No al velo islamico (e a altri simboli religiosi) al lavoro Cronaca di Francesca Basso
Testata: Corriere della Sera Data: 16 luglio 2021 Pagina: 17 Autore: Francesca Basso Titolo: «Il Tribunale dell'Unione: si può vietare il velo al lavoro»
Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 16/07/2021, a pag. 17, l'articolo di Francesca Basso dal titolo "Il Tribunale dell'Unione: si può vietare il velo al lavoro".
E’ una sentenza che farà discutere. La Corte di giustizia dell'Ue ha stabilito che il divieto di indossare sul luogo di lavoro qualsiasi forma visibile di espressione delle convinzioni politiche, filosofiche o religiose può essere giustificato dall'esigenza del datore di lavoro di presentarsi in modo neutrale nei confronti dei clienti o di prevenire conflitti sociali». La Corte si è espressa sul caso di due dipendenti di aziende tedesche che erano incorse in procedimenti interni per aver indossato il velo al lavoro. In uno dei due casi il datore di lavoro interessato aveva anche chiesto e ottenuto che una dipendente che indossava una croce religiosa la togliesse. La sentenza della Corte si riferisce a qualsiasi forma visibile delle «convinzioni politiche, filosofiche o religiose». I giudici del Lussemburgo sottolineano che la giustificazione del divieto legato alla necessità di esprimere una neutralità «deve rispondere a un'esigenza reale del datore di lavoro» e che «nell'ambito della conciliazione dei diritti e interessi in gioco, i giudici nazionali possono tener conto del contesto specifico del rispettivo Stato membro e, in particolare, delle disposizioni nazionali più favorevoli per quanto concerne la tutela della libertà di religione». Per la Corte il fatto di Indossare segni o indumenti per manifestare la religione o le convinzioni personali rientra nella «libertà di pensiero, di coscienza e di religione». Quando il divieto di indossare segni o indumenti è «Indifferenziato», cioè riguarda tutti i dipendenti, non costituisce una discriminazione diretta fondata sulla religione o sulle convinzioni personali purché il divieto sia giustificato dalla volontà del datore di lavoro di perseguire una politica di neutralità.
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