Riprendiamo dal MESSAGGERO di oggi, 02/02/2021, a pag.9 con il titolo "Cartelle cliniche dei vaccinati alla Pfizer, Israele diventa un laboratorio mondiale", il commento di Cristiana Mangani; dal FOGLIO, a pag. I, l'analisi di Enrico Bucci dal titolo "Il tracciamento israeliano ci dà notizie utili sulle varianti".
Ecco gli articoli:
IL MESSAGGERO - Cristiana Mangani: "Cartelle cliniche dei vaccinati alla Pfizer, Israele diventa un laboratorio mondiale"
Benjamin Netanyahu vaccinato in diretta tv
Corre veloce il piano di vaccinazione in Israele, dove l'obiettivo è di riuscire a immunizzare 1'80 per cento della popolazione entro la fine di marzo. Ed è probabilmente per questo che la Pfizer ha firmato un accordo con il ministero della Sanità, nel quale è previsto che tutta la documentazione di un paziente, che ha già ricevuto prima e seconda dose, venga consegnata ai laboratori della casa farmaceutica per studiarne gli effetti. Israele si propone così di diventare il più grande laboratorio di ricerca contro il Covid. In cambio avrebbe ricevuto 10 milioni di dosi, compresa la promessa di spedizioni di 400.000-700.000 dosi ogni settimana.
DATI GENERALI La notizia ha allarmato le organizzazioni che lottano per la tutela della privacy. Quanti e quali dati passerebbero di mano? hanno chiesto. E poi, qualora un hacker riuscisse a sottrarre queste informazioni, che portata avrebbe il danno? Il governo ha assicurato che il passaggio riguarderà solo statistiche generali e pubbliche e nessun nome o dato che possa far risalire all'identità della persona vaccinata. La sanità in Israele è molto ben funzionante, anche da punto di vista della digitalizzazione e della capacità di reperire e trattare i dati sanitari. Ragione per cui sarebbe stata avvantaggiata da Pfizer e anche da Moderna, con la quale ha sottoscritto identico contratto. È dagli anni 2000, infatti, che il governo ha istituito un poderoso archivio sanitario: ogni visita medica, test, prescrizione e procedura medica per gli utenti degli Hmo (Health Maintenance Organizations) viene memorizzata nei database computerizzati. Questi database sono stati messi a punto per fornire ai medici un accesso completo e aggiornato alle cartelle cliniche dei pazienti. Ragione per cui la campagna di vaccinazione sta procedendo spedita, perché è certamente più facile avvertire i pazienti. «La vera differenza tra il nostro sistema sanitario e il vostro è molto anche nella cartella clinica», spiega Arnon Shahar, responsabile nazionale della task force della vaccinazione anti-Covid del Maccabi health service. Quarantatre anni, un passato da paracadutista nell'esercito israeliano, Shahar si è laureato in Medicina e chirurgia all'Università di Bologna. In Israele si è specializzato in Medicina di famiglia, dirige una grande clinica privata, e 10 mesi fa il premier Benjamin Netanyahu gli ha affidato la direzione della gestione dei pazienti Covid e poi quella vaccinale. In questi mesi i nostri esperti, a cominciare dal professor Giovanni Rezza, direttore Generale della Prevenzione presso il ministero della Salute, e dal professor Walter Ricciardi, consulente del ministro Speranza, si collegano spesso con lui in video per capire come si sta evolvendo l'immunizzazione, visto che Israele ha già vaccinato più di tre milioni di persone, e quasi due milioni hanno avuto anche la seconda dose.
SMS E TELEFONATE «Abbiamo una sanità che funziona molto bene - ammette ancora Shahar - Abbiamo creato 400 postazioni diverse in tutto il paese e avendo i registri dei malati, abbiamo inviato loro un messaggio con gli appuntamenti per la vaccinazione. Nel caso degli ultraortodossi che non hanno gli smartphone, sono state fatte direttamente le telefonate, e se non riusciamo a raggiungerli li andiamo anche a cercare». Detto ciò, però, quello che ancora non consente a Israele di migliorare il numero dei contagiati è la totale assenza di disciplina dei cittadini. Due giorni fa in ventimila haredim (ebrei ortodossi) hanno assistito a Gerusalemme al funerale di un influente rabbino, Rabbi Meshulam Dovid Soloveitchik, capo della scuola religiosa "Brisk", morto a 99 anni per Covid. E ieri, davanti a dati che non migliorano, è arrivata la decisione di chiudere nuovamente le frontiere e sospendere tutti i voli in arrivo dall'estero. «Ora passeremo a vaccinare i più giovani, i trentacinquenni - aggiunge il dottor Shahar - in attesa di conoscere come funziona questo vaccino, e cioè per quanto tempo rimane l'immunizzazione, se copre le varianti inglese, sudafricane, brasiliane e quelle che verranno, e quanto serve per raggiunge l'immunità di gregge. Anche se - conclude - ritengo che non riusciremo ad avere il 90 per cento dell'immunità finché non vaccineremo anche i bambini».
