Israele dopo le elezioni 3: ecco i risultati quasi definitivi Commenti di Fiammetta Martegani, Micol Flammini, Davide Frattini
Testata:Avvenire - Il Foglio - Corriere della Sera Autore: Fiammetta Martegani - Micol Flammini - Davide Frattini Titolo: «Israele stallo sul governo dei paradossi - Chi è il kingmaker? - Bibi chiama Bennett, nemico e alter ego»
Riprendiamo oggi, 25/03/2021, da AVVENIRE, a pag. 13, il commento di Fiammetta Martegani dal titolo "Israele stallo sul governo dei paradossi"; dal FOGLIO, a pag. 3, con il titolo "Chi è il kingmaker?", il commento di Micol Flammini; dal CORRIERE della SERA, a pag. 16, con il titolo "Bibi chiama Bennett, nemico e alter ego", il commento di Davide Frattini.
Ecco gli articoli:
AVVENIRE - Fiammetta Martegani: "Israele stallo sul governo dei paradossi"
A spoglio quasi concluso, il voto di martedì conferma che Israele è decisamente spaccata in due, e, anche questa volta, formare una coalizione richiederà un mirabilante gioco di prestigio. I risultati confermano il podio al Likud, ma con un successo ridimensionato rispetto ai numeri dei primi exit poll. Per governare, il premier Benjamin Netanyahu avrà bisogno non solo di Naftali Bennett, leader di Yamina, partito della destra radicale vicina ai coloni, ma anche dell'appoggio di una delle liste arabe. Dovrà insomma realizzare la missione (forse) impossibile di mettere insieme gli opposti. Il Likud ha infatti ottenuto 30 seggi. Sommati a quelli dei due partiti ultraortodossi, Shas (9) Uniti nella Torah (7) e Sionismo Religioso (6) si arriva a un totale di 52. Anche mettendoci i 7 seggi di Bennet, il fronte di Netanyahu si ferma a 59. Due seggi meno dei 61 necessari perla maggioranza. Per questo diventano cruciali i voti della neolista islamica Raam, guidata da Mansour Abbas, che, contrariamente a quanto rilevato immediatamente dopo il voto, ha ottenuto 5 seggi. Con lui, Bibi raggiunge quota 64 seggi. Netanyahu aveva già previsto tutto: ha manovrato sul fronte arabo proprio per ritrovarsi nelle condizioni di poter stringere un'alleanza con Abbas, che si è detto fin da subito pronto ad appoggiarlo in cambio di ministeri e aiuti economici per il suo elettorato. A complicare le cose, casomani ce ne fosse bisogno, nel possibile schieramento di Netanyahu c'è Sionismo Religioso, formazione guidata da Bezalel Smotrich, che ha posizioni di ultra-destra contro gli arabi e contro i gay. Il suo numero due, Itamar Ben Gvir, è di formazione kahanista: un'ideologia estremista che crede nella realizzazione di uno Stato di Israele in cui gli arabi non abbiano diritto di voto. Quanto all'altro blocco, quello anti-Netanyahu, non è che le cose siano più facili. A guidare il fronte è Yair Lapid, leader di Yesh Atid, che ha guadagnato 17 seggi, e che si ritrova a sua volta a corteggiare gli arabi, ma di entrambe le fazioni: sia quelli di Raam - con cui ha annunciato un incontro nei prossimi giorni - che quelli della Lista Araba Unita, che hanno preso 7 seggi. Lapid ieri si è pronto a «dialogare con tutti», ma anche lui deve mettere insieme partiti molto distanti: la sinistra dei Laburisti e di Meretz (rispettivamente 7 e 5 seggi) con la destra di Gideon Saar (7 seggi) e di Bennett. Con gli 8 seggi di Blu Bianco, il partito centrista di Benny Gantz - che per tre tornate è stato il principale sfidante di Bibi, ma che da questo ultimo voto è uscito molto ridimensionato - si arriva a 63 seggi. Situazione di pareggio, dunque, tra i due blocchi. La partita resta soprattutto nelle mani di Bennett. Deve scegliere. E qualunque parte scelga, si ritroverà ad aver a che fare con gli arabi, che vede come il fumo negli occhi. Punterebbe a proporre al miglior offerente un governo a rotazione. Dopo il voto, ha dichiarato di voler «agire per il bene di tutti i cittadini di Israele». Ieri Netanyahu gli ha telefonato dicendosi «pronto a fare il bene». Bennett ha preso tempo. Bibi ieri ha sottolineato la vittoria del suo Likud e ha promesso che riuscirà a formare un «governo di destra forte e stabile». «Non dobbiamo in nessun caso trascinare lo Stato di Israele a nuove elezioni, una quinta elezione», ha detto. Ma lo stallo è all'orizzonte. Con un'ultima, paradossale, variante. Se le cose vanno per le lunghe, Benny Gantz potrebbe ritrovarsi premier. L'accordo per il governo a rotazione siglato lo scorso aprile con Netanyahu è ancora formalmente in vigore, e rientrerebbe pertanto nel pacchetto dell"`interim". Se lo stallo si protrae per mesi, in novembre, in base agli accordi, Netanyahu gli dovrebbe passare le consegne. Motivo in più, probabilmente, per puntare a nuove elezioni. Le quinte.
