Ucraina: non arrivano le armi occidentali Cronaca di Lorenzo Cremonesi
Testata: Corriere della Sera Data: 09 aprile 2023 Pagina: 2 Autore: Lorenzo Cremonesi Titolo: «Tra i carristi di Bakhmut lotta all’ultimo uomo»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 09/04/2023, a pag.2, con il titolo 'Tra i carristi di Bakhmut lotta all’ultimo uomo' l'analisi di Lorenzo Cremonesi.
Lorenzo Cremonesi
Due giorni fa un drone Lancet russo si è affacciato dalle nuvole grigie e ha tirato due razzi mirando agli ammassi ferrosi che i suoi sensori avevano individuato mimetizzati tra i filari d’alberi lungo i campi non più coltivati. «Erano colpi accurati, ci hanno mancato per un soffio, le schegge avrebbero potuto causare gravi danni», esclama Yura Damianek, che ha 27 anni e dalla fine del febbraio 2022 comanda uno dei vecchi T-72 russi che ancora costituiscono il grosso delle unità corazzate ucraine, tra cui la sua Decima Brigata carristi. Mostrando il fusto del cannone vicino alla torretta, Yura sfiora col palmo della mano due o tre fori e sorride. «Non c’è problema, l’abbiamo già utilizzato poche ore fa nel settore che ci è stato affidato qui a nord di Bakhmut e ha sparato come fosse nuovo», dice. Ma Damianek e i suoi carristi hanno ben altri pensieri: dopo nove mesi di assedio, la città diventata il simbolo del braccio di ferro per il Donbass sembra in procinto di cadere. «È vero ciò che affermano i media citando i servizi d’intelligence della Nato, i russi sono avanzati parecchio negli ultimi giorni nel centro di Bakhmut e le nostre vie di rifornimento si sono fatte più fragili. Ma lo Stato maggiore sa il fatto suo. Crediamo che continuerà a chiedere ai soldati di resistere nella zona urbana occidentale per eliminare il massimo numero di soldati russi e tenere concentrata la loro attenzione, mentre noi stiamo preparando la nostra prossima offensiva. Quando però diventerà troppo oneroso, e i nostri rischieranno l’accerchiamento, riceveranno l’ordine di ripiegare». Ad ascoltarli tornano alla mente le parole di un team di esperti anglo-americani, incontrati pochi giorni fa a Kiev, secondo i quali sono certamente suggestivi i paralleli che noi giornalisti tracciamo tra le trincee che segnano le posizioni nel Donbass e quelle dei campi di battaglia della Prima guerra mondiale, ma non rispecchiano l’essenza del conflitto russo-ucraino. «Questa è già la guerra del futuro, fatta di droni e comunicazioni satellitari, marcata dalla velocità dell’innovazione e certo non dalla lentezza delle trincee. Un secolo fa gli eserciti si muovevano come giganti vecchi, qui invece tutto è rapido, in perenne evoluzione, come fosse un laboratorio a cielo aperto. Le due parti si esaminano a vicenda e continuano a riadattare e reinventare le rispettive strategie. Sino a poco fa le nostre accademie militari Nato studiavano ancora sui modelli della guerra del Kippur combattuta da arabi e israeliani nel 1973. D’ora in poi sarà invece quella russo-ucraina e dettare legge», sosteneva tra gli altri Hew Strachan della Saint Andrews University. E infatti i carristi della Decima Brigata non muovono cingolo senza che i loro droni, guidati dai collegamenti satellitari garantiti da Starlink, non segnalino le unità nemiche e i loro spostamenti. «Abbiamo i carri armati, però quasi mai ci siamo impegnati in scontri diretti con i tank avversari. I russi in genere usano i loro carri come fossero cannoni semoventi, li interrano, oppure li proteggono con tronchi e cemento. Le armi più efficaci che usiamo in entrambi gli eserciti sono i droni muniti di razzi e i missili anticarro in dotazione alle fanterie». Lo stesso Damianek l’anno scorso rimase gravemente ferito nelle campagne a est di Bakhmut proprio dai colpi sparati da una pattuglia della fanteria russa. «Era il tardo pomeriggio del 3 ottobre. Una giornata difficile, nebbiosa, avevamo combinato poco e ci stavamo lentamente ritirando, quando un primo Fagot ci ha colpito al fianco. I Fagot sono missili anticarro che risalgono agli arsenali dell’Unione Sovietica, vecchi ma ancora efficienti, specie contro i nostri carri che appartengono a quella stessa epoca. Noi eravamo confusi dal fracasso dell’esplosione che aveva leso i timpani, contusi dallo sballottamento nella cabina, però abbiamo provato a sparare egualmente, visto che i meccanismi di puntamento funzionavano ancora. Ma sei secondi dopo è arrivato il secondo scoppio, che ha incendiato il carburante. Siamo riusciti a saltare fuori, però poi tutti siamo rimasti all’ospedale oltre tre mesi». Da allora le lamentele contro questi carri «figli del secolo scorso» non hanno fatto che aumentare. Cabine anguste, ferrose, rese pericolose dagli spigoli rugginosi. «I nostri T-72 vennero costruiti nei primi anni Ottanta, provengono dagli arsenali polacchi e della Repubblica Ceca. Le ultime migliorie risalgono a due decadi fa. Anche i russi li utilizzano, ma i loro sono stati modificati nel 2020-21, dunque sono dotati di corazze più spesse sul frontale e sulle torrette; i loro motori sono più potenti, oltre 1.000 cavalli rispetto ai nostri 760, di conseguenza sono anche più veloci». La speranza di questi carristi sarebbe ricevere i nuovi super-tank tedeschi Leopard 2 o i britannici Challenger 2S, i pochi sofisticati Abrams americani non sono ancora arrivati e restano una chimera. «Però di questi si parla tanto e si vede molto poco. Qui nel settore di Bakhmut noi non ne abbiamo mai incontrato neppure uno. Sappiamo solo che lo Stato maggiore sta cercando di risparmiare il meglio delle armi occidentali per poi scatenarle massicciamente nella prossima offensiva», dice a sua volta Serhii Jidkot, che a 41 anni comanda la brigata corazzata e soppesa con attenzione ogni parola. Lui ribadisce ciò che sappiamo dalle fonti aperte: al momento i russi posseggono circa 2.000 tank, gli ucraini più o meno la metà e però la qualità dei loro arsenali sta rapidamente migliorando grazie agli aiuti Nato. E quando scatterà l’offensiva ucraina? «Non lo vengono a dire certo a me. Osservando dal campo, credo che saranno necessarie ancora almeno tra le due e quattro settimane, o forse più. Il meteo è cattivo, pioverà ancora. Il fango è troppo fresco, in queste condizioni appena escono dalle strade asfaltate i nostri mezzi non riescono a procedere oltre i 30 km all’ora». Nel frattempo, propaganda e disinformazione la fanno da padrone. I comandi di Kiev ieri raccontavano che i russi starebbero obbligando la popolazione delle zone occupate tra Kherson, Melitopol e Zaporizhzhia a evacuare verso la Crimea. Sarebbero ordini simili a quelli che precedettero l’attacco ucraino sul Kherson occidentale in autunno. Ma non è escluso che l’offensiva miri alla conquista del Donbass e queste voci servano soltanto a confondere le acque.
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