IL FOGLIO - Enrico Bucci: "Il tracciamento israeliano ci dà notizie utili sulle varianti"
Ieri i test positivi al Cov d-19 sono stati 7.925. I morti sono stati 329. Entrambi i dati sono in diminuzione rispetto a quelli di domenica. Le persone ricoverate in terapia intensiva in sono 2.252, 37 in più rispetto a domenica.
Una delle domande che, ovviamente, mi sono rivolte più di frequente è se, dopo avere avuto l'infezione o dopo essere stati vaccinati, si potrebbe nuovamente cadere vittima di Sars-CoV-2, per il fatto che alcune varianti potrebbero essere in grado di evadere la risposta immunitaria. Non si tratta di una domanda peregrina, visto che, per quel che riguarda i coronavirus cosiddetti "stagionali" con cui abbiamo convissuto finora, si è dimostrato che la proteina spike muta frequentemente, consentendo al virus di causare nuovi raffreddori ogni anno. Alla luce del fatto che la risposta anticorpale indotta sia dai vaccini sia dall'infezione con il virus cosiddetto "Wuhan", cioè con i primi ceppi pandemici, perde di efficacia contro varianti di Sars-CoV-2 come per esempio quella sudafricana, è giusto interrogarsi su cosa potrebbe succedere in caso di reinfezione con un nuovo mutante. Purtroppo, al contrario dei coronavirus stagionali, la risposta per Sars-CoV-2 si fonda su dati ancora sporadici, dato lo scarso tempo di osservazione e l'emersione relativamente recente di varianti immunoevasive. Sappiamo che queste varianti diminuiscono, ma non aboliscono del tutto e non nella stessa misura in ogni individuo la risposta neutralizzante degli anticorpi generati da un vaccino o da una precedente infezione; sappiamo anche che la risposta T, quella di tipo cellulare, contro vari coronavirus - incluso quello che causa la Sars - può durare anche molto a lungo, facendo supporre che non sia troppo facile generare mutanti in grado di evaderla completamente. Grazie ad alcuni dati provenienti da Israele oggi sappiamo qualcosa di più.
Un signore di nome Ziv Yaffe, di 57 anni, guarito una prima volta dal Covid-19, è risultato qualche giorno fa essere nuovamente infetto, questa volta dalla "variante sudafricana" del virus. Ritornato in Israele il 16 gennaio, ha cominciato ad avvertire i sintomi di raffreddore il 23 gennaio e ha deciso di sottoporsi a un tampone, visto che era stato comunque arruolato in un programma di follow-up postCovid-19. E' risultato positivo, e il sequenziamento ha rivelato che era stato reinfettato dalla nuova variante di Sars-CoV-2. Il dottor Shai Efrati, il direttore dell'equipe di ricerca che sta seguendo questo paziente, ha dichiarato che si tratta di un unicum, perché è la prima volta che si dispone del record clinico completo di una infezione, della guarigione e della reinfezione con dati correlati al livello anticorpale e alla clinica molto dettagliati; questi dati sembrano mostrare che la reinfezione, in presenza di un buon livello di anticorpi contro Sars-CoV-2, ha comunque un decorso clinico molto lieve, facendo pensare che l'immunità cellulare e gli anticorpi acquisiti, pur se meno efficaci nel neutralizzare la nuova variante, siano comunque protettivi nei confronti delle conseguenze cliniche più gravi. In aggiunta, nonostante prolungati contatti con i suoi familiari e diversi estranei, questo paziente non ha contagiato nessuno con la variante sudafricana. Dal punto di vista scientifico e clinico, si tratta di un "case study", ovvero di una di quelle rondini che da sole non fanno primavera; tuttavia, i dati ottenuti sono compatibili con il fatto che la perdita di immunità anticorpale non è totale - e questo è un dato ormai solido - e che potrebbe esserci una immunità T meno sensibile alla variazione della proteina spike - anche se questa è un'ipotesi. Di certo Israele, grazie al continuo monitoraggio della sua popolazione, continua a fornire dati di rilevanza eccezionale per seguire pandemia, vaccinazioni ed evoluzione del virus.
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