Riprendiamo da BET Magazine-Mosaico di maggio 2023, a pag. 4, l'analisi di Ilaria Ester Ramazzotti con il titolo "Tra i banchi di scuola, i nuovi odiatori adolescenti".
Febbraio 2023, Torino: un bambino di 11 anni che frequenta la scuola ebraica della città partecipa a una festa di compleanno, indossando la kippah. Andandogli incontro, uno dei bambini presenti lo apostrofa con queste agghiaccianti parole: “Peccato che non siamo negli anni di Hitler, altrimenti ti avremmo potuto bruciare”. I compagni scoppiano a ridere. Gennaio 2022: un dodicenne viene picchiato e coperto di sputi da due ragazze a Campiglia Marittima, in provincia di Livorno, che gli gridano “sei un ebreo!”. Sempre all’inizio del 2022, in una scuola secondaria inferiore di Pistoia, un ragazzo ebreo subisce per un mese la provocazione di saluti nazisti e la molestia di trovare svastiche disegnate sulla cartella a opera di tre compagni di classe. Ancora: il 30 gennaio 2022, in una scuola secondaria di primo grado di Impruneta, in provincia di Firenze, una studentessa ebrea subisce da parte di alcuni compagni saluti e insulti di tipo nazista, come: “Speriamo che le tue cugine e tua zia muoiano, perché sono ebree; io sono il figlio di Hitler, viva Auschwitz”. E anche prima, nella primavera del 2019, per le vie di Ferrara, uno studente di scuola media era stato preso di mira da alcuni bulli al grido di “riapriamo Auschwitz”. Così registrano alcune cronache riportate da quotidiani e dai principali siti web d’informazione. Scuola, studenti, alunni, contesti educativi e di formazione. Questi episodi, pochi tra i tanti, hanno colpito le comunità ebraiche e i media, suscitando timori, preoccupazioni e interrogativi. Casi isolati? Fenomeni in espansione? Come inquadrarli? Ha senso parlare di un antisemitismo degli adolescenti, che cresce fra i ragazzi in età scolare? Come fotografare la situazione? A partire dall’analisi del contesto generale abbiamo cercato di saperne di più. Secondo gli studi condotti dall’Osservatorio Antisemitismo, che lo scorso 6 marzo ha presentato la Relazione annuale sull’antisemitismo in Italia 2022 nella sede della Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea-CDEC a Milano, i casi di antisemitismo in Italia hanno registrato un lieve aumento, rilevando episodi che generalmente si esprimono sotto forma di insulti e minacce online (vedi Bet Magazine aprile 2023). Secondo gli studi internazionali siamo tuttavia in un range tendenzialmente medio-basso, con pochi attacchi di carattere fisico. Alcuni eventi sono stati registrati nell’ambito del mondo della scuola, seppur non ci sia alcun allarme specifico di antisemitismo in ambito scolastico, fatto che in Italia esiste invece nel mondo sportivo e calcistico.