IL FOGLIO - Micol Flammini: "Chi è il kingmaker?"
Roma. Alcuni consiglieri elettorali dei vari partiti israeliani hanno confessato al Jerusalem Post che, "con tutto il rispetto per il voto di martedì", loro si stanno già concentrando sulla prossima elezione. La quinta. Sono chiacchiere, considerazioni, ma ancora una volta la situazione politica in Israele sembra immobile. Con il Likud di Benjamin Netanyahu che continua a essere il primo partito con 30 seggi su 120. Seguito da Yesh Atid di Yair Lapid, che vorrebbe guidare una coalizione contro Bibi che terrebbe dentro un po' di tutto: centro sinistra, sinistra, la destra di Gideon Sa'ar, uscito dal Likud per togliere consensi al premier e finito con soli sei seggi, e di Avigdor Lieberman (anche lui un ex del Likud poi fondatore di Israel Beitenu) e la Lista comune formata dai partiti arabi. In questa coalizione già si litiga, il leader di Israel Beitenu dice che il premier dovrebbe essere lui perché saprebbe quali misure prendere contro Bibi, Lapid è convinto che dovrebbe essere lui il capo del gruppo: è lui che ha preso più seggi. Tra i pro Bibi è chiaro chi sarà il premier, lo stesso da dieci anni: Benjamin Netanyahu. Ma ogni elezione in Israele ha il suo ago della bilancia, il suo kingmaker, il candidato che trama, che costruisce, che aspetta l'offerta migliore. In questa elezione ce ne sono addirittura due. Uno è Naftali Bennett, leader del partito di destra Yamina, che con i suoi 7 seggi si regge in bilico tra i due schieramenti. L'altro era inatteso: Mansour Abbas, leader del partito Ra'am, braccio dei Fratelli musulmani e che i sondaggi davano sotto la soglia di sbarramento. Bennett è uno degli ex di Bibi, è stato suo capo di gabinetto, ha lasciato l'incarico dopo aver litigato con la moglie del premier, Sara, e ha cercato una nuova casa politica. Prima nel partito Bayit Yehudi, poi ha fondato, nel 2019, il suo Yamina. Ma dopo essere uscito dal Likud è stato ministro della Difesa, dell'Istruzione, dell'Economia, degli Affari della diaspora e dei Servizi religiosi negli esecutivi di Netanyahu, per finire nell'ultimo governo, inaspettatamente, all'opposizione. La sorpresa fu grande per lui: fu Bibi a dimostrare di poter fare a meno del suo ex capo di gabinetto formando un governo di unità nazionale con Kahol Lavan di Benny Gantz. Il leader di Yamina potrà decidere se spingere le sorti del paese verso un governo "fortemente di destra", come ha detto il premier, o verso un "governo sano", quello che immagina Lapid. Di critiche Bennett ne ha riservate sia all'uno sia all'altro, ma a Netanyahu è più vicino, si conoscono, sono legati da un'ideologia vicina, e sono abituati a lavorare insieme: i due sono molto bravi a cambiare campo, a corteggiare elettorati diversi. "Il paese è diviso in due culti", ha detto Bennett, "ho deciso di non appartenere a nessuno dei due. Dobbiamo sostituire Netanyahu non perché lo vuole la setta degli anti Bibi, ma perché ha fallito profondamente. E' tempo di dirgli: ciao, grazie, ma ora è il momento di Bennett". Il numero degli ex che ha cercato di superare il primo ministro, di prenderne il posto, di accerchiarlo, di sollevarlo cresce a ogni ciclo elettorale. Anche Lapid è un ex. E tutti hanno sperato di diventare premier "Sodi aver bisogno di ancora qualche mandato e ci sarò", ha detto Bennett commentato gli ultimi sondaggi: "Posso farcela". Continua a non dire con chi andrà, a ripetere che farà ciò che è meglio per Israele. Bennett sapeva di essere destinato al ruolo di ago della bilancia, ma non pensava di potersi ritrovare con un rivale anche nel ruolo del kingmaker. Mentre tutti continuano ad assegnare i suoi seggi al blocco pro Bibi, si concentrano su Abbas, il nuovo arrivato alla Knesset. I 5 seggi di Ra'am sono più avvicinabili da Lapid che così arriverebbe a 61, la quantità necessaria per avere la maggioranza, i due domani si vedranno per trattare. Anche il Likud, nonostante la sua coalizione tenga dentro partiti religiosi (Shas, United Torah Judaism e Religious Zionism), è disposto a parlare con Mansour Abbas, che però ieri sera ha detto che non si sentirebbe a suo agio dentro a una coalizione con partiti "razzisti", facendo riferimento agli alleati di Bibi. Anche il gruppo di Lapid si regge a fatica, il suo programma elettorale è fondato su un solo punto: togliere la premiership a Netanyahu e promuovere riforme per allontanarlo dalla politica. Poi ci sono dissidi, tanti. I partiti di sinistra Labour e Meretz hanno aumentato i loro consensi e si preparano a contendersi la guida del futuro fronte, sempre anti Bibi, ma probabilmente senza Lapid.
