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Corriere della Sera Rassegna Stampa
11.12.2022 Ucraina: 150 bombe russe al giorno
Cronaca di Lorenzo Cremonesi

Testata: Corriere della Sera
Data: 11 dicembre 2022
Pagina: 16
Autore: Lorenzo Cremonesi
Titolo: «A Kherson la libertà 'costa' 150 bombe al giorno»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 11/12/2022, a pag.16, con il titolo "A Kherson la libertà 'costa' 150 bombe al giorno" la cronaca di Lorenzo Cremonesi.

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«Chi decide di restare gioca a mosca cieca con la fortuna. L’intera area urbana è nel raggio dei cannoni russi. E loro sparano a casaccio: a chi capita, capita», dicono i vigili del fuoco nel tendone del soccorso civile allestito nel mezzo della piazza principale. Da almeno due settimane ormai cercano di convincere i pochi civili rimasti ad abbandonare Kherson, ma dei 330.000 originari ce ne sono ancora 80.000 e non si possono abbandonare alle mercé delle cannonate russe. Così, si adattano, sono addestrati: quando giunge il sibilo delle granate si gettano a terra, stando «più piatti possibile». È un fischio ostile, guai a perdere tempo per guardare in aria, due o tre secondi e poi arriva lo scoppio, che nel nostro caso fa tremare il terreno e le vetrate dietro i ripari di compensato, ma gli effetti letali delle schegge investono un’area di negozietti a circa mezzo chilometro in direzione del fiume Dnipro. Ci rialziamo, notiamo che la lunga coda di persone in attesa dei pacchi cibo e degli aiuti umanitari in un cortile affacciato alla piazza si è dispersa, ma tanti stanno già tornando in fila. Per molti quella resta l’unica possibilità di pasto caldo della giornata. E infatti, quando sopraggiungono tre volontari brandendo i pentoloni del minestrone, sono persino disposti a non abbandonare la postazione, mentre i rombi cupi delle granate tornano a scuotere l’aria umida. Viaggiare tra il fronte di Bakhmut e quello di Kherson aiuta a tracciare similitudini e differenze tra le due aree più attive della guerra voluta da Vladimir Putin. Bakhmut resta una battaglia combattuta da due eserciti che combinano le azioni delle fanterie con i droni, l’aviazione, i tank e le artiglierie. Gran parte dei centri urbani sono semideserti, i soldati dormono nelle trincee, in piena notte ci sono i duelli di pattuglie: per molti aspetti la sfida del Donbass si basa ancora sul coraggio e lo spirito dei singoli soldati. Non così a Kherson. Ci siamo tornati due giorni fa, per raccontare questa che era la provincia più importante delle regioni occupate dai russi a ovest del Dnipro già ai primi di marzo, e che l’11 novembre le truppe ucraine sono riuscite a riconquistare. Oggi si dovrebbe festeggiare il primo mese di libertà. Ma ben poco resta della gioia con cui i civili rimasti sotto il tallone russo accolsero le loro truppe trionfanti. Non che la gente abbia cambiato idea sulle necessità di sconfiggere i piani del Cremlino, tutt’altro, però gli incessanti bombardamenti hanno creato una vera emergenza umanitaria che sembra destinata a restare. «Il messaggio del dittatore Putin è chiaro: se noi russi non possiamo avere Kherson, allora neppure voi ucraini resterete nelle vostre case», dicono Irina (38 anni) e il marito Alexander (37) che assieme alla figlia tredicenne Veronica incontriamo al riparo di un androne. Alexander è un imprenditore edile, da mesi disoccupato. Potenzialmente per lui la ricostruzione sarebbe il momento dorato del rilancio. E infatti inizialmente si era preparato, aveva richiamato i suoi operai, si era dato da fare per trovare i camion e i mezzi sfuggiti alla razzia russa. Ma adesso i bombardamenti paralizzano qualsiasi attività. Veronica soffre di incubi, alcune compagne raccontano delle violenze sessuali commesse dai soldati russi. Si parla di un certo posto di blocco nel villaggio di Alexandrivka, che loro visitavano per andare a trovare i nonni e dove i russi fermavano le giovani coppie. E i soldati spiegano di avere trovato almeno nove celle dove si torturavano i prigionieri: non è semplice convivere con le memorie fresche di una società traumatizzata. E con le bombe, la tentazione di partire cresce. «Un mese fa eravamo certi che il peggio era passato e mai avremmo evacuato le nostre case. Ora non siamo più tanto sicuri», ammette Irina. Alle elezioni municipali del 2020 le liste filorusse avevano guadagnato il 30%. «Ma allora nessuno pensava che Putin avrebbe potuto commettere questi crimini», aggiunge, adesso si dà la caccia ai collaborazionisti, le sfide interne sono aperte. Ancora una volta sono i rombi dei cannoneggiamenti a consigliare di mettersi al riparo. I soldati bloccano chiunque cerchi di arrivare sul lungofiume. «I cecchini russi sparano a chiunque dalla sponda orientale», avvisano. Dimitri Pletenchuk, portavoce dell’amministrazione militare, snocciola dati: una settimana fa cadevano 80 bombe ogni 24 ore, adesso superano le 150, c’è almeno un morto civile al giorno, i feriti sono in media una quindicina. «Sono artiglierie russe da 152 millimetri miste a missili Grad, non mirano, vogliono incutere terrore». Ora si avvicina una seconda notte: i sibili nel buio si fanno più terrificanti.

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