L’antisemitismo fra ragazzi
Fra i comportamenti, i discorsi, le retoriche e simbologie antisemite rilevate nel 2022, secondo il CDEC, “gli atti di violenza fisica e le più gravi minacce contro gli ebrei hanno avuto luogo nell’ambito della scuola secondaria inferiore e vedono come autori persone spinte dal neonazismo, frequente l’uso di simbologia, slogan e richiami all’esperienza del Terzo Reich”. Stefano Gatti, dell’Osservatorio Antisemitismo della Fondazione CDEC, ci riferisce che: «Gli unici due casi di violenza fisica che abbiamo registrato nel 2022 vedono come vittime e come aggressori degli adolescenti. Talvolta è capitato che ragazzi o ragazze siano stati vittima di molestie antisemite, anche di matrice neonazista, con insulti e simbologia di tipo neonazista, al di là di quanto venga recepito su che cosa sia nei dettagli il neonazismo. È anche significativo che nel 2022 alcuni giovani in età da scuola dell’obbligo abbiano partecipato a casi di zoom bombing, aggressioni online con insulti e disegno di svastiche durante videoconferenze su temi ebraici, come è accaduto alla Comunità Ebraica di Venezia. In questo caso la magistratura ha poi svolto un’indagine individuando i giovani responsabili, che si sono poi difesi dicendo di non sapere di offendere così tanto con simili gesti, dicendosi addirittura tristi per aver recato dolore». Inoltre, «si sono verificati casi in cui dei giovani hanno partecipato a chat online, su whatsapp e Telegram, postando materiali pedopornografici e contenuti antisemiti di particolare gravità e violenza. Ciò è significativo, perché per la loro età deduciamo che siano cresciuti in scuole in cui si è parlato di Shoah e di Giorno della Memoria». Alcuni altri casi emersi riguardano proprio la banalizzazione della Shoah, attraverso social network come Tik Tok. «Non è detto che in questi casi i giovani si siano prefissi scopi negativi – aggiunge Stefano Gatti -, al contrario, possono aver avuto obiettivi anche buoni, come il voler commemorare la Shoah, ma purtroppo non sono sempre stati in grado di dominare lo strumento e altresì hanno usato simbologia sbagliata». Murilo Cambruzzi, redattore della Relazione 2022 dell’Osservatorio Antisemitismo, insieme a Stefano Gatti e Betti Guetta, spiega: «Abbiamo fatto diverse ricerche su Tik Tok constatando che ci sono post legati alla Shoah creati da giovani solo perché probabilmente non hanno conoscenza di altri tipi di stereotipi antiebraici. Ragazzi che disegnano svastiche o fanno battute sui forni o sui deportati (paradossalmente) attingono a quello che hanno imparato a scuola. Alcuni di loro, nelle loro battute, esprimono toni antisemiti, altri ancora che vorrebbero essere comici non hanno gli strumenti per capire dove si trova la linea tra l’umorismo nero e l’incitamento all’odio, come anche fra black humour e l’antisemitismo».
Indagine in due licei romani
Il CDEC ha anche svolto una indagine conoscitiva in cui sono stati coinvolti gli studenti di due licei romani, allo scopo di valutare il grado di conoscenza degli ebrei e la presenza di pregiudizi e stereotipi nei loro confronti. Il questionario, composto da 13 domande, è stato somministrato tramite Google Forms, tra l’aprile e il maggio 2022, agli studenti dei due licei che hanno partecipato al Progetto sull’antisemitismo. “La scelta metodologica – spiega l’Osservatorio -, è stata quella di coinvolgere nell’indagine i ragazzi del primo anno delle superiori e quelli dell’ultimo anno per cercare di valutare, a livello di ipotesi, se il percorso scolastico, lungo cinque anni, possa avere un effetto sulla conoscenza e sull’immagine degli ebrei. In totale sono stati compilati 689 questionari. Per quanto riguarda l’empatia verso le minoranze, dalla ricerca si evince che gli ebrei risultano simpatici al 30% dei ragazzi, indifferenti al 67% e antipatici al 2%. Alla domanda su chi siano gli ebrei, è risultato che “la conoscenza è buona, gli studenti hanno dato nella maggioranza dei casi risposte corrette: popolo, religione, nazione. Una minoranza (8%) ha indicato le risposte: una setta, una razza. Scoprire che un amico o conoscente è ebreo nella grande maggioranza dei casi (78,5%) non suscita imbarazzo o emozioni negative o lascia indifferenti (17,6%) – prosegue il report sull’indagine svolta -. Nel 6,6% dei casi invece la scoperta suscita emozioni negative”. Passando all’analisi dei pregiudizi e stereotipi antiebraici, “il 27,7% dei giovani studenti condivide in parte o pienamente l’idea che gli ebrei siano detentori di grandi patrimoni. Il 44% dichiara di non sapere se l’affermazione sia vera. L’affermazione circa il potere e l’influenza nel mondo della finanza e della politica mondiale trova il 24% d’accordo. Anche qui un numero elevato di studenti afferma di non sapere se questa affermazione sia vera (45%)”. «Dalla nostra ricerca – specifica Murilo Cambruzzi – abbiamo appreso che probabilmente alcuni stereotipi antiebraici assimilati dai ragazzi riguardano il presunto potere degli