Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 22/03/2021, a pag.14, con il titolo "'Bibi sì, Bibi no'. La vittoria sul virus spinge Netanyahu" il commento di Nadav Eyal.
Nadav Eyal
La copertina (La nave di Teseo ed.)
Gli israeliani tornano alle urne dopo la più ampia campagna vaccinale in un Paese democratico. Oltre metà degli israeliani sono vaccinati, sopra i quarant'anni si supera l'80%. Da diverse settimane ormai il numero dei contagi è sceso a picco, gli ospedali chiudono i reparti Covid uno dopo l'altro. Benjamin Netanyahu ha trasformato l'operazione vaccinale nel cuore della sua campagna elettorale: negli spot del Likud mostra le strade deserte delle città europee, i negozi chiusi e l'atmosfera cupa a confronto con le strade di Tel Aviv, con i locali che in Israele sono aperti senza quasi più limitazioni. Come sempre quando si tratta di Netanyahu il merito è tutto e solo suo. La verità è più complessa: gli ambulatori su cui si basa il sistema sanitario israeliano sono straordinariamente diffusi sul territorio e possiedono banche dati computerizzate che si sono rivelate assai attraenti per l'azienda Pfizer.
L'Unione Europea ha portato avanti un negoziato zoppicante che intorno a Natale si è bloccato mentre Israele ha anche offerto di pagare un prezzo superiore. Netanyahu si è reso conto die era necessario precipitarsi ad acquistare vaccini nella massima quantità possibile, e questo va senz'altro a suo merito, ma è stato il sistema sanitario pubblico digitalizzato a garantire l'esecuzione e il successo dell'operazione. I cittadini israeliani, in base ai sondaggi fino alla scorsa settimana, si dichiaravano molto insoddisfatti della gestione dell'emergenza Covid-19 da parte del suo governo. Netanyahu spera di ottenere ciò che fino ad ora ha continuato a sfuggirgli: il sostegno della maggioranza parlamentare a quello che chiama un «governo di destra stabile» — di fatto un governo insieme all'estrema destra, incluso un partito che istiga contro il movimento Lgbt, e agli alleati naturali, i partiti ultraortodossi. I vaccini rappresentano per Netanyahu lo strumento più efficace per sottolineare la differenza fra lui e i suoi avversari e far dimenticare il principale motivo dell'instabilità politica: è il primo capo del governo della Storia d'Israele sotto processo per gravi reati di corruzione commessi mentre era in carica, carica che intende continuare a ricoprire durante un processo penale. Per questa ragione, oltre che a causa di rivalità personali, diversi rappresentanti della destra israeliana si sono distaccati per unirsi a quello che viene definito il «blocco del cambiamento», in opposizione al «blocco di Netanyahu». La questione, insomma, non riguarda in alcun modo le politiche, destra e sinistra: si tratta solo ed esclusivamente di «Sì Bibi» o «No Bibi». II fatto è che la questione Covid è quasi del tutto assente dalla campagna elettorale, al di fuori naturalmente della campagna vaccinale. I sondaggi rivelano che nonostante l'eccezionale scossone avvenuto in tutto il mondo nell'ultimo anno, la maggioranza assoluta degli elettori non modifica il suo voto. Sono andati alle urne all'inizio del 2019, poi alla fine di quello stesso anno, una terza volta nel 2020 e adesso a inizio 2021 e il loro voto è rimasto pressoché identico. Se Netanyahu vincerà, sarà solo grazie a due o tre seggi in più per la sua parte. La prima, ovvia, deduzione è che il Covid viene utilizzato dal politici per nascondere temi profondi, nel caso di Israele: la corruzione politica. Ma la distinzione più importante è il tribalismo. Nonostante i rivolgimenti globali portati dal virus lo spazio della politica, la vecchia politica in stile Novecento, è rimasto congelato. Netanyahu ha agito in modo mediocre durante tutta la crisi, ma ha indubbiamente avuto successo nella campagna vaccinale.
La maggioranza dei politici non è riuscita nemmeno in quello. Quando gli storici scriveranno le vicende di quest'epoca, diranno che mentre scienza e scienziati hanno superato se stessi portando a termine in tempi record compiti quasi impossibili, i politici e la politica hanno deluso. Quanti hanno agito con velocità ed efficienza, come Jacinda Ardern in Nuova Zelanda o il governo di tecnocrati a Taiwan, rappresentano l'eccezione che non conferma la regola. È ovvio: le epidemie producono sfiducia nelle istituzioni. È accaduto nel XVI secolo e succede ancora oggi. L'illusione del controllo e della sicurezza fornita da chi detiene il potere si sfracella contro la forza virale del patogeno. II Covid è arrivato in un momento particolarmente delicato. II mondo stava già sperimentando quella che si può chiamare sommariamente una ribellione cieca. Le persone, in particolare la classe media o medio bassa, si sentono attaccate e minacciate: dalla tecnologia, che sta creando un nuovo linguaggio per gli uomini; dal datore di lavoro, che le può licenziare in qualunque momento in favore dell'automazione; per mano della diffusione della cultura occidentale e delle sue basi epicuree, che minacciano ovunque le istituzioni religiose e tradizionali. Insieme queste minacce hanno provocato diverse forme di rivolta contro le strutture di potere dell'ordine mondiale: siano esse rappresentate dalla polizia in alcune città degli Stati Uniti o dalle élite dell'Unione Europea, sono da molti considerate antiquate, vuote o corrotte. Israele arriva alla quarta tornata elettorale in due anni, ma i ribelli si chiedono: che importanza ha chi sarà il vincitore e che importanza hanno avuto le tre elezioni precedenti. Se la nostra politica non subirà una profonda riforma in modo da adeguarsi alla globalizzazione, alla tecnologia e alle sfide che ci pongono, continuerà a sprofondare nell'irrilevanza. Anzi, peggio: il sentimento di ribellione verrà sfruttato per portare guerra contro i valori stessi del progresso.
(Traduzione dall'ebraico di Raffaella Scardi)
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