite dalla fortuna di essersi trovate. Il primo giorno di guerra, Alex ha partecipato a una manifestazione. Anche Halyna avrebbe voluto farlo, ma lui l'ha convinta che avrebbe rischiato la vita, avendo passaporto ucraino. Alex stesso è stato incarcerato per alcune ore. Le autorità sapevano che intendevano lasciare il Paese, ma Alex aveva consegnato i documenti di identità per ottenere il cambio di generalità. Hanno speso tutti i loro risparmi per accelerare le pratiche e alla fine della terza settimana di marzo, Alex ha ottenuto il passaporto. Un passaporto russo, ovviamente. Gli ucraini poteva andarsene dalla Russia passando attraverso il confine occidentale, entrando in Ucraina dalla Polonia. Ma per i cittadini russi questa opzione non era contemplata. Alex ha proposto a Halyna e Nataliya di partire subito, mentre lui cercava di capire cosa fare e come, ma ha perso la sua battaglia. Alla fine, tutte e tre hanno optato per un treno economico diretto a Belgorod, una città russa a una trentina di chilometri dal confine con l'Ucraina. Nello zaino, Halyna ha portato con sé Lucy, il loro gatto. Il giorno sono arrivate al confine con un passaggio e si sono avvicinate al varco a piedi. Gli agenti russi di frontiera le hanno fissate come fossero pazze. «Dove state andando?», ha chiesto un militare. «A casa», ha risposto Halyna. «Avete idea di quello che sta succedendo qui?». «Sì», ha risposto Halyna. Gli agenti le hanno fatte passare. Dopo una ventina di minuti di tragitto, hanno superato un cartello su cui era scritto "Confine di Stato dell'Ucraina", o quello che ne rimaneva. Sull'altro versante della strada si snodava, immobile, una lunga coda di automobili in attesa di entrare in Russia. Alla fine, un conducente diretto in Ucraina ha offerto loro un passaggio. Sono arrivate così a Vovchansk, una cittadina sotto occupazione russa dal primo giorno della guerra. Il gestore di un motel lungo la strada ha detto che potevano alloggiare in una stanza e pagarla con grano saraceno e cibo in scatola, che avrebbero potuto procurarsi con i pacchi di aiuti umanitari distribuiti dai russi. Il fatto che il grano saraceno, cardine della cucina locale, fosse diventato già allora un bene di scambio, lascia intuire che a Vovchansk non c'era già più niente da mangiare. Tutto quello che era ancora nei negozi, ormai aveva raggiunto prezzi proibitivi. Ogni tanto arrivavano veicoli russi con aiuti, destinati però soltanto agli anziani e ai residenti del posto. Alex, Halyna e Nataliya hanno speso quasi due settimane a cercare un passaggio per Kharkiv, a 64 chilometri di distanza da loro. Alla fine, prese dalla disperazione, si sono avviate a piedi. La rotella di uno dei loro bagagli si è rotta: un operatore ecologico del posto si è impietosito e gli ha regalato una carriola. Dopo un paio di chilometri, fuori città, hanno avuto un passaggio da un furgoncino che consegnava pane a Vovchansk, facendo avanti e indietro regolarmente da Kharkiv. Il conducente aveva un accordo con i soldati di entrambe le parti e questo probabilmente spiegava il prezzo esorbitante del suo pane.