ebrei nella politica e nella finanza. È interessante notare come certi miti antisemiti arcaici, che evocano l’ebreo manipolatore che sta dietro a tutto, siano presenti ancora oggi. Anche perché per contro non c’è una conoscenza abbastanza approfondita dell’ebraismo». Dall’indagine si evincono altresì risultati positivi e confortanti, come l’adesione e il sostegno alla memoria della Shoah e all’importanza della trasmissione della memoria, che risulta molto spesso un concetto assimilato dai ragazzi: “9 studenti su 10 pensano che sia importante ricordare la Shoah e più di 7 su 10 pensano che sia molto importante. Un risultato estremamente positivo e incoraggiante rispetto al lavoro svolto finora da governi, istituzioni, scuole rispetto al valore della memoria della Shoah. I dati dell’indagine evidenziano punti di forza e punti di debolezza. Se tempo e sforzo dedicato al Giorno della Memoria e all’insegnamento della Shoah sembrano avere attecchito – sottolinea l’indagine dell’Osservatorio – emerge la necessità di fare conoscere di più chi sono gli ebrei e quali sono i tratti identitari che li distinguono”. Per quanto riguarda la percezione dell’antisemitismo, “il 64% degli studenti crede che ci sia antisemitismo in Italia, il 20% crede che questa affermazione sia esagerata. Alla domanda se l’ostilità verso gli ebrei sia mossa da sentimenti antiebraici o antiisraeliani, il 25% riferisce di sentimenti antiebraici, il 5% di sentimenti antiisraeliani e il 30% di entrambi. Su questo argomento ci sono importanti differenze tra le classi di età e i più giovani rispondono di non sapere”. Infatti, nel report leggiamo anche che “per il 53,7% degli studenti, essere ebrei e israeliani non è la stessa cosa, mentre sono pochi, il 4%, coloro che pensano che i due termini siano interscambiabili. Tuttavia, una percentuale significativa (27,4%) risponde di non sapere. E ci sono differenze tra studenti più piccoli e quelli più grandi. Questi dati evidenziano da una parte che esiste un considerevole numero di studenti capace di distinguere tra l’essere israeliano e l’essere ebreo, dall’altra parte documentano la necessità di fare chiarezza su chi sono gli ebrei, su Israele e sull’identità ebraica”. “Potrebbe essere utile – conclude il report dell’Osservatorio -, dedicare più spazio all’interno del percorso scolastico per discutere sia l’antisemitismo come fenomeno storico (cause, pregiudizi, stereotipi, etc.) sia l’antisemitismo nella società contemporanea”.
Le linee guida del Governo
In Italia, nel 2021 è stata elaborata la Strategia nazionale per la lotta contro l’antisemitismo da parte di un gruppo tecnico istituito presso la presidenza del Consiglio dei Ministri sulla base della definizione di antisemitismo dell’IHRA (International Holocaust Remembrance Alliance), accolta dal Governo italiano nel gennaio 2020. Nello stesso mese è stato creato il ruolo del Coordinatore nazionale per la lotta contro l’antisemitismo presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, a seguito della risoluzione del 1° giugno 2017 sulla lotta contro l’antisemitismo del Parlamento europeo. Il ruolo è stato ricoperto fino al gennaio 2023 da Milena Santerini, ordinario di Pedagogia generale all’Università Cattolica di Milano e consigliere della Fondazione CDEC (il ruolo è ricoperto ora da Giuseppe Pecoraro). Abbiamo contattato Santerini per avere un suo commento in tema di antisemitismo nelle scuole, a partire dal lavoro svolto con l’implementazione delle Linee guida sul contrasto dell’antisemitismo nelle scuole, elaborate a novembre 2021 sotto la sua guida, nell’ambito del Protocollo tra il ministero dell’Istruzione, l’UCEI – Unione Comunità Ebraiche Italiane e la stessa Coordinatrice nazionale. Le Linee contengono una presentazione per punti sulle forme dell’antisemitismo contemporaneo, indicazioni concrete su come educare contro l’antisemitismo in classe e con quali percorsi scolastici, documenti e materiali operativi. «Le Linee guida sono state diffuse a tutti gli uffici scolastici regionali con una circolare del Ministero, che stiamo terminando di presentare in tutte le regioni italiane – spiega Milena Santerini -. È in sostanza il documento che consiglia agli insegnanti come trattare certi casi» qualora accadano. Nelle scuole italiane «si tratta di episodi isolati, ma purtroppo ci sono, come anche alcuni pregiudizi. La scuola in quanto tale non è oggi il luogo di alcun allarme antisemitismo, ma è il luogo dove possiamo contrastare l’antisemitismo sul nascere – sottolinea -. Gli insegnanti non devono quindi mai sottovalutare eventuali episodi che, anche se sembrano ragazzate, vanno presi sul serio». Casi isolati, ma nessun allarme specifico, quindi. «Bisogna sempre capire le forme di antisemitismo – aggiunge Santerini -. Al momento l’allarme sta scattando negli stadi, nel calcio, dove si registra un fortissimo antisemitismo. Il calcio è anche un mondo difficile da cui avere risposte, seppur abbiamo provato a contattare tutte le squadre».
