Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 24/04/2021, a pag.38 con il titolo "Il dilemma della sinagoga" il commento di Paolo Valentino.
L'antica sinagoga di Amburgo
C'era una volta una sinagoga. Era la più grande del Nord Europa. Vi potevano pregare fino a 1.200 fedeli. Sorgeva ad Amburgo, nel Grindel Viertel, un quartiere dove la vita ebraica era così vibrante da essere conosciuto come la «piccola Gerusalemme». Poi arrivarono i nazisti, con il loro retaggio di morte e distruzione. Nella notte del pogrom del 1938 il tempio venne assaltato e dato alle fiamme dagli sgherri di Hitler, un anno dopo gli ebrei sopravvissuti dovettero farne rimuovere gli ultimi resti. Ottantatré anni dopo, la comunità ebraica amburghese vuole ricostruire com'era e dov'era la Grande Sinagoga sulla ex Bornplatz, ora ribattezzata piazza Joseph Carlebach in memoria di un rabbino deportato e ucciso dai nazisti insieme alla sua famiglia. Ma quello che si voleva come un salto di qualità «nella ricostruzione dell'identità ebraica e nella riconciliazione della città con la sua storia», è diventato un tema esplosivo e lacerante, che spacca all'interno la stessa comunità israelita. È un dibattito che tocca la vita ebraica e la lotta all'antisemitismo, la memoria della Shoah e il futuro, il potere dei simboli e, non ultima, la funzione dell'architettura.
Tutto è cominciato nell'ottobre del 2019, poche settimane dopo l'attentato alla sinagoga di Halle, quando un giovane neonazista uccise due persone, ma per fortuna non riuscì a entrare nel tempio, in quel momento pieno di fedeli. Solo il caso evitò una strage di massa. Lo shock fu enorme nell'intero Paese, dove da anni attacchi e violenze contro gli ebrei continuano ad aumentare, al punto che perfino l'autorità federale preposta alla lotta all'antisemitismo ha consigliato agli israeliti di non andare in giro con la kippah. L'idea di ricostruire l'edificio venne lanciata dal rabbino capo del Land di Amburgo, Shlomo Bistritzky. «Bisogna dare un segnale. Dobbiamo restituire alla vita ebraica la sua normalità e il posto che le appartiene nella vita della città», spiega il rabbino, che insieme al capo della comunità Philipp Stricharz ha proposto di far rinascere una copia conforme dell'antica sinagoga, costruita nel 1906, sullo stesso spazio, oggi vuoto, dove un mosaico di pietre ne ricorda la pianta. Il progetto è andato avanti, appoggiato da un voto unanime del Consiglio comunale di Amburgo e sostenuto dall'impegno del Bundestag a co-finanziarlo con 65 milioni di euro se anche il Senato di Amburgo si impegnerà a stanziare la stessa cifra. Di più, il governo federale ha già messo a disposizione 600 mila euro per uno studio di fattibilità, che dovrebbe essere completato entro la fine dell'anno.
Ma non tutta la comunità ebraica, sia ad Amburgo che all'estero, ha accolto bene il progetto della nuova sinagoga. A guidare il fronte del dissenso è soprattutto Miriam Rürup, oggi direttrice del Centro Moses Mendelssohn per gli studi euroebraici di Potsdam, dopo aver guidato fino allo scorso anno l'Istituto per la Storia degli ebrei tedeschi di Amburgo. Rürup bolla i piani di ricostruzione come «revisionismo storico». Teme che rifare com'era il vecchio tempio, oltre a cancellare il luogo del ricordo che oggi è diventata la piazza, venga interpretato come «la parola fine sulla memoria dell'Olocausto», un addio alla cultura del ricordo. È una posizione condivisa anche da una figura leggendaria della comunità ebraica amburghese come Esther Béjarano, 96 anni, la donna che sopravvisse ad Auschwitz perché suonava la fisarmonica e che ancora oggi porta il suo rap della memoria in giro per le scuole d'Europa: «Non ho bisogno di una nuova sinagoga per sentirmi a mio agio ad Amburgo. La storia non si dimentica. Se rifacessero il tempio così com'era, sembrerebbe che non sia successo nulla, che tutto sia a posto. Sarebbe il segnale sbagliato», mi dice al telefono dalla sua casa di Amburgo. Nello scorso dicembre Rürup, insieme ad altri storici ed esperti, ha pubblicato un documento con undici punti critici del progetto della nuova sinagoga, chiedendo di aprire un nuovo e più ampio confronto sulla sua opportunità: «La ricostruzione sarebbe particolarmente problematica poiché renderebbe invisibile il risultato delle azioni criminali e in tal modo più difficile il ricordo». Il documento cita altri esempi di nuove sinagoghe costruite negli ultimi venti anni, come quelle di Monaco e Dresda, dove «edifici contemporanei dimostrano come sia possibile tradurre in un'architettura al passo con i tempi le necessità della comunità ebraica».
In dicembre la polemica ha anche acquisito una dimensione internazionale, con la firma da parte di 45 accademici e personalità israeliani di una petizione di protesta, nella quale si chiede di lasciare intatto l'attuale mosaico di pietre come luogo del ricordo: «Invece di spendere tanto denaro per una vetrina dell'ebraismo, sarebbe meglio destinare la somma a progetti mirati per lo sviluppo e la promozione della cultura e delle tradizioni ebraiche». Tra i firmatari, l'ex ambasciatore israeliano in Germania, Avi Primor e l'artista Micha Ullman. Forti dell'appoggio della maggioranza della comunità ebraica e delle autorità tedesche, Bistritzky e Stricharz vanno avanti. Ma le critiche non sembrano averli lasciati indifferenti. «Al punto in cui siamo — dice quest'ultimo — non è più se, ma come la sinagoga verrà ricostruita. Alcuni attacchi sono sopra le righe, come quello di voler cancellare il passato. Naturalmente una ricostruzione non può far dimenticare ciò che ci è stato fatto. Questo ci è molto chiaro». II capo della comunità spera che tra cinque, al massimo otto anni, la cupola dorata della Bornplatzsynagoge torni a brillare: «Ci saranno anche la scuola, i caffè, un centro di documentazione sulla cultura ebraica. Il nostro obiettive è mostrare che gli ebrei non sono caduti come un Ufo in Germania, ma che qui è la nostra casa storica e noi apparteniamo a questo luogo». Esther Bejarano rimane scettica. «Viviamo tutti insieme ad Amburgo, tante persone di religione diversa. Invece di una nuova e grande sinagoga mi piacerebbe avere un luogo per ritrovarsi tutti e parlare. Questo sì-sarebbe un grande contributo alla lotta contro l'antisemitismo».
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