Riprendiamo dal RIFORMISTA di oggi, 20/05/2021, a pag. 2, con il titolo "Se i media cedono alla propaganda di Hamas torniamo negli anni trenta" l'intervista a Noemi Di Segni di Umberto De Giovannangeli.
Oggi Avvenire titola a pagina 4 "La tensione in Medio Oriente". Con la parola "tensione" il quotidiano dei vescovi liquida il lancio sulle città israeliane di 4000 missili in poco più di una settimana...
La vignetta di Dry Bones: lettera a un amico che condanna l' 'aggressione' israeliana a Gaza: "E' più facile credere a una bugia sentita mille volte... che a una verità che non hai mai sentito"
Ecco l'articolo:
Umberto De Giovannangeli
Noemi Di Segni
Dolore, inquietudine e rigetto di una visione propagandistica della tragedia che si sta consumando a Gaza e in Israele. Sono i sentimenti che dominano nell'ebraismo italiano e di cui Noemi Di Segni, presidente dell'Unione delle comunità ebraiche italiane (Ucei), si fa interprete in questa intervista a Il Riformista.
Bombe, razzi, morte e distruzione. A Gaza, in Israele. Quali sentimenti prova di fronte a tutto ció? Tantissima tristezza, tantissima angoscia e tantissima disperazione e struggimento. Lo strazio è anche per il crimine di donne e bambini utilizzati come scudi umani. Uffici e centrali terroristiche ubicati nei palazzi ordinari civili. Perché? Poi si comincia a ragionare sui ma e i però e i perché. Tutta l'analisi lato israeliano è un'analisi lunga e complessa. Come comunità ebraiche abbiamo a cuore questa situazione sia per l'identità ebraica che abbraccia e comprende Israele e una storia che comprende tutto il sentire ebraico. Per noi Israele è un punto di riferimento e lo Stato d'Israele va difeso e ha il diritto di difendersi e di essere riconosciuto e salvaguardato. Questo da un punto di vista da qui verso Israele. Ma poi da Israele a qui: quello che succede nei territori israeliani, nei territori che sono il controllo dell'Autorità Palestinese, genera un quadro di pressioni e di sentimenti in qualsiasi altra parte del mondo e anche dove ci sono le comunità ebraiche che a loro volta ricevono l'eco di quello che succede in maniera molto forte, come esplicitazione di antisemitismo a livello locale.
Qual è Il segno di questo antisemitismo? È un antisemitismo che nasce da una rappresentazione assolutamente appiattita e monocolore, frutto di una propaganda ben studiata della parte palestinese nelle sue varie articolazioni. L'Autorità Palestinese, il terrorismo palestinese, Hamas e le altre organizzazioni palestinesi hanno un disegno ben preciso, ben chiaro che non accetta l'esistenza d'Israele. E su questo è assolutamente necessario che governi e media capiscano con chi si ha a che fare, con il supporto di potenze note, Iran, Turchia, Qatar... All'interno di questo disegno di distruzione c'è l'uso della propaganda. Israele non mostra le proprie vittime, né quelle degli altri. E non le fa vedere, quelle degli altri, non per negarle, ma perché non crede che sia un modo di comunicare in una situazione di questo genere. Non fa vedere i propri cittadini feriti, massacrati, assassinati. Non li esibisce. Lo stile urlante, quello della propaganda, non ci appartiene. E qui tomo ad Hamas...
E alla sua "guerra" di propaganda... Una propaganda fatta di immagini struggenti, molto gravi che alcuni giornali italiani hanno messo in evidenza. Cosa che non è stata fatta in anni e annidi conflitti e di guerre. Neanche i bambini siriani venivano messi cosi sulle pagine dei giornali per creare pietà nel mondo per quel che succede in altri Paesi con guerre tuttora in corso. Ma per la Palestina si. C'è un modus operandi giornalistico che favorisce la condivisione di immagini, materiali che sono propaganda, non informazioni che arrivano dal lato palestinese. O immagini completamente costruite ad arte, inesistenti nella realtà, di come i soldati israeliani trattano bambini o donne palestinesi. Immagini inventate totalmente, come è facilmente dimostrabile. Questo è qualcosa di letale. Usare una propaganda che penetra a gocce, a gocce che diventano fiumi, nell'opinione pubblica, non solo palestinese ma nei media internazionali ed europei, che finisce per supportare l'azione di chi mira alla distruzione, all'annientamento totale d'Israele e del suo popolo. Questo è esattamente quello che è accaduto prima della Seconda Guerra mondiale. È esattamente la stessa cosa. L'alert io lo rivolgo a chi deve imparare a distinguere un linguaggio da un altro. Questo genera ulteriore stress e ansia. Non si tratta di fare pace "al mignoletto" come fra bambini che hanno litigato. Siamo davanti a una situazione storica e geopolitica estremamente complessa, perché comporta tante ideologie e tanti interessi che vanno anche oltre i confini d'Israele e dei due popoli. Due popoli, due Stati, si ripete.