Come combattere il pregiudizio
Laddove «parliamo di ragazzini, magari di 12 o 13 anni, il lavoro va focalizzato sulla prevenzione, a livello di insegnanti, famiglie e classi. Così come si è fatta una grossa campagna contro il bullismo, che ci ha reso più consapevoli su che cos’è la violenza fra ragazzi (e oltretutto spesso l’antisemitismo si accompagna al bullismo), dobbiamo lavorare anche alla prevenzione dell’antisemitismo, rendendo consapevoli le scuole e sottolineando che è un fenomeno di cui parlare. Per capire come gli insegnanti agiscono normalmente sull’antisemitismo, abbiamo proposto loro un questionario sull’antisemitismo nella scuola – prosegue Santerini -. Ci hanno risposto in 18 mila. La metà ci ha detto che in effetti è un problema presente. Di certo, non possiamo etichettare come antisemiti dei ragazzini di 10 anni, ma dobbiamo rendere consapevoli i docenti su che cosa sia il fenomeno e che con i ragazzi bisogna lavorarci presto, a livello preventivo. Avevamo anche chiesto se il tema è sufficientemente affrontato e quali sono i modi per farlo: generalmente, nelle scuole si parte dalla memoria della Shoah, dagli incontri con i testimoni e dalle visite agli ex lager nazisti. Ma poi va stimolato un percorso di apertura all’altro, di pensiero critico, di sconfitta del pregiudizio e di conoscenza del mondo ebraico». «Ci sono tanti modi per affrontare il problema, ma spesso il pregiudizio è inconsapevole – sottolinea Santerini -, e i docenti devono saperlo. Dal dopoguerra in poi, l’antisemitismo è un fenomeno a parte illecito, soprattutto inconsapevole e nascosto. Non ci si riconosce facilmente razzisti o antisemiti, si ha vergogna ad ammetterlo, ma la questione esiste come eredità degli stereotipi del passato. Per questo il primo punto delle nostre linee guida riguarda proprio il prenderne coscienza. Con i ragazzi, che possono avere pregiudizi inconsapevoli, bisogna allora lavorare non solo a livello di conoscenza, ma di emozioni, in particolare sulla rabbia, perché l’antisemitismo è qualcosa che aumenta in tempi di crisi della società. Lavorare sulle emozioni è un tema nuovo per gli insegnanti italiani, che hanno lavorato molto sulla Shoah, ma non sull’antisemitismo attuale. Devono fare un collegamento, questo è il punto: quando si spiega che cosa è successo in passato, va detto che è stato l’esito di un processo che era iniziato prima, da gente normale, da tranquilli e volenterosi cittadini. E il punto non è solo vedere l’apice del fenomeno, ma capirne le complicità. Torniamo così all’importanza dell’educazione nelle scuole e all’attualità». Nella sua prefazione al documento delle Linee guida, l’ex ministro dell’Istruzione Patrizio Bianchi scrive che: “Nella società di oggi, sconvolta dalla pandemia, in cui si assiste, tra l’altro, al crescere di fenomeni legati al linguaggio di odio, oltre che a manifestazioni di antisemitismo, c’è una forte esigenza di raccogliere la sfida della Memoria e della conoscenza della Shoah in nome di coloro che hanno vissuto questa pagina tragica della storia. Bisogna lanciare con forza un messaggio che investa le scelte e la quotidianità dei giovani, affinché, con coraggio, si condanni oggi l’antisemitismo e si prevenga e argini qualunque forma di odio. […] Questo documento è un passo importante per un impegno comune, un nuovo strumento per la didattica rivolto soprattutto al mondo degli insegnanti e degli studenti, per riflettere sulle forme di antisemitismo del passato ed emergenti, non sempre riconosciute come tali. In questo modo