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La Repubblica - Corriere della Sera - Il Manifesto Rassegna Stampa
24.10.2020 Ecco la pace Sudan-Israele
Commenti di Sharon Nizza, Davide Frattini, condoglianze a Michele Giorgio

Testata:La Repubblica - Corriere della Sera - Il Manifesto
Autore: Sharon Nizza - Davide Frattini - Michele Giorgio
Titolo: «Israele, la nuova svolta. È pace con il Sudan Gli Usa: 'Ora i sauditi' - La terza pace di Bibi Netanyahu: tocca al Sudan - Dall'Olp a Netanyahu, il Sudan normalizza i rapporti con Israele»

Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 24/10/2020, a pag. 23, con il titolo "Israele, la nuova svolta. È pace con il Sudan Gli Usa: 'Ora i sauditi' ", l'analisi di Sharon Nizza; dal CORRIERE della SERA, apag. 18, con il titolo "La terza pace di Bibi Netanyahu: tocca al Sudan", il commento di Davide Frattini; dal MANIFESTO, a pag. 8, con il titolo "Dall'Olp a Netanyahu, il Sudan normalizza i rapporti con Israele", il commento di Michele Giorgio.

Condoglianze a Michele Giorgio, che si vede costretto ad annunciare un nuovo successo diplomatico di Israele, la pace con il Sudan. Immaginiamo che il giornalista del quotidiano comunista abbia sofferto non poco scrivendo l'articolo odierno. I fatti parlano però chiaro: si annunciano tempi difficili per gli odiatori di Israele.

Ecco gli articoli:

LA REPUBBLICA - Sharon Nizza: "Israele, la nuova svolta. È pace con il Sudan Gli Usa: 'Ora i sauditi' "

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Sharon Nizza

«Oggi Khartum dice sì alla pace, al riconoscimento di Israele e alla normalizzazione». Così Netanyahu ha comunicato ieri agli israeliani che anche il Sudan ha deciso di imbarcarsi nel processo di normalizzazione con lo Stato ebraico, diventando il terzo Stato musulmano a procedere in tal senso in due mesi, dopo Emirati Arabi Uniti e Bahrein. Il Sudan aveva attivamente partecipato alle guerre del ’48, ’67 e fornito armamenti all’Egitto durante la guerra del Kippur. Fu proprio nella capitale sudanese che la Lega Araba pronunciò i famosi "Tre no" che chiudevano a qualsiasi dialogo con Israele – quelli che Netanyahu nella sua dichiarazione ha ribaltato in positivo. Israele ha preso di mira in passato convogli iraniani transitati in Sudan per l’armamento di Hamas. In serata si è svolto un primo colloquio telefonico ufficiale tra Trump, Netanyahu e i leader sudanesi Abdel Fattah al-Burhan, presidente del Consiglio Militare di Transizione e il premier Abdalla Hamdok. La divisione tra l’anima militare e quella civile del governo, con la seconda più esitante rispetto alla mossa, è emersa fino all’ultimo. Decisivo l’impegno di Trump, formalizzato ieri, di rimuovere il Sudan dalla lista degli Stati sponsor del terrorismo. In cambio gli Usa hanno ottenuto anche 355 milioni di dollari dal Sudan come risarcimento per le vittime americane di attentati terroristici che hanno visto il coinvolgimento del Paese africano. Somma che probabilmente verrà azzerata dagli ingenti aiuti che gli Usa hanno promesso di inviare ora a Khartum per ridurne l’immenso debito pubblico. Una fonte Usa ha annunciato anche che il Sudan inserirà Hezbollah nella lista delle organizzazioni terroristiche. «Si è parlato molto in questi mesi dell’apertura a Israele. Mentre c’era esitazione da parte dei leader, l’opinione pubblica è felice di questa opportunità, gli oppositori sono marginali. Il popolo sudanese vuole vedere il proprio Paese avanzare. Le relazioni con Israele avranno effetti positivi«, dice a Repubblica Mudawi Ibrahim Adam, storico attivista sudanese per i diritti umani che ha partecipato anche alla rivoluzione che l’anno scorso ha messo fine alla dittatura trentennale di Omar al-Bashir. L’amministrazione Trump ha lavorato intensamente («Pompeo chiama Khartoum a giorni alterni« aveva detto Ibrahim già il mese scorso) per incassare questo nuovo risultato in politica estera, nella speranza che possa avere un impatto sulla corsa presidenziale. Corsa che ha trovato spazio nella telefonata tra i leader, con Trump che ha chiesto a Netanyahu: «Bibi, pensi che Sleepy Joe avrebbe potuto fare questi accordi? Non credo…" (Netanyahu ha risposto con un diplomatico «Apprezziamo l’aiuto per raggiungere la pace da parte di chiunque negli Usa»). Trump ha parlato di altri cinque Stati arabi, tra cui l’Arabia Saudita (Oman e Marocco pare siano in cima alla lista), che l’amministrazione prevede apriranno a breve a Israele. E si è spinto oltre: «Vorrei vedere anche l’Iran aggregarsi». Netanyahu non esclude: "Ero contrario all’accordo precedente (quello sul nucleare, ndr ), ma un nuovo accordo con l’Iran sarebbe benedetto".