Impossibile? È uno slogan troppo facile. Due popoli esistono, ma due Stati con chi? Con chi si fa questo Stato palestinese? Questo è l'enorme punto interrogativo irrisolto. E va ricordato che la proposta di costituire lo Stato palestinese è stata fatta nel '47, è stata fatta da Ehud Barak nei negoziati di Camp David e fu risposto no. È stato liberato il territorio di Gaza che da anni non è più sotto controllo. È stato fatto il ritiro unilaterale da parte di Sharon, dopo di che si è detto: organizzatevi in questo territorio. E quel territorio, la Striscia di Gaza, ha un confine con Israele e ha un confine con l'Egitto. Perché quel territorio ha oggi quell'assetto, mentre gli altri territori hanno un assetto diverso? Ci sarà una spiegazione legata anche a chi controlla quei territori per davvero. Perché Israele riesce ad arrivare ad accordi di pace con altre potenze arabe e qui no? Non può essere solo la "cattiveria" israeliana che vuole distruggere il popolo palestinese. Se avessimo voluto distruggere Gaza, perché allora le operazioni sono cosi mirate, chirurgiche? Se uno davvero odiasse, se davvero fossimo come siamo dipinti, allora basterebbe una bomba per radere al suolo tutto in tre minuti. Non è stato fatto perché è chiaro che non è questa la volontà, il disegno. lo vorrei con tutto il cuore che il popolo palestinese vivesse in una situazione di raccordo con la popolazione israeliana, ma quel popolo è sotto il controllo delle proprie autorità che non consente di andare avanti in questa direzione. Come comunità ebraiche siamo preoccupate per questo modo di rappresentare il conflitto israelo-palestinese, in particolare in questo momento cosi drammatico. E ad aggravare la preoccupazione c'è un altro fatto...
Quale? Quello che accade nelle città miste, etnicamente vissute da ebrei israeliani e da arabi israeliani. Ciò che sta accadendo fa malissimo. Perché mentre sulla parte degli accordi con i palestinesi la situazione, anche per quanto riguarda Gaza, è molto complessa e investe negoziati anche a livello internazionale, sul piano delle città miste israeliane, li c'è una sfida che dipende da noi. Da noi tutti, cittadini, autorità locali, governo. Come si vive in armonia, come si convive giorno per giorno, casa per casa, negozio per negozio. lo ricevo tantissimi messaggi, fioccano iniziative per dire noi: vogliamo vivere insieme. Medici, ingegneri, persone che lavorano al supermercato, persone che stanno al lavaggio delle macchine insieme. In qualsiasi fotografia di vita quotidiana, arabi ed ebrei israeliani che esplicitano di voler vivere insieme. E va assolutamente recuperato questo senso di fiducia. La sfida è sul quotidiano. E siccome l'ho visto con i miei occhi, posso testimoniare che si può. Questo dipende da noi. E ciò passa anche per l'isolamento di quelle frange che puntano alla divisione e allo scontro. Israele non è pacco di fiocchi rosa. Ci sono tantissime sfide nella società israeliana, anche all'interno del mondo ebraico. Ma la forza d'Israele non è quella di essere un fiocco rosa. La sua forza è essere una democrazia che affronta i problemi.
E sul versante palestinese? La diplomazia va sostenuta. Un accordo va ricercato. Ma ci sono presupposti dai quali non si può prescindere. Il primo dei quali è il riconoscimento del diritto di d'Israele all'esistenza e la salvaguardia di questo diritto. E poi c'è la strumentalizzazione ideologica che viene fatta su Gerusalemme, e che va ben oltre ciò che si vorrebbe fare di Gaza o sui confini. Haniyeh, il capo politico di Hamas, ha fatto un discorso ideologico su Gerusalemme, che catalizza molto consenso. Lui si vuole affermare come leader. E anche questo sfugge alla comprensione di chi vive in Europa. C'è una dialettica aspra all'interno degli stessi movimenti palestinesi, di chi vuole affermare il proprio potere sugli altri. Il mondo deve capire le ragioni d'Israele. Ciò che sta avvenendo in Israele, a Gaza, riguarda l'Europa, riguarda l'Italia. Non basta guardare da lontano con pietà. Non basta l'appello del Papa. Qui bisogna intervenire e salvaguardare valori che sono della cultura nostra, in Italia e in Europa. E questi valori sono riflessi nella difesa d'Israele. Se non si comprende questo, se si cede alla propaganda e non si fa informazione, si regala ad Hamas il controllo dei valori distorti. E il mondo perde. Ed è quello che è successo negli anni '30. Propaganda, propaganda, propaganda. E poi il disastro.