vogliamo sensibilizzare le coscienze dei giovani, perché sul tema dell’antisemitismo l’intera società assimili i valori che la Shoah invita a non dimenticare: la pace, l’uguaglianza di tutti gli esseri umani, il rispetto della dignità delle persone e dei valori della convivenza civile. Attraverso gli importanti spunti di riflessione e di studio offerti da queste Linee guida, auspichiamo che giunga un nuovo impulso a tutta la comunità scolastica per l’approfondimento dei meccanismi che danno origine a ogni pregiudizio. La riflessione e le azioni che ne scaturiranno sapranno essere incisive nel presente, per guidare i giovani a trovare nella memoria e nel dialogo i fondamenti per costruire una società libera da ogni razzismo e discriminazione”. «Spesso ci focalizziamo su dei casi di cronaca, per esempio quando viene attaccato un bambino, un ragazzino o una ragazzina ebrea in classe, cioè quando c’è stata la denuncia di un genitore, ma questi sono casi limitati rispetto a quelli in cui si esprime un antisemitismo generico, che emerge molto meno – prosegue Milena Santerini -. In realtà, sono la mentalità, il pregiudizio e gli stereotipi a non emergere». E, in sostanza, quando si verificano episodi in cui questi traspaiono, l’insegnante deve saperli riconoscere senza mai sottovalutarli. Possono anche sembrare o essere ragazzate, e lo sono quando per esempio un ragazzino non conosce il significato di termini come “rabbino” o “ebreo”. Ma se usa questi termini per dire che una persona è tirchia, semplicemente perché li ha sentiti usare così da qualche parte, e se li usa in senso dispregiativo, va fatto subito un lavoro educativo puntuale e consapevole. «Insieme alle nostre linee guida – conclude Milena Santerini -, abbiamo consigliato agli istituti scolastici anche dei sussidi didattici dell’OSCE, l’organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa, che riguardano il modo di affrontare il problema e di coinvolgere i ragazzi, stimolando un dialogo costruttivo. Abbiamo cioè segnalato degli strumenti didattici operativi». Per dirla con un aforisma, l’educazione è l’arma più potente che si possa usare per cambiare il mondo. Parola di Nelson Mandela.
Una testimonianza
“Cosa porta Hitler agli ebrei? Il portacenere”. “Sai cosa portano gli ebrei quando vedono le foto di famiglia? Il portacenere”. “Se Hitler fosse ancora vivo tu saresti già morto”. Questi sono gli insulti antisemiti in pochi mesi ricevuti da Davide (nome di fantasia), studente ebreo di una prima classe della secondaria di primo grado: tre episodi gravi e spiacevoli, che vedono protagonisti ragazzini di 11 anni o poco più, all’interno di una scuola del centro di Milano. La famiglia ha fatto subito presente alla scuola le offese subite dal figlio, ma, sebbene abbia dimostrato costernazione per l’accaduto, la dirigenza non ha intrapreso alcun percorso educativo per fare capire ai ragazzi la gravità di alcune parole ed espressioni. «Quando abbiamo scritto dell’ultimo episodio, avvenuto durante le ore di studio assistito, ci è stato detto che il ragazzo colpevole delle offese sarebbe stato espulso – spiega la madre -, ma ovviamente l’obiettivo della nostra segnalazione non era punitivo ma educativo sulla pericolosità di affermazioni non solo antisemite, ma in generale discriminatorie. Purtroppo ad oggi abbiamo l’impressione che la scuola non si renda conto della gravità di episodi come questi e che non sappia fronteggiarli, cosa che di per sé troviamo molto preoccupante».
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