Quest'anno l'Iran ha brillantemente dimostrato di sapere come manipolare i Paesi occidentali per raggiungere i suoi scopi. Uno dei suoi agenti viene colto in un caso flagrante di spionaggio o sta per compiere un attacco? Per farlo rilasciare, niente di più semplice. Basta fermare un ricercatore o un turista che ha avuto la pessima idea di recarsi nel regno degli Ayatollah. È auspicabile, ma non indispensabile, che si tratti di un cittadino del Paese che detiene l’agente. Le proteste di innocenza del malcapitato, accusato di un crimine immaginario, saranno vane, così come lo sarà l'indignazione dei media.
Anche gli interventi diplomatici saranno inutili. Una giustizia prona agli ordini si affretta a condannare l'ostaggio, perché di un ostaggio si tratta, a pesanti punizioni nelle sinistre galere il cui nome stesso ispira orrore. Presto o tardi, i negoziati inizieranno in segreto. Un anno, a volte due anni dopo, l'agente iraniano viene consegnato alle autorità del suo Paese mentre l'ostaggio viene portato in aeroporto per imbarcarsi sull'aereo che lo porta in libertà. I media occidentali salutano in coro il felice esito di una tragedia dalla quale la vittima difficilmente si riprenderà, mentre si diffondono commenti scandalizzati sulle pratiche di Teheran.
Questi stessi media, tuttavia, tacciono stranamente sull'uso di ostaggi da parte delle autorità di Gaza per liberare i loro prigionieri che sono nelle carceri israeliane e che presentano come valorosi combattenti in una giusta lotta contro “l'occupante sionista”. Si sa bene che secondo lo Statuto di Hamas, l'obiettivo di questa organizzazione, ritenuta terrorista da molti Paesi, è quello di distruggere Israele per fondare un califfato islamico sulle sue rovine. Il suo slogan, “Dal fiume al mare la Palestina sarà libera” - il fiume è il Giordano e il mare, il Mediterraneo - non lascia spazio ad alcuna ambiguità.
I negoziati in corso in questo momento mediante l'intermediazione degli egiziani dovrebbero, allo stesso modo, coinvolgere alcune coscienze. Hamas chiede a Israele di rilasciare dozzine dei suoi militanti con un pesante passato terroristico, responsabili dell'assassinio di civili indifesi. La controparte? I poveri resti di due soldati israeliani morti negli scontri del 2014. Le loro famiglie, che vogliono dare loro una degna sepoltura, stanno facendo pressione sul governo. Come “bonus” Hamas è disposto a cedere generosamente a Israele, Hicham al-Sayeed e Avéra Mengistu, due civili israeliani, il primo, un beduino, il secondo, nato in Etiopia, entrati nella Striscia di Gaza deliberatamente o per errore. Si dice che entrambi soffrano di disturbi psichiatrici. Alla Croce Rossa non è stato permesso di visitarli e le loro famiglie non hanno avuto loro notizie.
Nikolai Mladenov
Ci sarebbe piaciuto, ancora vorremmo sentire, Nikolai Mladenov pronunciarsi in merito a questa vicenda, lui che fino alla scorsa settimana è stato il coordinatore delle Nazioni Unite per il processo di pace in Medio Oriente, lui che ha spesso fatto prediche a Israele, e Joseph Borrel, responsabile della politica estera dell'Unione Europea e, perché no, anche il Segretario Generale delle Nazioni Unite in persona. Ci sarebbe piaciuto, vorremmo ancora che spiegassero nel modo più cortese, più diplomatico ma con la massima fermezza ai dirigenti di Hamas cosa c'è di disumano, di ripugnante in questo sordido mercanteggiamento. Purtroppo, così non è, e verosimilmente non sarà.
Michelle Mazelscrittrice israeliana nata in Francia. Ha vissuto otto anni al Cairo quando il marito era Ambasciatore d’Israele in Egitto. Profonda conoscitrice del Medio Oriente, ha scritto “La Prostituée de Jericho”, “Le Kabyle de Jérusalem” non ancora tradotti in italiano. E' in uscita il nuovo volume della trilogia/spionaggio: “Le Cheikh de Hébron".