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Corriere della Sera Rassegna Stampa
30.03.2023 Nordio: ricorso a Strasburgo
Cronaca di Giovanni Bianconi

Testata: Corriere della Sera
Data: 30 marzo 2023
Pagina: 16
Autore: Giovanni Bianconi
Titolo: «Nordio e il no dei giudici francesi: «Ricorso a Strasburgo con i parenti»»
Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 30/03/2023, a pag. 16, con il titolo "Nordio e il no dei giudici francesi: «Ricorso a Strasburgo con i parenti»", la cronaca di Giovanni Bianconi.

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Carlo Nordio

ROMA «Non c’è niente di eterno, nemmeno le sentenze definitive che pure vanno rispettate», dice il ministro della Giustizia Carlo Nordio, sforzandosi di trovare le parole per commentare quella che il governo italiano vive come una sconfitta; non inattesa ma «che provoca grande dolore e delusione», aggiunge il Guardasigilli: la mancata estradizione dalla Francia di ex militanti di gruppi di estrema sinistra o armati, condannati per reati di sangue commessi quaranta o più anni fa. Il verdetto della Corte di cassazione pronunciato l’altro ieri a Parigi ha chiuso la partita, ma il ministro vuole credere che non sia ancora finita. Senza suscitare false speranze ma tentandole tutte. «Non ci arrendiamo — spiega uscendo da Montecitorio dove ha risposto a un’interrogazione sull’abolizione del reato di tortura che non ha tranquillizzato chi gli ha posto la questione — stiamo cercando di capire se ci sono altre strade, anche con l’aiuto dei familiari delle vittime». Il riferimento è al possibile ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo, che non può essere presentato dal governo bensì «da ogni persona fisica, organizzazione non governativa o gruppo di privati che pretenda d’essere vittima di una violazione dei diritti riconosciuti nella Convenzione o nei suoi protocolli». Dunque i parenti delle persone uccise o un’associazione che li rappresenti, non lo Stato italiano. Tuttavia se anche ciò avvenisse e la Corte di Strasburgo ritenesse (chissà fra quanto tempo) che le sentenze francesi violassero qualche principio sottoscritto anche a Parigi, ciò non implicherebbe la consegna dei condannati all’Italia, ma una sanzione alla Francia. In ogni caso sarebbe un’ulteriore affermazione di un principio politico — la legittimità delle condanne inflitte in Italia e il diritto a vederle applicate — già riconosciuto dall’attuale governo francese, che Nordio continua a ringraziare. L’ha fatto nel colloquio avuto con il collega Eric Dupond-Moretti dopo la pronuncia della Cassazione e lo ripete adesso: «Con lui c’è stata grande collaborazione e comunanza d’intenti, ma la magistratura è autonoma e indipendente. E del resto conoscevamo la giurisprudenza francese che su certi punti è molto restrittiva». Per esempio nel caso dei processi celebrati in contumacia, cioè in assenza dell’imputato, sebbene non tutti i condannati ricadano in questa casistica. Oppure del troppo tempo trascorso dalle condanne, in cui le persone accusate hanno avuto modo di rifarsi una vita alla quale, secondo i giudici francesi, sarebbe ingiusto sottrarli oggi. Anche questa situazione, però, è figlia dei diversi atteggiamenti tenuti dai differenti governi che si sono succeduti in Francia e in Italia. C’è stato un periodo, fino a tutti gli anni Novanta, in cui i giudici d’oltralpe davano pareri favorevoli alle estradizioni (anche per alcuni dei dieci di cui si discute oggi) che non venivano eseguite dai governi di Parigi; ora siamo nella situazione opposta, con il governo favorevole e i giudici che dicono no. Pure l’Italia ha avuto atteggiamenti ondivaghi nel corso dei decenni, con richieste inizialmente caldeggiate, poi abbandonate al loro destino, riprese e successivamente «non coltivate», fino al nuovo intervento nell’aprile 2021 dell’allora ministra Marta Cartabia sostenuta dal premier Draghi (e dal capo dello Stato) che aveva coinvolto direttamente il presidente Emmanuel Macron. Naufragato nell’epilogo di due giorni fa. Al ministero di via Arenula, sulla spinta del Guardasigilli, si stanno studiando altre possibili strade, che però i tecnici vedono strettissime, o destinate a rivelarsi vicoli ciechi. Un’ipotesi è presentare nuove domande per avviare nuovi iter giudiziari, ma c’è l’ostacolo pressoché insormontabile del ne bis in idem, cioè il divieto di replicare giudizi già avvenuti. Un’altra potrebbe essere avanzare un’istanza perché almeno alcuni di quei condannati possano scontare la pena in Francia; ad esempio quelli non giudicati in contumacia, ma anche questa è considerata di difficilissima attuazione. Tanto più che pure chi a Parigi sosteneva la tesi della riconsegna, lasciava intendere che dovesse essere il presupposto per la celebrazione di un nuovo processo in Italia, impraticabile per il governo di Roma. Quello che resta dell’operazione avviata due anni fa, al momento, sono i mandati di cattura europei (e le segnalazioni internazionali) tuttora in vigore, che costringono quei dieci condannati a non uscire dalla Francia se non vogliono rischiare di essere nuovamente arrestati.

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