Per Amnesty International, i civili israeliani non hanno diritti umani
Analisi di David Collier, da Israele.net
David Collier
Ai primi di maggio Amnesty International ha pubblicato un rapporto di 82 pagine intitolato “Apartheid automatizzato: come il riconoscimento facciale segmenta, segrega e controlla i palestinesi nei Territori Occupati Palestinesi”. Leggerlo sarebbe una pura perdita tempo. Ho passato diversi anni a fare ricerche sui rapporti di Amnesty International e nel 2019 ho pubblicato un’analisi di 200 pagine sui gravi pregiudizi anti-israeliani che li caratterizzano. Nel mio rapporto del 2019 avevo previsto che ben presto Amnesty International avrebbe pubblicamente accusato Israele di praticare l'”apartheid”, e puntualmente ci sono arrivati all’inizio del 2022. Il punto fondamentale è che l’ultimo rapporto di Amnesty non contiene nulla che sia degno di nota. La questione che solleva è che Israele, come la maggior parte dei servizi di sicurezza in tutto il mondo, utilizza la tecnologia del riconoscimento facciale per contribuire a preservare la pace, cosa che non dovrebbe sorprendere nessuno. Israele fa affidamento sulla tecnologia per ridurre l’impatto dei controlli di sicurezza avvertito dai palestinesi aumentando al contempo la sicurezza sia per gli israeliani che per gli stessi palestinesi.
Ad Amnesty tutto questo non interessa, così come non le interessa come mai Israele abbia bisogno, tanto per cominciare, di misure di sicurezza. Soprattutto, non le importa nulla dei diritti umani dei civili israeliani. Amnesty semplicemente decide di appiccicare un’etichetta demonizzante su tutto ciò che fa Israele. Come accade quasi sempre, il nuovo attacco di Amnesty si basa sulla “testimonianza” di singoli attivisti palestinesi o di altre ong come Youth Against Settlements e Breaking the Silence: una serie di soggetti disonesti che alimentano un altro soggetto disonesto. In questo scenario, Israele è colpevole perché lo afferma un gruppo di persone che odiano Israele e che si citano a vicenda. L’intero rapporto è stato messo insieme solo per permettere ad Amnesty di radicare ulteriormente la falsa idea che Israele pratichi “l’apartheid”. Fa parte di una campagna propagandistica politicizzata da tempo in corso, nella quale Amnesty investe costantemente una quantità sproporzionata delle sue risorse. Mettersi a discutere le tesi di Amnesty come se avessero peso significa cadere nella trappola e perdere il confronto prima ancora che inizi. La vera questione da porre riguarda piuttosto i motivi e obiettivi malevoli di Amnesty, e chiedersi come mai vi sia ancora qualcuno che le presta attenzione. Circa vent’anni fa Amnesty ha lasciato cadere alcune delle tutele che si era data a salvaguardia della propria obiettività, come la regola per cui nessun ricercatore di Amnesty poteva operare sul proprio paese. Si trattava di uno strumento cruciale per evitare conflitti di interesse in coloro che operano sul campo. Al giorno d’oggi Amnesty, quando recluta persone per monitorare Israele, impiega spesso attivisti che hanno già una lunga storia di campagne propagandistiche anti-israeliane. Questa strategia ha generato un processo di radicalizzazione interna. Si sono corrotti da dentro. Uno o due anni dopo che Amnesty ha ingaggiato un’attivista di Code Pink che aveva condotto una campagna anti-israeliana per il boicottaggio di Airbnb, Amnesty ha puntualmente lanciato la sua campagna contro Airbnb. Ecco perché era così facile prevedere che Amnesty sarebbe saltata sul carrozzone dell'”apartheid”: se una ong fa affidamento su persone che la pensano tutte in un certo modo, è solo una questione di tempo perché quella ong si adegui all’andazzo. Amnesty non è certo l’unica. Molte ong sono diventate proiezioni politicizzate di un’unica grande campagna. Con gli attivisti che si spostano da una ong all’altra, sono diventate tutte dei cloni. Molte di queste ong operano all’unisono. È per questo che abbiamo assistito al balletto in cui prima B’Tselem, poi Human Rights Watch e infine Amnesty hanno accusato Israele di praticare “l’apartheid”. Il tutto per alimentare la campagna globale che demonizza lo stato ebraico. Chi non vede che queste ong si muovono di concerto prende in giro se stesso. Queste ong creano materiale da utilizzare come foraggio per la macchina della propaganda anti-israeliana. Non è necessario che sia accurato o basato sui fatti. Proprio come immagini della guerra civile in Siria scattate nel 2014 sono diventate virali come “prova” delle atrocità che Israele avrebbe commesso a Gaza nel 2021, allo stesso modo qualsiasi cosa dica una di queste ong verrà pedissequamente ripetuta da un esercito di attivisti anti-israeliani. È una macchina che ha bisogno di essere continuamente alimentata. Questo è il motivo per cui la fabbrica della disinformazione anti-israeliana di Amnesty procede a pieno regime alla ricerca di nuove accuse sempre più artificiali con cui colpire Israele. Da qui, il suo ultimo rapporto. Alcuni decenni fa Amnesty International svolgeva un buon lavoro con le sue campagne per la scarcerazione di prigionieri politici intrappolati sotto il dominio di regimi dittatoriali. Oggigiorno Amnesty impiega una quantità sproporzionata del suo tempo per demonizzare l’unico stato ebraico al mondo e minarne l’esistenza formulando false accuse contro di esso.
(Da: Jerusalem Post, 14.5.23)