Prima di arrivare a un posto di blocco ucraino, Alex, Halyna, Nataliya e l'autista ne hanno superati due russi. Hanno consegnato i documenti dal finestrino. Vedendo, tra gli altri, un passaporto russo, un militare ha ordinato a tutti di scendere e allinearsi accanto al furgone. Il conducente ha dovuto sdraiarsi a terra. I soldati hanno legato i polsi di tutti dietro la schiena con del nastro adesivo, e li hanno incappucciati con sacchetti neri di plastica per le patate, putridi e pieni di polvere e terra. Poi, Alex, Halyna e Nataliya sono state portate altrove e hanno pensato che da lì a poco sarebbero state giustiziate. Ma l'automobile si è fermata e qualcuno le ha aiutate a scendere e a entrare in un edificio, dove è stato intimato loro di sedersi. Halyna si è accorta con stupore di posarsi su qualcosa di morbido, probabilmente un divano. Si ha sentito una voce maschile molto arrabbiata: «Perché mi avete fatto venire?», ha chiesto. «Pensavo che fossero uomini armati, e invece sono soltanto tre donne con un gatto!». I cappucci in testa sono stati rimossi. La voce arrabbiata era di un ufficiale ucraino, che ha voluto spiegazioni. «Possiedo una casa a Slovyansk, due capre, una mucca e delle galline», ha detto Alex. «Non posso perdere la mia fattoria. Se avessi una pistola, mi sparerei». In verità, Alex non ha mai allevato niente in vita sua. Poi l'ufficiale ha chiesto a Halyna perché stesse tremando e piangendo, e lei ha risposto che aveva paura. Un soldato ha portato mele, del tè e delle pillole di valeriana per aiutarle a calmarsi. L'agente invece ha controllato il telefono di Alex, da lui ripulito prima di partire, così che in memoria c'era un unico numero russo di telefono. Il nome del contatto era Kotyonok, che in russo significa gattino. «Chi è questo Kotyonok?» ha chiesto l'ufficiale. Alex ha indicato Halyna. «Non mi interessano le vostre faccende private» ha urlato l'agente. Almeno non è omofobo, ha pensato Halyna. L'ufficiale ha caricato in macchina la famiglia e i loro bagagli, con l'intenzione di portare tutte a Kharkiv, o almeno così sembrava. Per strada, però, i bombardamenti e i colpi di cannone si sono intensificati e al posto di blocco successivo è stato impartito ai soldati l'ordine di farle arrivare a Kharkiv. Un'ora dopo sono arrivate a destinazione. Un amico ha offerto loro alloggio nel suo appartamento, visto che era andato a vivere con i suoi genitori nella parte occidentale dell'Ucraina. Lì hanno potuto saziarsi con tanto pane comprato a poco prezzo. Non hanno fatto caso che Kharkiv, bombardata pesantemente fin dal primo giorno di guerra, ridotta a una città fantasma e vuota. Alex ha presentato subito richiesta di asilo politico in Ucraina. Lui e Halyna hanno persino scritto al presidente Zelensky in persona, ricevendo risposta dalla sua amministrazione, la stessa di sempre: fintanto che siamo in guerra, nessuna procedura legale può assicurare protezione ai cittadini russi in Ucraina. Ad Alex non sono rimasti altri metodi per aggirare quello stato di fatto, che implicava non potesse uscire di casa senza correre rischi. Se qualcuno lo avesse fermato, sarebbe arrestato. Halyna è stata interrogata un paio di volte per via del timbro russo di residenza apposto sul suo passaporto. Alex, Halyna e Nataliya vivono a Kharkiv da undici mesi. Hanno sistemato e abbellito l'appartamento del loro amico, togliendo la vecchia carta da parati e dipingendo le pareti di lilla e di giallo. Hanno tappezzato la cucina con un collage di immagini ricavate da vecchi numeri di riviste patinate. Hanno adottato un altro gattino, Myron, la cui madre è stata uccisa dalla scheggia di una granata quando lui era nato da tre giorni. Lo hanno alimentato con un contagocce. Non sono ancora riuscite, però, a trovare il modo di guadagnare qualcosa e sono aiutate da un'associazione umanitaria. Alex e Halyna vogliono andare via dall'Ucraina. Un amico le sta aiutando a mettere insieme i soldi necessari al viaggio. Vorrebbero prendere un treno per Odessa, evitando così i posti di blocco, e poi raggiungere la Moldavia in autobus. Vorrebbero sposarsi online, nello Utah, e poi, forse, proseguire verso un Paese che riconosce i matrimoni tra persone dello stesso sesso e non richiede visti ai cittadini russi, per esempio il Costa Rica. Certo, è un Paese lontano e raggiungerlo è dispendioso, ma ci abitano soltanto trecento russi, secondo quello che ha letto Alex. (In verità, i russi in Costa Rica parrebbero essere svariate migliaia.) Nataliya, invece, intende rimanere in Ucraina. Dice di aver trascorso abbastanza tempo in altri Paesi e dopo la partenza di Alex e Halyna vorrebbe trasferirsi nella casa di Alex a Slovyansk e imparare a coltivare verdure nell'orto.
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