Testata: La Stampa Data: 03 febbraio 2023 Pagina: 16 Autore: Anna Zafesova Titolo: «Se lo zar vuole essere il nuovo padre dei popoli»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 03/02/2023, a pag.316con il titolo "Se lo zar vuole essere il nuovo padre dei popoli" il commento di Anna Zafesova.
Anna Zafesova
L' Unione Sovietica rinasce per due giorni a Volgograd: le autorità comunali cambiano i cartelli segnaletici della città con quelli che recano il suo vecchio nome, "Stalingrado", mentre il "padre dei popoli" sorride da manifesti e murali, e un busto a lui viene inaugurato in un tripudio di garofani rossi sul viale degli eroi. La scenografia scelta dagli spin doctor di Vladimir Putin per celebrare l'anniversario della battaglia che aveva segnato la svolta nella guerra contro il nazismo assomiglia più a una ricostruzione storica: la città sul Volga deve ritornare Stalingrado, e il presidente che la visita - paralizzandola totalmente con misure di sicurezza che includono l'oscuramento di Internet - si deve inserire in questo contesto come in una sagoma già ritagliata su misura del suo temibile predecessore. La guerra di invasione dell'Ucraina viene presentata dal capo del Cremlino come la stessa guerra di 80 anni fa, una nuova puntata o forse addirittura la stessa puntata di uno scontro eterno. «Siamo sempre stati combattuti da qualcuno», spiega il presidente russo, e parla di una «ennesima aggressione dell'Occidente collettivo», di un mondo dove «qualcuno combatte sempre contro la Russia, senza sosta». Che la propaganda avrebbe virato verso una identificazione definitiva della invasione dell'Ucraina con la "grande guerra patriottica", come la Russia preferisce chiamarla per estrapolarla da quella Seconda guerra mondiale che Mosca aveva iniziato con un patto con Hitler e aveva concluso insieme agli Alleati occidentali, lo si era intuito già da qualche giorno. I talk show avevano ripreso a parlare di tutte le invasioni subite, indistintamente, mischiando Napoleone nel 1812 e Hitler nel 1941, e il crollo del muro di Berlino nel 1989, in un unico disegno "storico" di distruzione della Russia. È l'ultima carta su cui Putin vuole scommettere: cercare di destare nei propri sudditi la paura - e l'orgoglio - di una grande nazione ferita, «la posta è conservare la Russia», dice, mentre promette nuovi musei per i reduci della "operazione militare speciale", che chiama "eroi" equiparandoli a quelli che avevano combattuto il nazismo. Il sincretismo ideologico e storico è definitivo: siamo al "noi" contro i "loro", il nemico è a Occidente e per combatterlo «non ci limiteremo ai mezzi corazzati». Un'idea di complotto e minaccia, vittimismo e paranoia. La poetessa dissidente Vera Polozkova ha di recente parlato della «offesa come idea nazionale russa». I discorsi di Putin, da anni, sono una risentita e meticolosa lista di torti veri ma soprattutto presunti, elencati con espressione imbronciata e tono di rimprovero. Sentirsi la vittima prediletta dell'Occidente non solo diventa una giustificazione, ma aumenta l'autostima nazionale, ancora scossa dal collasso dell'Urss. In questo compiacimento della frustrazione Putin dimentica alcuni passaggi essenziali della Storia, come quello che l'invasione più devastante per i russi era giunta da Oriente. Oppure che il premio politico più importante dell'Europa unita porta il nome di un russo, Andrey Sakharov, il Nobel per la Pace il cui museo è stato appena sfrattato dal comune di Mosca in un secondo confino postumo. Putin rifiuta dunque l'Europa, come idea, come alleato, come storia comune, e ieri il viceministro degli Esteri Grushko ha annunciato che Mosca non vorrà più rientrare nel Consiglio d'Europa. Altera la visione storica perfino rispetto a quel stalinismo (in versione edulcorata dal breznevismo) nel quale si è formato da giovane: vuole proporre ai russi un passato in cui 30 milioni di sovietici non sono morti in una guerra per liberare l'Europa, ma in una guerra per combattere l'Europa. Però da oggi Stalingrado tornerà a chiamarsi Volgograd: perfino nei sondaggi ufficiali il 67% degli abitanti della città hanno detto di non voler tornare a portare il nome di un dittatore sanguinario. Il cambio delle insegne è stato praticato per immergere il presidente russo nel suo sogno nostalgico lungo un giorno.
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