Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 05/02/2023, a pag. 12, con il titolo "Il figlio dello Scià: 'Agli iraniani serve lo stesso supporto dato all’Ucraina' " l'intervista di Greta Privitera.
Reza Ciro Pahlavi
Se davanti a un iraniano o un’iraniana pronunci il nome Pahlavi, l’espressione del volto arriva prima delle parole. Per il popolo persiano, quel suono è un cimelio del cuore o un’altra memoria d’angoscia: dipende dalla regione e dalla classe sociale di provenienza. È un cognome che evoca libertà e benessere, ma anche repressione e ingiustizia. A quasi cinque mesi dalla morte di Mahsa Amini, Reza Ciro Pahlavi, il principe ereditario e figlio maggiore dell’ultimo Scià, cittadino americano, sta cercando di ritagliarsi un ruolo da intermediario tra gli oppositori democratici al regime di Khamenei, nella speranza di traghettare il Paese verso un referendum che deciderà del loro destino. In viaggio per gli Stati Uniti, ci parla del dolore per i giovani martoriati dal regime e del sogno di fare ritorno a Teheran, dopo 44 anni. Pahlavi s’immagina un Iran democratico, con ottime relazioni con tutte le nazioni, compresa Israele, nemica numero uno dell’ayatollah. Lui, le tre figlie e la moglie sono orgogliosi del movimento Donna, vita e libertà: «Rappresenta l’opposto della Repubblica islamica».
Che cosa manca a questo movimento? «Niente. Gli iraniani si aspettano di più dalla comunità internazionale. La solidarietà è apprezzata, ma non è sufficiente. Le potenze occidentali hanno fatto cose incredibili per l’Ucraina. I miei concittadini meritano lo stesso supporto».
C’è stata una battuta d’arresto nelle proteste. Come può la rivoluzione rovesciare il regime? «Gli iraniani devono continuare così, sulla strada dell’unità e della solidarietà. La gente in piazza ci sta dando un grande insegnamento. Ora spetta all’opposizione imparare da loro».
L’opposizione sembra molto divisa. «In realtà le nostre forze politiche sono sempre più unite. Da tempo sollecito la formazione di una coalizione di partiti basata sull’integrità territoriale, su una democrazia laica e sui diritti umani e un referendum popolare per decidere tra monarchia costituzionale o repubblica costituzionale».
Nell’opposizione ci sono anche i Mujahedin del popolo, tra i più grandi oppositori dello Scià. Che cosa pensa di loro? «Tutte le forze laiche e democratiche riescono ad avere un dialogo aperto e trasparente, nonostante le differenze. Ad oggi, questo gruppo non ha mai dimostrato tale volontà o capacità. Gli ex Mujahedin del popolo sono più bravi di me a spiegare i loro problemi interni».
Che cosa le chiedono gli iraniani in patria? «Di essere la loro voce».
Lei ha molti sostenitori, altri vorrebbero che prendesse le distanze rispetto ad alcune scelte di suo padre. «Sono un uomo indipendente, con i miei principi, i miei valori e il mio curriculum che parla da solo. Per quanto riguarda i precedenti di mio padre e mio nonno, lascio il giudizio al popolo iraniano e alla Storia».
Dice di essere pronto a fare da «traghettatore». Come immagina la transizione? «Attraverso la disobbedienza civile non violenta. Questo movimento ci permetterà di risparmiare vite e consentirà ai membri dell’esercito di unirsi al popolo e di proteggerlo. Credo in un processo di verità, nell’amnistia per i funzionari innocenti e meritevoli e nella riconciliazione nazionale».
Cosa ne pensa dell’accordo sul nucleare?
«Qualsiasi potenza occidentale che cerchi di rilanciare l’accordo interferisce negli affari interni iraniani. Si schiera contro il popolo e a favore del regime di Khamenei, almeno per lui l’ora della verità è vicina».
Che cos a intende? «È vicino il giorno in cui dovrà affrontare la giustizia. Io mi impegno perché riceva un giusto processo per i crimini contro l’umanità che ha commesso».
Qual è la sua speranza? «Spero che noi iraniani potremo godere delle stesse libertà di cui ho goduto in Occidente. Sogno un Paese libero e giusto».
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