Ucraina: guerra senza tregua Cronaca di Andrea Nicastro
Testata: Corriere della Sera Data: 30 ottobre 2022 Pagina: 13 Autore: Andrea Nicastro Titolo: «I kayak sottomarini imbottiti d’esplosivo e protetti dal cielo: Kiev inganna e colpisce»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 30/10/2022, a pag. 13, con il titolo "I kayak sottomarini imbottiti d’esplosivo e protetti dal cielo: Kiev inganna e colpisce", l'analisi di Andrea Nicastro.
Andrea Nicastro
Odessa Pare un kayak di metallo nero, col pozzetto chiuso e la coperta rinforzata. Ha sensori e telecamere da ogni lato. Può cambiare direzione, fermarsi, aumentare o ridurre la velocità con il suo potente motore a scoppio. A deciderlo è un pilota umano seduto al caldo, lontano centinaia, anche migliaia, di chilometri. Il pilota stabilisce la rotta in base alle bussole, ai geolocalizzatori di bordo e ai video che il battello invia in tempo reale. Il suo compito è arrivare il più vicino possibile all’obbiettivo e farsi esplodere. È uno dei droni navali usati nell’attacco di sabato mattina alla base navale russa di Sebastopoli nella penisola di Crimea. Alcune di queste canoe telecomandate e imbottite di esplosivo hanno zigzagato tra le raffiche di mitragliatrice pesante che gli elicotteri russi gli sparavano contro. E almeno due sono andati a segno. Il segnale video scompare proprio a ridosso delle pareti di una nave da guerra. Secondo alcune ricostruzioni, le canoe sarebbero partite in piena notte dalla costa ucraina per arrivare nella baia di Sebastopoli in contemporanea ai droni aerei (molto più veloci) partiti molte ore dopo. I velivoli servivano a distrarre le difese russe e permettere ai droni acquatici di passare inosservati. Sembra che il piano non abbia funzionato completamente, ma le informazioni sono tutte da verificare. I droni sono i grandi protagonisti di questa guerra d’Europa. Mosca ha denunciato la presenza di un gigantesco aereo senza pilota sul Mar Nero davanti alla Crimea proprio nelle ore dell’attacco. Era un RQ-4B Global Hawk con apertura alare di 40 metri. Pare fosse decollato dalla base di Sigonella, in Sicilia. Droni da ricognizione piccoli, quasi giocattolo, aiutano le unità sul terreno a vedere oltre il limite della trincea senza esporsi. Quelli più grandi restano in volo per ore dando la mappa delle armi e dei movimenti del nemico. Li usano russi e ucraini in egual misura. Quando li hanno. Aerei senza pilota da battaglia possono essere di tutte le misure. I più piccoli di solito sono «a perdere» perché si schiantano sul bersaglio. In mano agli ucraini ce ne sono soprattutto di fabbricazione britannica, in mano ai russi gli ormai famosi «shahid», martiri, made in Iran. Sono invece turchi i droni d’attacco capaci di sganciare bombe e rientrare per le missioni successive. Ne fanno largo uso gli ucraini. Modelli simili made in China sono in mano russa. I droni più grandi costano un ventesimo di un aereo da caccia, hanno meno missili da sparare, ma il pilota non rischia la vita. I migliori sono di fabbricazione americana, ma anche israeliana, cinese e russa. La comparsa di droni navali non è nuova in questa guerra. Sono stati impiegati nella riconquista dell’Isola dei Serpenti sia in attacchi precedenti alle navi russe nel Mar Nero. Nell’attacco di sabato accuse e silenzi fanno parte della nebbia informativa. Quel che è certa è la reazione russa all’attacco di ieri. «In considerazione dell’atto terroristico messo in atto con la partecipazione di esperti britannici», Mosca ha sospeso l’accordo sull’export di grano ucraino firmato il 22 luglio con l’Ucraina e la supervisione di Turchia e Nazioni Unite. L’accordo sul grano ha funzionato. Con qualche lentezza, qualche dispetto tra le parti, ma ha permesso l’export di tutto il grano ucraino nei depositi al momento dello scoppio della guerra e anche di parte del raccolto di quest’anno. Ciò ha liberato i silos e convinto i contadini ucraini a seminare per la prossima stagione. Grano ucraino crescerà anche nel 2023. Il problema sarà esportarlo se i porti rimarranno chiusi. Oleg Kostyuk è general manager del Formag Group, colosso degli operatori logistici nel porto di Odessa. «A causa dei maggiori costi assicurativi e della lentezza generale del corridoio navale — spiega — i costi del nostro grano sono aumentati di circa 30 dollari la tonnellata, quello russo solo di 6 alla tonnellata. Quest’anno però, abbiamo comunque trovato acquirenti. Ora che i russi tornano a chiudere i porti, il problema è che non abbiamo alternative. Abbiamo provato con i porti di Costanza (sulla costa romena del Mar Nero), di Danzica (sulla costa polacca del Mar Baltico) e di Trieste. Ma i tempi sono incomparabilmente più lunghi. Quaranta container di grano sono arrivati a Trieste in 50 giorni via ferrovia. Ne arrivano 1.000 in Cina via nave in appena un mese».
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