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La Stampa - Il Foglio Rassegna Stampa
08.10.2022 La follia del Premio Nobel per la Pace
Due analisi di Anna Zafesova

Testata:La Stampa - Il Foglio
Autore: Anna Zafesova
Titolo: «Il Nobel distratto - Ma ci voleva più coraggio»

Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 08/10/2022, a pag. 12, con il titolo "Ma ci voleva più coraggio", l'analisi di Anna Zafesova; dal FOGLIO, a pag. 1, la sua analisi dal titolo "Il Nobel distratto".

Ecco gli articoli:

"Il Nobel distratto"

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Anna Zafesova

Milano. “Il comitato per i Nobel ha una curiosa idea della parola ‘pace’, se assegna un premio ai rappresentanti di due paesi che hanno attaccato insieme un terzo”: difficile inventare un riassunto più sintetico del Premio per la Pace edizione 2022 di quello fornito dal consigliere della presidenza ucraina Mykhailo Podolyak. Nell’autunno della guerra più terribile della storia dell’Europa dal 1945, che ha scosso e ribaltato le fondamenta di 80 anni di pace sul continente, trovare un candidato all’altezza non sembrava difficile, e tutti gli occhi erano puntati a est. Dopo che alla vigilia nelle scommesse guidava con grande distacco il candidato più ovvio, Volodymyr Zelensky, seguito da Alexei Navalny e dal popolo ucraino nel suo insieme, da Oslo è arrivato un verdetto che ancora prima che lasciare delusi sembra provenire da un’altra epoca, dove i riconoscimenti vengono pesati e centellinati da burocrazie “equidistanti”, e soprattutto molto distanti dalla vita, e dalla morte, di migliaia di persone, in una guerra di cui il comitato per i Nobel sembra non essersi accorto. Nulla da eccepire sui meriti e l’impegno dei tre premiati. Lo scrittore Ales Bialiatski è un dissidente da manuale, indipendentista della prima ora e organizzatore delle prime proteste antisovietiche in quella che all’epoca era ancora considerata la repubblica più quieta dell’Unione sovietica. Fondatore della ong Viasna, del Fronte popolare bielorusso e della comunità dei cattolici, ha alle spalle 40 anni di manifestazioni, pubblicazioni clandestine e arresti: il 4 agosto, il giorno in cui il dittatore Aljaksandr Lukashenka l’ha imprigionato per 4 anni nel 2011, viene celebrato come la giornata internazionale di solidarietà con i dissidenti di Minsk. Bialiatski ha collezionato premi, cittadinanze, opere cinematografiche e teatrali dedicate a lui e riconoscimenti in tutta Europa. Uno dei pochi dissidenti bielorussi a non essere fuggito all’estero, dal 2021 è di nuovo in carcere, accusato di “evasione fiscale”. Memorial, la prima ong russa fondata ancora nella perestroika da Andrei Sakharov, non solo ha creato un archivio unico dei crimini del regime staliniano, ma si è dedicata alla battaglia per i diritti umani nella Russia contemporanea, in particolare (ma non solo) in Cecenia, dove è stata uccisa la sua attivista Natalya Estemirova. Il Centro per i diritti civici dell’Ucraina è una organizzazione meno celebre – se non altro per l’ovvio motivo che, operando in una democrazia, non ha la fama delle ong che sfidano i regimi dittatoriali – che ha denunciato in particolare le persecuzioni dei tatari nella Crimea occupata dai russi. La sua leader Oleksandra Matveychuk ha colto l’occasione del Nobel per chiedere subito l’espulsione della Russia dal Consiglio di sicurezza dell’Onu e invocato un processo contro Putin e Lukashenka per crimini contro l’umanità. Questo Nobel tripartito fra due dittature e una democrazia, e accomunato fondamentalmente da un principio “territoriale” postsovietico, in una strana allusione all’unità dei bielorussi, ucraini e russi tanto cara a Vladimir Putin, è la constatazione di un fallimento. Non è un caso che il premio non venga celebrato in Ucraina, nonostante sia la prima volta che i suoi rappresentanti vengano notati da Oslo. “La voce dei difensori dei diritti umani nella nostra regione non è stata ascoltata, perciò ora parlano gli eserciti”, ha scritto Matveychuk nel suo messaggio (dove la menzione del Nobel arriva in fondo, quasi per inevitabile cortesia). Ales Bialiatski è stato candidato al Nobel più volte negli ultimi 20 anni, e forse un premio ottenuto prima l’avrebbe salvato dall’arresto. Viasna e Memorial sono entrambe state liquidate dai regimi che sfidavano, e un anno fa molti a Mosca speravano in un Nobel per la ong russa che forse l’avrebbe salvata dalla messa al bando, così come un premio per Alexei Navalny – che ieri è stato rispedito di nuovo per 15 giorni in cella di punizione – forse avrebbe reso più difficile per Putin torturarlo. Perfino il premiato dell’anno scorso, il direttore della Novaja Gazeta Dmitri Muratov, era stato costretto a dichiarare che avrebbe voluto il Nobel per Navalny. Una volta i Nobel per la Pace facevano arrabbiare i dittatori. Ora, fanno arrabbiare i premiati.

