Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 15/10/2020, a pag.15, con il titolo "Samy Nader: 'Con il negoziato Beirut riconosce di fatto Israele' ", l'intervista di Stefania Di Lellis a Samy Nader; da AVVENIRE, a pag. 17, con il titolo "Israele e Libano allo stesso tavolo", il commento di Camille Eid; dal MANIFESTO, a pag. 9, con il titolo "A colloquio con Israele. Ma Beirut insiste: non è dialogo politico", il commento di Michele Giorgio.
Mentre è di grande interesse l'intervista a Samy Nader, Eid e Giorgio continuano l'opera di disinformazione contro Israele. Camille Eid fornisce i dettagli del negoziato tra Libano e Israele, ma aggiunge al pezzo un breve paragrafo che non ha nulla a che fare con questa notizia, e che riporta invece un progetto edilizio israeliano: cosa normalissima in qualunque Paese del mondo tranne lo Stato ebraico, dove viene preso a pretesto per attaccare il governo di Gerusalemme.
Molto peggio fa Michele Giorgio, che si oppone alla pace tra Israele e parti del mondo arabo sunnita e fa di tutto per nascondere i progressi fatti dalla diplomazia. Giorgio, come il quotidiano comunista su cui scrive, è da sempre comprensivo con il terrorismo islamista contro Israele, che in Libano corrisponde a Hezbollah. Non stupisce quindi che si schieri contro la pace in Medio Oriente.
Ecco gli articoli:
LA REPUBBLICA - Stefania De Lellis: "Samy Nader: 'Con il negoziato Beirut riconosce di fatto Israele' "
Samy Nader
L’incontro è stato breve, sotto una tenda blu montata lungo il confine tra i due nemici. E per ora si è deciso solo di tornare a parlare tra due settimane, il 28 ottobre. Ma il negoziato cominciato ieri tra Israele e Libano per la definizione della frontiera marittima rappresenta una svolta. «Non è pace – dice l’analista libanese Samy Nader del "Levant Institute for Strategic Affairs" – ma è l’inizio di un percorso che comporta de facto il riconoscimento di Israele come Stato interlocutore da parte del Libano, con Hezbollah ai comandi».
Samy Nader, si tratta solo per definire i confini marittimi? «La questione della frontiera in mare si trascina da anni, si tratta di negoziati importanti. Ma non solo perché Israele e il Libano parlano. Ci sono già stati colloqui su questioni di sicurezza. Rilevante è che il Libano è controllato da Hezbollah, la cui ideologia non riconosce Israele: se ci sarà accordo sarà un riconoscimento di Israele da parte di una delegazione vicina a Hezbollah».
Pace in vista? «Un trattato di pace non sarà necessariamente lo sbocco. Ma si arriverà a una forma di stabilità».
In Libano la gente sarebbe pronta per una pace con Israele? «Ormai i libanesi sono meno ideologici. Il primo pensiero è come uscire dalla crisi economica. E poi vogliono tirarsi fuori dai conflitti nella regione. Anche se la narrativa classica ha ancora seguito tra i supporter di Hezbollah».
Gli Usa hanno spinto molto per arrivare a queste trattative. «I colloqui sono sotto supervisione americana. Hezbollah voleva guidare il Libano verso Est. Diceva che non avevamo solo l’opzione Fmi per avere aiuto, ma potevamo guardare dall’altra parte, fino alla Cina. Ma non siamo andati verso oriente: le sanzioni Usa hanno avuto un impatto».
Gli Usa non si erano defilati dal Medio Oriente? «Non sono affatto convinto del ritiro americano. L’America sta dimostrando di avere grandi interessi nell’area, sta provando a costruire nuove alleanze. Da noi la Francia ha fallito con la sua iniziativa per un nuovo governo. Gli americani hanno vinto. Il bastone americano è stato più efficace della carota diplomatica macroniana».
Quanto ha pesato l’esplosione nel porto di Beirut ad agosto? «Quell’esplosione – che sia stata un incidente o un’operazione militare – è stata un punto di svolta su molti fronti. Ha accecato uno sbocco dell’Iran sul Mediterraneo. E ha provocato un terremoto: è arrivata l’iniziativa francese e poi le sanzioni Usa. Qualcuno ritiene che queste siano servite a silurare le mosse di Parigi. Subito dopo l’annuncio sul negoziato per le frontiere».
