Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 11/03/2023, a pag.9 con il titolo 'Ho voluto dare voce a noi ebrei che ci sentiamo smarriti nel caos: così Israele rischia l’isolamento', l'intervista di Paolo Conti.
Noemi Di Segni
«Non ho rivolto una critica severa al primo ministro d’Israele Benjamin Netanyahu. Vorrei che la mia riflessione non venisse inserita nella dialettica oppositiva contro/pro governo, ma restare una voce che invita alla responsabilità di tutti e in primis di chi governa. Ho voluto dare voce a chi si sente smarrito nel caos delle reciproche accuse. Spiegare cosa ci si aspetta dal governo israeliano in termini di responsabilità e di attenzione al confronto in un momento così drammatico per Israele e, di riflesso, anche per le nostre comunità ebraiche italiane».
Noemi Di Segni dal 2016 guida l’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane (in rappresentanza dei circa 25 mila ebrei italiani): nata a Gerusalemme da famiglia ebraica italiana, ha la doppia nazionalità e ha svolto il servizio militare in Israele. Giovedì a Roma ha espresso le sue riflessioni a Netanyahu sul clima di dura contrapposizione maturato in Israele sulla scia della proposta di riforma della Corte Suprema.
C’è chi, nella Comunità romana, l’ha contestata. Quale è a suo avviso il punto, presidente Noemi Di Segni? «Se in Israele non c’è un confronto costruttivo ma solo una contrapposizione oppositiva e violenta da parte di entrambi gli schieramenti, questo stile e questa spaccatura, oltre a riverberarsi nelle nostre comunità, genera difficoltà nella difesa di Israele su cui tutti ci impegniamo. Un conto è il pluralismo delle idee. Un conto è un modello fatto di scontri che si replica qui. Non va bene in Israele, non va bene in Italia».
Per sintetizzare la sua posizione? «Un invito alla pacatezza, a focalizzare il tema ragionando insieme all’interno di una dialettica politica per capire perché il tema della riforma della giustizia tocca così nel profondo le corde di Israele. Non ci si può barricare dietro a un “è giusto così e basta” che produce gli scontri che vediamo. Guidare un dibattito è diverso che guidare fiumi di gente in piazza che si urlano contro».
Non si rischia di apparire anti-israeliani in questo modo? «Esattamente il contrario. È una posizione di chi si sente israeliano, ebreo e parte del destino di Israele. Un governo non è una realtà astratta dalla popolazione. Un governo propone, un parlamento discute leggi che impattano sulla vita propria e sul futuro dei figli. E ciascuno credo voglia che si vada nella direzione dei valori di uno Stato ebraico. Per me c’è al primo posto il rispetto della vita e degli esseri umani. Può mai essere una soluzione la guerra totale degli uni contro gli altri? Il terrorismo si combatte con fermezza, con le forze speciali, impedendo che nelle scuole di Gerusalemme Est e dei Territori circolino testi carichi di odio».
Qual è il rischio, a suo avviso? «L’isolamento internazionale di Israele, la sua delegittimazione e demonizzazione che prescinde da ogni ragione e da ogni governo, che finisce col dare spazio al terrorismo».
L’ex presidente della Comunità ebraica romana Riccardo Pacifici ha affermato che lei non lo rappresenta… «Non è una novità, non si è mai sentito rappresentato da me. Ma lo sono migliaia di altri ebrei italiani che hanno manifestato queste posizioni. Il bello dell’ebraismo italiano è che ciascuno sceglie da chi farsi rappresentare».
Cosa pensa della traduttrice Olga Dalia Padoa che ha rifiutato di fare da interprete a Netanyahu? «Che istituzioni e ruoli vanno rispettati. Non è corretto contestare, sottraendosi a un ruolo. Vale per tutti: magistrati, piloti, insegnanti e altri».
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