La strategia di Erdogan Cronaca di Monica Ricci Sargentini
Testata: Corriere della Sera Data: 28 ottobre 2020 Pagina: 19 Autore: Monica Ricci Sargentini Titolo: «Il gioco di Erdogan»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 28/10/2020, a pag.19, con il titolo "Il gioco di Erdogan" il commento di Monica Ricci Sargentini.
Monica Ricci Sargentini
Recep T. Erdogan, Emmanuel Macron
La strategia del presidente turco Recep Tayyip Erdogan nei recenti attacchi for A senati al suo omologo francese Emmanuel Macron e all'Unione Europea è chiara: ergersi a leader e difensore dei musulmani nel mondo contro un Occidente sordo ai giusti valori. E, per ora, questa politica ha pagato. Ieri il «Grand'uomo», come lo chiamano ormai in patria, ha incassato il pieno appoggio del Parlamento turco. A votare il testo che condanna le azioni del leader dell'Eliseo sono stati anche due dei tre partiti di opposizione: i repubblicani secolaristi del Chp e i nazionalisti dell'Iyi Parti di Meral Aksener. «Ogni tensione in politica estera — spiega al Corriere Van Dundar, l'ex direttore del quotidiano di opposizione laica Cumhuriyet — lo aiuta a distogliere l'attenzione dal disastro dell'economia turca e lo fa risalire nei sondaggi. Contro Macron è riuscito persino ad avere il consenso dei socialdemocratici. Cos'altro potrebbe volere?». Quello che Erdogan non ha proprio digerito è stato l'annuncio di Macron, all'indomani della decapitazione di Samuel Paty a Parigi, di voler rafforzare i controlli sui luoghi di culto musulmani e porre fine all'arrivo di imam dall'estero (per una buona metà turchi). Nel mirino c'è il movimento religioso Milli Görü (Visione Nazionale) che è il braccio armato di Ankara in Europa con 500 moschee di cui 71 solo in Francia. Fondato nel 1969 dall'ex premier Erbakan e diffuso in molti Paesi dell'Unione Europea, tra cui l'Italia, l'organizzazione afferma che l'ordinamento della società occidentale è profondamente sbagliato e che il declino del mondo musulmano è il risultato della sua imitazione dei valori occidentali. Ankara, attraverso l'Unione degli affari culturali turco-islamici (Ditib), investe ogni anno ingenti risorse per promuovere l'islam turco all'estero, soprattutto in Francia, e ora rischia di avere le mani legate. Nei primi anni 2000 e anche oltre la Turchia poteva vantare un ruolo positivo nel Mediterraneo e nel Medio Oriente. L'economia cresceva a un ritmo importante e il suo governo veniva additato come un esempio di democrazia. Oggi la lira turca è ai minimi storici, l'inflazione galoppa e il debito del Paese aumenta. In politica estera si è passati dalla famosa filosofia «zero problemi con i vicini», coniata dall'allora ministro degli Esteri Ahmet Davutoglu, all'odierna «zero vicini amici». Non solo la Grecia e l'Armenia ma anche l'Iraq, l'Egitto, la Siria, gli Emirati Arabi, per citarne alcuni. Recentemente in Arabia Saudita è stata lanciata una campagna per boicottare i prodotti turchi che ha avuto successo in diversi Paesi, tra cui il Marocco, l'Egitto, il Bahrein e gli Emirati. In più c'è da mettere in conto la minaccia di sanzioni da parte degli Stati Uniti e dell'Unione Europea esasperate dalle continue provocazioni di Erdogan Per uscire dall'angolo e riconquistare consensi «il Sultano» deve attaccare. Qualche settimana fa l'istituto di sondaggi Avrasya lo dava perdente in un'ipotetica sfida alle presidenziali del 2023 contro il sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu. Oggi, però, il presidente turco ha ribaltato il tavolo e si è imposto come portatore di una «rivoluzione culturale». Dal Medio Oriente all'Asia centrale decine di migliaia di persone ma anche governi si sono uniti alla protesta contro la Francia. E la sua popolarità in patria è risalita. «Erdogan vive di conflitti, esagerazioni e manipolazioni. Mi ricorda, in piccolo, Slobodan Milosevic nei primi anni '9o. Solo i russi riescono a tenergli testa perché usano i suoi stessi metodi — dice al Corriere Cengiz Aktar, docente di scienze politiche all'Università di Atene, un passato nelle Nazioni Unite e nell'Unione Europea —, gli occidentali pensano ancora di poterci dialogare, di riuscire a farlo sedere a un tavolo. Non hanno capito che più cercano di placarlo, più lui diventa aggressivo». La Libia, il Nagorno-Karabakh, la Siria, la questione curda, Kastellorizo, Cipro. Tanti fronti aperti. «Tutto ciò finirà male — continua Aktar —, l'economia potrebbe arrivare presto al collasso e per gli europei ciò significherebbe l'arrivo di migliaia di profughi, turchi non siriani». II problema è che le crisi e le polemiche create all'estero, prima o poi, avranno una ripercussione sulla situazione economica. In poco tempo la Turchia potrebbe ritrovarsi molto esposta finanziariamente e totalmente isolata. Quando questo succederà l'opinione pubblica darà la colpa ad Erdogan. Una richiesta di aiuto al Fondo Monetario Internazionale potrebbe comportare anche una serie di vincoli in politica estera. A quel punto il «Sultano» non potrà più mostrare i muscoli e da salvatore e difensore del mondo musulmano contro il cattivo Occidente diventerà il presidente di una nazione pária. L'economia è il suo tallone d'Achille.
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