Il confine marittimo va definito per sfruttare i giacimenti di gas. Una risorsa che salverà il Libano? «Il gas è rilevante. Ma non dal punto di vista economico. Per il Libano urgono riforme. E poi per i proventi del gas ci vorranno anni. Il Libano non può resistere settimane, figuriamoci anni».
Ci vorrà tempo per i dividendi, ma il gas provoca già grandi manovre nel Mediterraneo. «Israele e gli Usa stanno costruendo una rete di alleanza nel Mediterraneo. Ripeto: altro che ritiro! Gli Stati Uniti provano a favorire una sorta di mini Nato del gas. E più dei pozzi contano i gasdotti per i quali la definizione dei confini marittimi è fondamentale, soprattutto se si aggirano russi e turchi. Gli Usa sanno che questa regione è strategica: i confini sud dell’Europa, petrolio, gas, le rotte delle migrazioni, l’incrocio tra Africa Medio Oriente ed Europa. Le grandi potenze sono tornate e in maniera aggressiva».
AVVENIRE - Camille Eid: "Israele e Libano allo stesso tavolo"
Camille Eid
Una piccola breccia nel muro. Sono cominciati ieri i tanto attesi colloqui tra Libano e Israele, sotto l'egida dell'Onu e la mediazione degli Usa, perla demarcazione dei confini marittimi tra i due Paesi (e, in prospettiva, anche di quelli terrestri) al fine di sbloccare l'impasse dello sfruttamento delle risorse energetiche in una zona contesa di 860 chilometri quadrati, ricca di giacimenti di gas. L'incontro, durato solo un'ora, è avvenuto sotto stretta sorveglianza nella base della missione Unifil a Naqura, sul confine tra i due Paesi. Presenti, oltre alle due delegazioni, anche David Schenker, vicesegretario di Stato Usa per il Medio Oriente, e Jan Kubic, coordinatore speciale dell'Onu per il Libano. Alle successive riunioni (la prossima è stata fissata per il 28 ottobre) sarà l'ambasciatore Usa in Algeria, John Desrocher, a rappresentare la parte americana. E la prima volta dal 1983 che delegazioni dei due Paesi si ritrovano nella stessa stanza, al di fuori dei periodici incontri militari dell'armistizio del 1949. Libano e Israele sono ufficialmente ancora in guerra e la frontiera è momentaneamente segnata dalla "Linea blu" fissata nel 2000 dai Caschi blu in seguito al ritiro israeliano dal Sud del Libano. E tuttavia presto per parlare di venti di pace, a causa di una divergenza di prospettive. I libanesi evitano di parlare di «normalizzazione» e insistono sul carattere tecnico e «indiretto» dei colloqui, spiegando che i propri delegati rivolgeranno la parola ai mediatori Usa e non ai loro pari israeliani. Poi abbiamo la diversa composizione delle due rappresentanze. In un primo momento, gli israeliani avevano affidato la guida della loro delegazione al ministro dell'Energia,Yuval Steinitz, ma poi hanno dovuto fare un passo indietro dando l'incarico al direttore generale dello stesso ministero, Udi Adiri, affiancato da altri cinque membri di primo piano, tra militari e diplomatici, come Reuven Azar, vice "adviser" per la sicurezza nazionale. La delegazione di Beirut è invece composta da quattro membri, due militari e due tecnici, sotto la guida del generale Bassam Yassin, il vice capo di stato maggiore dell'esercito libanese. Una scelta, questa, che intendeva togliere ogni impronta politica ai colloqui, ma che non ha mancato ugualmente di sollevare le proteste dei partiti sciiti, Amal e Hezbollah, che hanno sollecitato in un comunicato comune il presidente Michel Aoun a rivedere la composizione della squadra libanese a favore di una delegazione esclusivamente militare. Difficile prevedere una data per la fine dei colloqui. Una fonte israeliana ha parlato ieri di «qualche mese». Gli israeliani sarebbero pronti ad attribuire il 58 per cento della zona contesa al Libano, pur di accelerare la firma di un accordo. Anche il Libano ha interesse a non trascinare oltremisura i colloqui per poter iniziare lo sfruttamento delle proprie zone e risollevarsi dalla peggiore crisi economica della sua storia. Per il presidente Trump invece - osservano in molti- i colloqui di Naqura hanno anche chiari fini elettorali in vista della sfida con Biden del 3 novembre, da aggiungere agli accordi di pace sottoscritti di recente da Emirati arabi e Bahrein con Israele. E che ieri hanno subito un primo strappo.
