Stati Uniti: cresce il numero degli opinion leader contro Israele Commento di Viviana Mazza
Testata: Corriere della Sera Data: 19 maggio 2021 Pagina: 16 Autore: Viviana Mazza Titolo: «Gli influencer, le rimozioni. Così la causa palestinese diventa più forte sui social»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 19/05/2021, a pag.16, con il titolo ''Gli influencer, le rimozioni. Così la causa palestinese diventa più forte sui social" l'analisi di Viviana Mazza.
Da dove viene la notizia riportata da Viviana Mazza? La giornalista riprende servizi dei giornali americani più autorevoli, ma non è detto che l'opinione di personaggi famosi sia indicativa di quella della popolazione degli Stati Uniti.
Viviana Mazza
Una recente manifestazione in sostegno del terrorismo palestinese contro Israele a New York
New York Times e il Washigton Post raccontano come, di fronte alle ultime violenze in Israele e a Gaza, qualcosa è cambiato — al Congresso e sui social media — nel modo in cui la sinistra americana parla dello Stato ebraico. «Fino a pochi anni fa sarebbe stato impensabile per politici americani eletti esprimere apertamente solidarietà nei confronti dei palestinesi. Ora i progressisti nel partito democratico capiscono che se restano in silenzio potrebbero pagare un prezzo. E' un cambiamento enorme. Non ho mai visto una tale espressione di solidarietà nei confronti della Palestina sui social e nelle strade», dice al Corriere Ben Ehrenreich, giornalista di origini ebraiche che ha vissuto in Cisgiordania. Da almeno un decennio il focus degli attivisti pro-palestinesi si è spostato dalla creazione di uno Stato palestinese alla difesa dei diritti dei palestinesi. Ora a far sentire la propria voce li ha aiutati la nascita di Black Lives Matter, che ha posto l'accento sulla giustizia sociale e razziale. Già nel 2014 le proteste di afroamericani e palestinesi coincisero durante l'uccisione di Michael Brown in Missouri e l'operazione israeliana «Protective Edge» a Gaza; poi nel 2020 la morte di George Floyd fu accostata a quella di Iyad Halak, un uomo palestinese autistico ucciso da un soldato israeliano, con l'hashtag #PalestinianLivesMatter. Non è un'alleanza nuova: Malcolm X incontrò i leader dell'Olp nel 1964. Ma c'è una differenza enorme: la velocità e la penetrazione dei social media. Le piazze arabe sono relativamente silenziose, sui social si grida forte. La modella Bella Hadid, 24 anni, origini palestinesi, 42 milioni di follower, ha contribuito a rendere «mainstream» la causa palestinese, e il figlio del premier israeliano Netanyahu lamenta che l'unica che possa controbilanciare, Gal Gadot (Wonder Woman) ha twittato in modo troppo neutrale, «quasi fosse svizzera».
Ci sono anche celebrità che scrivono e dopo poche ore cancellano, come Paris Hilton, Kendall Jenner, Ayesha Curry. Domenica scorsa Hadid ha gridato ad una manifestazione: «Dal fiume al mare, la Palestina sarà libera»; l'account ufficiale dello Stato ebraico l'ha accusata di voler «buttare a mare gli israeliani e sostenere l'eliminazione dello Stato ebraico». I fan sono insorti a difenderla, ma poi l'hanno criticata per aver pub bucato un appello alla pace e alla coesistenza con le due bandiere, israeliana e palestinese. Su @diet_prada, un account che non vuole occuparsi solo di moda e che cavalca le polemiche, c'è un fumetto in cui il nome di Israele appare sempre tra virgolette (altri lo scrivono con un asterisco). La rivista socialista americana Jacobin titola: «Israele non ha diritto ad esistere, gli israeliani e i palestinesi si».
Su Instagram e TikTok, sembra che la Generazione Z abbia trovato una propria causa politica. «I ventenni non ricordano la seconda intifada», osserva Joshua Leifer, giornalista 27enne di Jewish Currents. Non ricordano gli autobus e le pizzerie che saltavano in aria. Per un'intera generazione le narrative israeliane di autodifesa non hanno risonanza. L'Olocausto è lontanissimo per loro. «Vorrei vedere più comprensione per le sfumature, ma capisco che reagiscano all'assedio di Gaza e alle discriminazioni in Israele». Sul Washington Post, uno degli editorialisti del momento, Ishaan Tharoor (classe 1984) cita un sondaggio secondo cui la maggioranza degli americani, se fallisce la soluzione dei due Stati preferisce un Israele democratico, anche se non fosse più uno Stato ebraico, piuttosto che un Paese che non garantisca l'uguaglianza ai propri cittadini.
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