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Corriere della Sera Rassegna Stampa
18.02.2023 Nella città simbolo della resistenza ucraina
Cronaca di Lorenzo Cremonesi

Testata: Corriere della Sera
Data: 18 febbraio 2023
Pagina: 8
Autore: Lorenzo Cremonesi
Titolo: «Tra i «fantasmi» di Bakhmut sotto le raffiche dei cecchini: «Non saprei dove andare»»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 18/02/2023, a pag.8, con il titolo "Tra i «fantasmi» di Bakhmut sotto le raffiche dei cecchini: «Non saprei dove andare»" la cronaca di Lorenzo Cremonesi.

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Il sibilo dei proiettili in arrivo si ode soltanto appena prima dello scoppio. Chiunque abbia vissuto in zone di guerra ne sa leggere il significato: sono stati sparati da molto vicino, sfiorano i tetti delle abitazioni e in genere risultano di piccolo calibro, molto diversi dai potenti missili che cadono sulle aree centrali dell’Ucraina. Sono colpi continui, anche venti o trenta al minuto, accompagnati dal tintinnio delle finestre che precipitano a terra, le schegge impazzite e lo squasso di tetti e muri. In poche parole: l’intera città di Bakhmut è ormai parte integrante del campo di battaglia. Non c’è alcuna differenza tra i bunker scavati nei prati delle periferie, le trincee, i rifugi dei soldati ricavati dalle cantine, o le scuole, le cliniche, la municipalità, i negozi, le abitazioni civili. I russi sono penetrati nelle periferie orientali, hanno posto i cecchini in un’area di edifici alti 5 o 6 piani e adesso sparano su tutto e tutti, anche se sanno bene che tra i 5-6.000 civili che assurdamente sopravvivono come topi in questa landa di assedio, sofferenza e morte, sono in tanti ad attenderli come «liberatori». Gli altri, la grande maggioranza degli oltre 70.000 abitanti originari di questa, che una volta era la perla del Donbass minerario e industriale, sono ormai da molto tempo sfollati nelle regioni controllate dal governo di Kiev o addirittura emigrati nei Paesi della Ue. «Ve la dico io la verità. Il 90 per cento di coloro che restano ammira Putin e detesta Zelensky. Sta con la dittatura, non capisce cosa sia la libertà europea», dice Alexei, che afferma di avere 58 anni ma ne dimostra almeno 15 di più, incontrato nel cortile di un gruppo di palazzi ancora relativamente intatti nei quartieri occidentali. Alexei è sceso dal suo appartamento per venire a visitare Elena, la vicina 63enne, la quale però spiega la scelta di rimanere con argomenti molto diversi. «Sono anziana, malata, la mia pensione di 2.000 grivne mensili (circa 50 euro) non serve a nulla. Se lascio casa mia divento una povera alla mercé di chiunque. Resto perché non so dove andare e, dovessi morire, importerà nulla a nessuno», spiega seduta in compagnia di due cagnolini nell’androne del suo stabile. Ci saranno una trentina d’appartamenti, ma sembra sia rimasta solo lei. «Durante le ore più dure dei bombardamenti me ne sto qui vicina alla strada, perché se dovesse cadere l’edificio potrei forse cercare di salvarmi», aggiunge, alzando le spalle nell’udire che, dopo le notizie dei nuovi morti civili due giorni fa, la vicepremier Iryna Verashuk è tornata ad invitare la gente ad evacuare. «Partono i giovani, non chi non ha più nulla da perdere come me», reagisce Elena. È l’ottava volta che entriamo a Bakhmut dallo scorso giugno, quando le unità russe, guidate dai battaglioni della milizia mercenaria Wagner, iniziarono a stringere l’assedio. Ma non era mai stato tanto difficile e pericoloso. A metà ottobre il loro capo, l’oligarca Evgeny Prigozhin, aveva promesso a Putin che sarebbe caduta in poche settimane. Poi però i tempi si sono allungati e ultimamente ancora lui ha ammesso che non riusciranno a prenderla per festeggiare il primo anno di guerra entro il 24 febbraio. «Forse tra marzo e fine aprile», ha dichiarato. Intanto i russi si stanno dissanguando: secondo gli osservatori militari occidentali potrebbero perdere sino a 800 uomini al giorno, la maggioranza proprio qui di fronte a noi. Ma, vista da vicino, la posizione degli ucraini appare adesso disperata. A metà dicembre c’erano ancora tre strade di collegamento tra Bakhmut e le retrovie ucraine tra Kostantinisvka e Kramatorsk. Oggi ne resta solo una fragilissima e passa per il villaggio sotto attacco di Chasiv Yar. «I russi avanzano da est, sud e nord. Il loro sforzo è concentrato a tagliare quest’ultima strada. Dall’inizio del mese qui la situazione è peggiorata di giorno in giorno», afferma il poliziotto che controlla il nostro lasciapassare alla periferia di Chasiv Yar. Anche qui le bombe russe colpiscono ovunque, nei boschi attorno si vedono i carri armati ucraini pronti ad intervenire. I loro genieri stanno scavando trincee e mettono in posizione i bunker prefabbricati in cemento grezzo che dovranno servire a garantire una nuova linea del fronte una volta la città dovesse cadere. I tre o quattro chilometri appena prima della zona urbana di Bakhmut sono una sfida con le bombe, le auto li percorrono a 120 chilometri all’ora nonostante il ghiaccio e le buche. E una volta dentro viene naturale sentirsi in trappola. «Giornalisti? Venite ci sono due bambini morti qui nella strada vicino», ci dice un’anziana. Ma anche noi non vediamo l’ora di andarcene. Scappiamo, letteralmente scappiamo da quest’inferno.

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