Il governo di Benjamin Netanyahu ha annunciato l'approvazione di 2.166 nuovi alloggi per i coloni nei Territori occupati, nonostante la promessa di «congelare» i contestati piani unilaterali di annessione di parti della Cisgiordania. La decisione è arrivata dalla Commissione di progettazione dell'amministrazione civile del ministero della Difesa che già da oggi potrebbe dare il via libera all'edificazione di altri alloggi per un numero complessivo di oltre 5mila.
IL MANIFESTO - Michele Giorgio: "A colloquio con Israele. Ma Beirut insiste: non è dialogo politico"
Michele Giorgio
Ci ha pensato Samir Geagea, capo delle Forze libanesi, partito di destra estrema, a chiarire una volta e per tutte che dietro i colloqui con Israele sui confini marittimi e i giacimenti di gas cominciati ieri alla sede dell'Unifil a Capo Naqura, non c'è alcuna intenzione di arrivare a un trattato di pace con Israele come sperano il governo Netanyahu e l'amministrazione Trump. «Non vogliamo la normalizzazione con Israele perché chiediamo una soluzione alla questione dei palestinesi (in Libano, ndr) prima di ogni altra cosa e nessuno può aggirare questo tema», ha detto perentorio. Geagea in realtà la pace con Israele la firmerebbe anche domani. La destra libanese ha legami storici con Israele, ha collaborato con Tel Aviv durante l'invasione del Libano nel 1982.
MA NEL PAESE DEI CEDRI i partiti politici, divisi su tutto, camminano mano nella mano sudi un punto, dalle Forze libanesi al movimento sciita Hezbollah: i 450mila profughi palestinesi in Libano dal 1948 dovranno tornare nella loro terra da cui scapparono o furono cacciati e Israele deve aprire le porte. E lo dicono, con poche eccezioni, non per amore del diritto internazionale, ma perché proprio non li vogliono i profughi palestinesi, così come quelli siriani. Quindi l'accordo tra Libano e Israele resta solo una vaga ipotesi. Non sorprende perciò che i colloqui nella base 1-32A dell'Unifil si siamo svolti ieri in un clima formale e freddo. E che durante la pausa per il caffè le delegazioni dei due paesi non abbiamo avuto contatti. Martedì il presidente libanese Aoun aveva ribadito che Israele e Beirut stanno solo discutendo di confini e gas. A Naqura, il governo dimissionario di Diab ha inviato una delegazione tecnica, composta da militari ed esperti di energia. E nonostante ciò non ha soddisfatto tutti i libanesi. Hezbollah e l'altro partito sciita Amal volevano solo militari. Israele e gli Stati uniti che fanno da mediatori invece provano a dare un significato anche politico all'incontro in cui dicono di intravedere segnali di apertura e la volontà, di una parte delle formazioni politiche libanesi, di seguire il percorso fatto di recente da Emirati e Bahrain.
CIÒ CHE CONTA in questo negoziato tra nemici è solo l'interesse economico comune. In 860 kmq di acque contese si trovano (pare) ricchi giacimenti di gas naturale che, se ben sfruttati, potrebbero portare nelle casse dei due paesi diversi miliardi di dollari. Per questo Hezbollah, alleato di Siria e Iran e che contro Israele ha combattuto per tutta la sua esistenza, non ha posto il veto a colloqui destinati inevitabilmente a generare speculazioni di ogni sorta. Il Libano è sommerso dai debiti e vive una crisi economica e finanziaria molto grave che ha provocato l'impoverimento di buona parte della popolazione. Quei miliardi non sono la soluzione di tutti i suoi immensi problemi ma possono dare una mano. Le due delegazioni torneranno a incontrarsi il 28 ottobre.
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