Un presidente della Repubblica francese non può non commemorare Napoleone Bonaparte. Non avrebbe potuto esimersi Nicolas Sarkozy, ritratto a cavallo e con il cappello bicorno nel celebre fotomontaggio dell'Economist prima delle vittoriose elezioni del 2007, né può tirarsi indietro adesso Emmanuel Macron, del quale è stato spesso denunciato o apprezzato, a seconda dei punti di vista, il lato bonapartista, quella tendenza ad accentrare i poteri, a rivolgersi ai francesi senza intermediari, a porsi come uomo del destino in Europa. E infatti Macron ha annunciato che il prossimo 5 maggio la Francia commemorerà il bicentenario della morte dell'Imperatore. Ma non sono tempi facili per i personaggi storici e per chi deve affrontarne il ricordo. Il portavoce del governo Gabriel Attal ha messo le mani avanti: Napoleone sarà guardato «con gli occhi spalancati» cioè tenendo conto anche dei «momenti più difficili» e delle «scelte che appaiono oggi contestabili». Nessuna cieca santificazione, quindi. Ma se le proteste contro razzismo e colonialismo nei mesi scorsi hanno portato alla distruzione della statua di Victor Schoelcher, artefice nel 1848 dell'abolizione definitiva della schiavitù ma bianco e quindi paternalista, figurarsi cosa toccherà a Napoleone, che nel 1802 ripristinò la schiavitù dopo l'abolizione a opera della Convenzione, otto anni prima. E infatti la Francia ha trovato nell'anniversario napoleonico una nuova occasione per dividersi. «Commemorare, ma non celebrare», raccomanda Hubert Védrine, consigliere diplomatico di François Mitterrand e poi ministro degli Esteri socialista durante la presidenza Chirac. «E’ giusto ricordare Napoleone perché le sue gesta sono esistite, ma non si deve celebrarlo perché si celebra ciò di cui si è fieri, con le nostre mentalità attuali». Molti però sono fieri di Napoleone ancora oggi, come per esempio il deputato dei Républicains (destra) Julien Aubert: «Il 15 agosto 1969 il presidente Georges Pompidou andò ad Ajaccio per celebrare il bicentenario della nascita di Napoleone, la prima di una serie di commemorazioni in tutto il Paese. La Francia del 1969 non aveva alcun problema a rivendicare l'eredità napoleonica perché si riconosceva nell'ambizione di una Francia potente in Europa, con un messaggio da rivolgere al mondo». Ma Napoleone non fu solo il campione dell'universalismo francese, il fondatore del codice civile e del sistema educativo moderno. Le sensibilità dal 1969 a oggi sono cambiate, tanto che l'anniversario suscita perplessità anche all'interno del governo: Elisabeth Moreno, ministra perla Parità uomo-donna, ricorda che «Napoleone è stato uno dei più grandi misogini della storia», ma lei si assocerà, a malincuore, alle decisioni del governo. La memoria di Napoleone suscita interesse anche negli Stati Uniti, dove negli ultimi mesi i media liberal sono stati molto severi con un governo francese sospettato di eccessivi cedimenti a islamofobia, razzismo e misoginia. Con un durissimo editoriale sul New York Times, la storica Marlene L. Daut dell'università della Virginia invita le istituzioni francesi a «prestare più attenzione alla storia schiavista del loro Paese piuttosto che rendere onore a un'icona del suprematismo bianco». Forse ha ragione Teresa Cremisi, grande editrice italiana a Parigi, quando sul Journal du Dimanche evoca una mancanza di distanza, un'incapacità generale di evitare anacronismi ridicoli. E un problema che riguarda non solo Napoleone ma tutti i personaggi storici. «Le controversie sulle commemorazioni assomigliano a liti di condominio E un po' come se la Storia fosse scesa in pantofole nel cortile del palazzo, ci si rivolge al grandi uomini come a vicini di pianerottolo, designati per i loro difetti. È il momento di celebrare Voltaire? Figurarsi, un islamofobo e antisemita. Rousseau? Impossibile, abbandonò i figli. Richelieu? Un traditore nato. Baudelaire? Un drogato misogino e depresso. C'è da domandarsi se almeno Santa Teresa di Lisieux potrebbe sfuggire al cattivo umore dei nostri contemporanei».
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