CORRIERE della SERA - Davide Frattini: "La terza pace di Bibi Netanyahu: tocca al Sudan"

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Davide Frattini

Un aereo israeliano è atterrato all'aeroporto di Khartoum verso la fine di maggio, un volo che avrebbe dovuto rimanere segreto come i negoziati che Najwa Gadaheldam stava portando avanti. La diplomatica sudanese cercava la pace tra i due Paesi nemici, non ha potuto assistere alla sua vittoria, è morta in pochi giorni colpita dal Covid-19, i medici erano partiti da Tel Aviv per cercare di salvarla. Da allora le trattative sono andate avanti coni consiglieri di Trump a fare da mediatori, a mettere sul tavolo quella che per il Sudan è l'offerta più vantaggiosa: Washington promette di toglierlo dalla lista delle nazioni che sostengono il terrorismo e di cancellare le sanzioni. In cambio Israele continua ad allargare — dopo Emirati Arabi e Bahrein — la nuova alleanza con il mondo arabo e islamico. I contatti vanno avanti dalla caduta di Omar al Bashir un anno e mezzo fa, deposto dopo le proteste popolari: il consiglio militare che ha preso il potere e il primo ministro Abdallah Amdok hanno capito che la mossa diplomatica li avrebbe aiutati a uscire dalla crisi. Il passo verso Israele chiude per il Sudan il cerchio delle ostilità ratificato proprio a Khartoum nel 1967 dopo la Guerra dei sei giorni. Una riunione della Lega Araba convenuta nella capitale aveva approvato la risoluzione conosciuta come quella dei tre «no»: «No alla pace con Israele, no al riconoscimento di Israele, no ai negoziati». Cinquantatré anni dopo la situazione nella regione spinge a cercare intese diverse. Trump ha accelerato perché i primi sì di Emirati, Bahrein e Sudan potessero venire annunciati prima delle elezioni del 3 novembre. Ripete che se fosse rieletto anche gli iraniani lo chiamerebbero il giorno dopo per negoziare un accordo. Ieri è arrivata la conferma — il premier Benjamin Netanyahu era rimasto ambiguo sul punto — che gli Emirati in cambio del patto hanno ottenuto dagli Stati Uniti la fornitura degli F-35. Pino ad ora i governi israeliani si erano sempre opposti alla perdita del vantaggio strategico in Medio Oriente garantito dagli armamenti americani.  

IL MANIFESTO - Michele Giorgio: "Dall'Olp a Netanyahu, il Sudan normalizza i rapporti con Israele"

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Michele Giorgio

«Oggi annunciamo un'altra svolta sensazionale verso la pace. Un altro paese arabo entra nel cerchio della pace: questa volta si tratta della normalizzazione fra Israele e Sudan». Netanyahu ha commentato così l'annuncio di Trump dell'accordo che mette fine allo stato di belligeranza tra Khartum e Tel Aviv e darà inizio alla normalizzazione tra i due paesi. Poco prima il premier israeliano aveva avuto un colloquio telefonico con i leader sudanesi - il premier Hamdok e il capo del consiglio di transizione al Burhan-e il presidente americano. Tutto era pronto da mercoledì: una delegazione israeliana di alto profilo si è recata a Khartum. Ieri mattina Trump ha annunciato la rimozione del Sudan dalla lista dei paesi che gli Usa accusano di «sponsorizzare il terrorismo». A quel punto si è capito che l'annuncio della terza normalizzazione dopo quelle tra Israele con Emirati arabi e Bahrain era una questione di ore. Il Sudan aderisce all'Accordo di Abramo, firmato il 15 settembre alla Casa Bianca. Quanto i nuovi leader che hanno rimosso al Bashir siano andati a braccia aperte verso i loro interlocutori israeliani è difficile valutarlo. Lo scenario è mutato, e non poco, rispetto a 18 anni fa quando il mondo arabo si diceva unito nel sostenere il principio «della pace per la terra» e che la normalizzazione con Israele si sarebbe realizzata solo in cambio del ritiro dai territori arabi e palestinesi occupati dallo Stato ebraico nel 1967. Ma l'impressione è che il Sudan, con una popolazione alla fame, sia stato spinto all'accordo dal diktat di Trump: niente rimozione dalla black list e aiuti internazionali senza la normalizzazione con Tel Aviv. II meno celebrato dei tre accordi in realtà è il più significativo. Khartum è stata una delle capitali più schierate a favore dei diritti dei palestinesi e in passato ha accolto migliaia di combattenti dell'Olp. «Il Sudan che normalizza i rapporti con l'occupazione israeliana è una nuova pugnalata alla schiena ma non piegherà i palestinesi che proseguiranno la lotta per i loro diritti», ha commentato Wasel Abu Yusef, del Comitato esecutivo dell'Olp. Netanyahu esagera ma fino a un certo punto quando parla di svolta sensazionale. Il Sudan di fatto è stato impegnato in una guerra a distanza con Israele. Ha sostenuto il movimento islamico Hamas e mantenuto un'alleanza militare e politica con l'Iran e il movimento sciita libanese Hezbollah. Tra il 2008 e il 2014 l'aviazione israeliana ha colpito più volte nel paese africano. E il premier israeliano ieri ha ricordato che a Khartum, nel 1967, furono enunciati i «tre No» della Lega araba: «No alla pace con Israele, no al riconoscimento di Israele, no a trattative con Israele». Cinque decenni dopo Israele arriva ufficialmente a Khartum e Porto Sudan con i suoi apparati di sicurezza e intelligence.

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