Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 16/03/2023, a pag.15, con il titolo "Vadim, ingegnere al mortaio: «Sconfiggeremo i russi con il vostro aiuto o senza»" la cronaca di Lorenzo Cremonesi.
Lorenzo Cremonesi
La guerra per gli addetti ai mortai dell’unità «Aske» è ancora quella molto tradizionale del fango, delle lunghe ore chiusi nei ricoveri di fortuna sotto il fuoco nemico, dei bivacchi nelle abitazioni semidiroccate, dei proiettili trasportati a braccia per essere inseriti nella bocca dell’arma che poi viene azionata tirando un cordino. Se non ci fossero il collegamento satellitare con Starlink e la possibilità di ingannare il tempo chattando, la loro esistenza non sarebbe molto diversa da quella degli artiglieri nelle trincee del 1914-18.
Colpi guidati
Attese infinite, noia ingannata tenendo accesa la stufa, lottando con lo sporco, cercando di migliorare la povertà del rancio e interrotte da parentesi d’azione convulsa, dove la preoccupazione di sparare il più rapidamente possibile il massimo numero di colpi è attanagliata dal timore di essere individuati dalle avanguardie russe. Sono qui davanti, dopo le macchie di alberi dietro la prima collinetta, appostate a due chilometri e mezzo di distanza. «Noi obbediamo agli ordini. Via radio o per WhatsApp riceviamo le coordinate di tiro dai punti di osservazione e dalle unità che spiano i russi dal cielo tramite i droni. Quando spariamo, spesso non sappiamo neppure se abbiamo centrato il bersaglio», spiega il comandante, che è il 36enne Vadim, da civile ingegnere aeronautico a Kiev, ma dal 2014 volontario ai corsi ufficiali mortaisti e negli ultimi due mesi impegnato sul tratto di fronte più bollente di tutto il Donbass.
Poche parole
Un tipo burbero Vadim: non è sposato, non ha figli, non ha amori. «Dal 24 febbraio 2022 ho avuto tre brevi licenze e sono andato a trovare i miei genitori anziani a Kiev. Per me quello che conta adesso è ricacciare questi maledetti russi ignoranti e primitivi fuori dal nostro Paese. Se voi europei ci aiutate bene, è anche nel vostro interesse evitare che l’Ucraina non sia invasa. Altrimenti pazienza, ci vorrà più tempo e faremo da soli», dice nel suo inglese essenziale. Con poche parole racconta il nocciolo della sua battaglia per Bakhmut: «Noi dobbiamo impedire che i russi riescano a sfondare da nord e circondare la città. Loro ci provano di continuo, ieri erano quasi arrivati a prendere le nostre posizioni. Noi siamo qui dal 16 gennaio e da allora abbiamo sparato oltre 1.120 colpi col nostro mortaio da 120 millimetri donato dai francesi. È un’arma efficiente, precisa, con un raggio di fuoco che sfiora i 10 chilometri: possiamo sparare 10 colpi al minuto, se superiamo i 15 rischiamo di farla surriscaldare e diventa pericolosa. Ma ci sono giornate in cui non leviamo mai i teli mimetici delle nostre armi. E altre invece in cui siamo in allarme continuo, il 17 febbraio è stato il nostro record con un centinaio di tiri in meno di 24 ore», spiega.
Arsenali a corto
Non nasconde che il loro problema maggiore sono le munizioni: prima ne avevano a sufficienza, ma ultimamente quelle da 120 millimetri iniziano a scarseggiare. «Vediamo che i comandi fanno i salti mortali per farcele arrivare. Lo deduciamo dai Paesi di provenienza, se non arrivano dagli alleati le cercano sul mercato: ne abbiamo avute di francesi, canadesi, iraniane, pachistane, quelle attuali sono americane, tutte ovviamente costruite con i canoni delle armi Nato», racconta. E italiane? «Sì, anche italiane, ma, se non ricordo male, erano anche per mortai di calibro più piccolo», risponde.
Difesa e contrattacco
E i russi, che tipi di soldati sono? Qui a Bakhmut sappiamo che operano i mercenari della Wagner, li considera più pericolosi dei regolari? «Mi lasci dire che Putin ha inviato le sue unità migliori a dissanguarsi nella battaglia per Kiev un anno fa. Io c’ero e, se li paragono con quelli attuali, le differenze sono evidenti. Oggi vedo uomini demotivati, male armati, non addestrati, avanzano soltanto perché sono numerosi, tanto che secondo noi non c’è ormai differenza tra i mercenari della Wagner e gli altri. Arrivano a ondate di 20 o 30 alla volta, anche di notte. Ma non hanno copertura dalla loro artiglieria, talvolta ci sono i carri armati, ci pare abbiano difficoltà a reperire munizioni per i mortai». Durante la trentina di ore trascorse con la loro unità il rombo delle esplosioni non è mai cessato, ora vicino, ora più lontano. Per dormire siamo stati acquartierati nella casupola relativamente intatta dove sta il pronto soccorso, un paio di chilometri indietro rispetto alle piazzole dei mortai. Attorno a noi la devastazione è totale, acqua e luce arrivano a singhiozzo; i pochi civili rimasti sono tutti anziani, dormono nelle cantine e ogni tanto vanno dai soldati per chiedere medicine e cibo. L’ordine che continua ad arrivare perentorio dallo Stato maggiore di Kiev è: resistere, tenere a tutti i costi, per il momento il grosso dell’esercito russo deve restare a intestardirsi per cercare di prendere Bakhmut. La logica è ovvia, anche se questi soldati non vogliono parlarne: l’offensiva di primavera è ormai alle porte, il contrattacco ucraino potrebbe arrivare prima di quanto non si creda. E, più i russi resteranno impantanati in questo settore del fronte, migliori saranno le possibilità di successo.
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