L’Europa e i rischi inevitabili Analisi di Angelo Panebianco
Testata: Corriere della Sera Data: 02 marzo 2023 Pagina: 1 Autore: Angelo Panebianco Titolo: «L’Europa e i rischi inevitabili»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 02/03/2023, a pag. 1, con il titolo "L’Europa e i rischi inevitabili", l'analisi di Angelo Panebianco.
Angelo Panebianco
Wang Yi, l’emissario di Xi Jinping, incontra gli americani a Monaco e poi vola a Mosca da Putin. La Cina propone il suo piano di pace a sostegno dell’alleato russo. La guerra in Ucraina si rivela apertamente per ciò che è sempre stata: posta in gioco in una partita triangolare fra Stati Uniti, Cina e Russia. All’Assemblea generale dell’Onu una schiacciante maggioranza di Paesi condanna l’aggressione russa ma esiste anche, guidata da Cina e India, una consistente minoranza (ne fanno parte, fra gli altri, diversi Paesi africani) che si astiene, rifiutando di schierarsi contro Putin. Il G20 si spacca, con la Cina, ancora una volta, al fianco della Russia. Il mondo è diventato multipolare ma, come ha osservato un acuto commentatore, Robert Kagan, c’è poco da stare allegri. I sistemi internazionali multipolari del passato non erano pacifici: le grandi potenze venivano coinvolte con grande frequenza in guerre locali e, periodicamente, entravano in conflitto (armato ) fra loro. La differenza — e che differenza — è che oggi le grandi potenze (e anche qualche media potenza) dispongono di armi nucleari. L’unico modo che abbiamo noi occidentali per arginare il caos montante in età multipolare, e per difendere i beni di cui abbiamo fin qui goduto (pace, libertà, prosperità) è mantenere, oggi e in futuro, unità e coesione. Proprio ciò che russi e cinesi pensano che non saremo in grado di mantenere a lungo. Le due grandi potenze autoritarie, come recita un antico detto cinese, sono sedute sul greto del fiume e aspettano che passi davanti a loro il cadavere del nemico, del mondo occidentale. E non mancano le ragioni che rendono l’attesa russa e cinese tutt’altro che campata in aria. Dopo le Presidenze del disimpegno (Obama e Trump) con Biden, causa la guerra di Putin, l’America è tornata, è di nuovo impegnata nella difesa dell’Europa. Ma tutto ciò quanto durerà? Non è affatto sicuro che le prossime Amministrazioni americane confermeranno le scelte di Biden. C’è l’Asia, c’è la Cina da contenere, e c’è una società americana divisa e polarizzata una parte della quale non capisce perché i ricchi europei non debbano difendersi da soli. E c’è per contro un’Europa che non è in grado di stare in piedi autonomamente. L’Europa è in una condizione di stallo. Ci sono, a indebolirla, le sue tante fratture (Paesi nordici/Paesi mediterranei; Europa centrale/Europa occidentale) ora meno visibili a causa della pandemia prima e della guerra poi, ma pronte a riesplodere una volta superata la fase più acuta dell’emergenza. Mentre continuano a gettare sale sulle ferite, nei vari Paesi, le pressioni (dette sovraniste) di chi vorrebbe innalzare ponti levatoi per bloccare la circolazione di persone e merci. Una Europa che, non potendo risolvere i propri problemi di leadership (la Francia non ha la forza per assumerla, la Germania non vuole, la Gran Bretagna se ne è andata), non è in grado di darsi, se non sotto la guida americana, una coesione sufficiente per fronteggiare le sfide esterne. Ogni tanto arriva qualcuno che immagina una difesa europea del tutto autonoma dalla Nato. Come se fosse possibile fare accettare agli europei un gigantesco spostamento di risorse dal welfare alla difesa militare. E come se fosse facile spiegare agli elettori che il sacrificio è reso necessario dal fatto che la kantiana «pace perpetua» che essi credevano ormai un dato acquisito (almeno nella nostra parte del mondo) non aveva nulla di perpetuo. Un elemento che indebolisce l’Europa è dato dal fatto che una parte dell’opinione pubblica europea (in Italia è più forte che altrove) è impreparata a fronteggiare i rischi crescenti connessi alla nascita di un mondo multipolare. Possiamo distinguere due categorie: quelli che non hanno capito niente e quelli che hanno capito fin troppo. I primi credono di vivere nel Paese dei balocchi, pensano che Zelensky sia un rompiscatole, pensano che se anche in Ucraina vincessero i russi niente cambierebbe nelle loro vite e in quelle dei loro cari. Credono che la pace di cui godono sia una sorta di condizione naturale che nessuno potrà loro sottrarre, pensano che guerra, oppressione e violenza riguardino altri, che non possano esserne neanche sfiorati. Non hanno mai capito che la loro pace e la loro libertà è stata garantita, dal ’45 ad oggi, dalla Nato. In più, sono quelli che «Franza o Spagna», quelli che pensano che nulla di cattivo potrebbe loro succedere se, vincitore Putin in Ucraina, e in ritirata l’America, la Russia estendesse la sua influenza su un’Europa occidentale fragile, divisa, manipolabile. Né pensano che, se andasse in pezzi la Nato, l’insicurezza collettiva crescerebbe ovunque, anche nei Balcani e nel Mediterraneo. Con l’Italia, per inciso, in prima fila fra i Paesi minacciati. Poi ci sono quelli che hanno invece capito tutto. Sono i nemici occidentali della società occidentale. Detestano, e hanno sempre detestato, il capitalismo, l’individualismo, la nostra «falsa democrazia». Ai tempi della Guerra fredda non vollero mai rispondere a una domanda: perché il muro di Berlino non serviva per impedire ai tedeschi occidentali di «fuggire» ad est, per impedire loro di scappare dall’inferno capitalista? Sono quelli che sperano che russi e cinesi abbiano ragione, che sia cominciato davvero il conto alla rovescia, che l’Europa riuscirà finalmente, prima o poi, a sbarazzarsi della tutela americana. Si ostinano a non chiedersi come sarebbe stata la loro personale esistenza se anziché vivere nella «falsa democrazia» occidentale, ove il potere del governo è limitato e bilanciato da altri poteri, fosse loro toccato in sorte di sottostare al potere illimitato e concentrato di un despota e della sua cricca. Il futuro, come sempre, è aperto. Le sfide che abbiamo di fronte sono tante. La più urgente è convincere gli europei che non viviamo nel Paese dei balocchi, che pace, libertà e prosperità non sono manna caduta dal cielo ma beni di cui abbiamo goduto grazie a un insieme di circostanze che potrebbero svanire. E abbiamo tutto l’interesse a fare in modo che non svaniscano. Nel pericoloso mondo multipolare in cui siamo ormai immersi, non può essere stabilito a priori chi abbia più filo da tessere, chi alla fine uscirà vincente nel braccio di ferro fra le democrazie occidentali e le potenze autoritarie. Le nostre scelte e le nostre azioni decideranno del nostro futuro. Decideranno se saremo noi, come è auspicabile, quelli seduti sul greto del fiume.
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