"Ma ci voleva più coraggio"

Ukraine's Zelensky: 'Israel Gave Us Nothing' - I24NEWS
Volodymyr Zelensky

Il Nobel per la Pace quest'anno è stato un sonoro ceffone per due regimi tra loro alleati: quello di Vladimir Putin in Russia e quello di Aleksandr Lukashenko in Bielorussia. Chiamato a esprimersi nel pieno dell'atroce guerra in Ucraina, il Comitato per il Nobel per la Pace ha deciso di assegnare il prestigioso riconoscimento a un attivista bielorusso ingiustamente in carcere, Ales Bialiatsky; a Memorial, una delle più autorevoli organizzazioni per la difesa dei diritti umani della Russia e del mondo intero; e al Centro per le Libertà Civili di Kiev: un'organizzazione ucraina che in questi terribili mesi di violenza ha monitorato i crimini di guerra e gli abusi di cui sono accusate le truppe russe che hanno invaso l'Ucraina. «Insieme dimostrano l'importanza della società civile per la pace e la democrazia», ha detto Berit Reiss-Andersen, a capo del comitato per il Nobel I nomi dei vincitori sono stati annunciati proprio nel giorno del 70° compleanno di colui che ha ordinato la guerra: il presidente russo Putin. «Non ci interessa», è stato il laconico commento rilasciato dall'ambasciatore di Mosca alle Nazioni Unite. Il premio «è per qualcosa e per qualcuno non contro qualcuno», ha spiegato la presidente del Comitato per il Nobel, Berit Reiss-Andersen, sottolineando che i premiati sono stati scelti per il loro «impegno eccezionale per documentare i crimini di guerra, le violazioni dei diritti umani e gli abusi di potere». Ma proprio per questo il Nobel per la Pace quest'anno è anche una condanna internazionale delle gravissime violazioni perpetrate dai regimi di Mosca e Minsk. «Penso che» l'assegnazione del Nobel «sottolinei come l'idea di Memorial di difesa dei diritti umani e di memoria sia un'idea globale, che non ha confini», ha spiegato una persona che lavora per l'ong fondata ai tempi della perestrojka da un gruppo di dissidenti sovietici, tra cui Andrei Sakharov, a cui fu a sua volta conferito il Nobel per la Pace nel1975. Da decenni Memorial lotta per la difesa dei diritti umani nella Russia di Putin e documenta allo stesso tempo le sanguinose repressioni d'epoca sovietica. Lo scorso dicembre la Corte Suprema russa ne ha ordinato lo scioglimento con una sentenza in cui la accusava di non aver usato in alcune pubblicazioni l'infamante etichetta di "agente straniero" impostale dal regime. Ma dietro c'è anche altro. Un pm ha infatti accusato Memorial di «creare una falsa immagine dell'Urss come Stato terrorista» e di «inquinare la memoria» della Seconda guerra mondiale. Perché Mosca vuole nascondere le pagine buie del passato? «Perché la società che non conosce il proprio passato è più facile da manipolare e dirigere», dice una fonte all'interno di Memorial secondo cui purtroppo dai tempi di Sakharov «non è cambiato così tanto come avremmo voluto». «Spero che la Russia abbia un futuro. Lo spero molto», aggiunge, auspicando «un futuro in cui le vittime avranno un equo risarcimento e i criminali verranno punit». Quel giorno potrebbe non essere vicino. Ieri infatti, poche ore dopo l'assegnazione del Nobel, un tribunale ha ordinato la confisca della sede di Mosca di Memorial. È l'ennesima batosta contro l'ong da parte del Cremlino, lo stesso Cremlino che sicuramente non vede di buon occhio neanche il Nobel al Centro per le Libertà Civili di Kiev: l'ong che monitora le violenze e i crimini di cui sono accusati i soldati russi in Ucraina, e che negli anni passati ha denunciato le persecuzioni politiche in Crimea, e reati e soprusi perpetrati nelle zone dell'Est dell'Ucraina controllate dai miliziani filorussi. Ieri la direttrice dell'ong, Oleksandra Matviychuk, non ha risparmiato dure critiche al governo russo: ha esortato a escludere Mosca dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu e soprattutto ha dichiarato che bisognerebbe istituire una corte internazionale per «assicurare alla giustizia» Putin e «altri criminali di guerra». Il Nobel per la Pace è stato assegnato anche a Ales Bialiatsky: il fondatore dell'ong Viasna, in prima fila nella difesa dei diritti umani in Bielorussia. Bialiatsky è dietro le sbarre per accuse infondate, uno dei ben 1.348 prigionieri politici detenuti nelle carceri del regime di Lukashenko. È già stato ingiustamente in carcere dal 2011 al 2014. Ora rischia 12 anni dopo il feroce giro di vite contro il dissenso ordinato da Lukashenko nel 2020, quando migliaia di persone riempirono le piazze per protestare contro l'improbabile trionfo alle presidenziali dell'"ultimo dittatore d'Europa", ritenuto frutto di massicci brogli elettorali. Il regime ha represso le manifestazioni con la violenza e ora gli oppositori bielorussi sono praticamente tutti in carcere o sono stati costretti a lasciare il Paese.

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