CORRIERE della SERA - Davide Frattini: "Bibi chiama Bennett, nemico e alter ego"
I palloncini bianchi e azzurri sono rimasti sul soffitto intrappolati come il discorso della vittoria che Benjamin Netanyahu si era preparato. Fino alle 2.30 del mattino al quartier generale del Likud il premier in carica e i fedelissimi hanno sperato di veder i numeri risalire anche solo di uno-due seggi, sufficienti a raggiungere la maggioranza di 61. I risultati ufficiali saranno comunicati entro domani, restano da contare i voti che vengono chiamati «dei militari» e di fatto raggruppano tutte le schede imbustate prima di martedì in seggi nelle caserme, nelle sedi diplomatiche all'estero o nelle carceri. Per ora né Netanyahu né l'opposizione sembrano avere davanti una strada facile per formare il governo: dopo quattro elezioni in due anni, gli israeliani ne rischiano una quinta. II primo ministro ha aperto da subito le trattative, il suo Likud è comunque il primo partito con almeno 30 seggi. Spera di ottenere l'appoggio esterno della formazione araba islamista e deve assicurarsi il sostegno di Naftali Bennett che in queste settimane non ha escluso di entrare nella coalizione di destra e adesso parla di «stabilità e governabilità». Si conoscono ormai da quasi vent'anni: ex ufficiale delle forze speciali, leader dei coloni che però ha scelto di vivere in un sobborgo residenziale a nord di Tel Aviv, Bennett è diventato milionario dopo aver venduto la sua società di software, ha lavorato tra il 2006 e il 2008 come consigliere di Bibi, quand'era all'opposizione, e si sono lasciati male soprattutto per i dissapori con Sara, la moglie del premier. Dopo aver fondato i suoi partiti assieme ad Ayelet Shaked, anche lei alle dipendenze dei Netanyahu in quei due anni complicati, è stato ministro dell'Educazione e della Difesa di nuovo sotto Bibi fino alla decisione di dimettersi: avrebbe voluto guidare la Sanità, aveva capito da subito che la pandemia era la nuova guerra di Israele, gli è stato preferito un veterano del Likud. Nel primi mesi di diffusione del Covid-19 ha fatto —spiegano i sostenitori e ormai qualche ex critico perfino a sinistra — ciò che avrebbe dovuto fare il premier (e non è la prima volta: ha chiamato Il figlio Yoni, come il fratello del primo ministro ucciso nel raid a Entebbe, Netanyahu ha chiamato i suoi Avner e Yair). Ha girato il Paese da Eilat sul Mar Rosso a Metula verso il Libano raccogliendo dati e cercando soluzioni scientifiche da esperto di informatica. Durante la campagna elettorale ha accusato Netanyahu di malagestione (malgrado il successo nell'immunizzazione del Paese), gli ha rimproverato di essere immerso nelle questioni giudiziarie (è a processo per corruzione), di non aver mantenuto le promesse come l'annessione di parti della Cisgiordania e un intervento militare che tolga Gaza al controllo di Hamas. Nella notte elettorale ha tenuto un discorso più da capo del governo che da numero due. Ha invocato il ritorno all'unità di un Paese ormai spaccato, ha promesso di rappresentare «tutti gli israeliani religiosi e laici, ebrei e arabi, di sinistra odi destra».
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