M.L. King/Pantere nere: non violenza/violenza Il commento omissivo di Stefano Montefiori
Testata: Corriere della Sera Data: 05 ottobre 2020 Pagina: 21 Autore: Stefano Montefiori Titolo: «Pantere nere in Normandia. Quei dirottatori antirazzisti che la Francia difese e adottò»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 05/10/2020, a pag.21, con il titolo "Pantere nere in Normandia. Quei dirottatori antirazzisti che la Francia difese e adottò", il commento di Stefano Montefiori.
L'articolo di Stefano Montefiori descrive in modo ambiguo le attività di Melvin e Jean McNair. Quello che manca nell'articolo è una chiara distinzione tra la linea della non violenza di Martin Luther King e quella della violenza delle "Pantere nere". La prima è esempio da imitare, non certo la seconda. In fuga dalla giustizia Usa hanno scelto di vivere in Francia, dove anche per terroristi riconosciuti e condannati non è prevista l'estradizione. Fu paese scelto anche dalle Brigate Rosse in fuga dall'Italia, vedasi la storia del brigatista Battisti.
Ecco l'articolo:
Stefano Montefiori
Melvin e Jean McNair
«Dico sempre ai miei amici che se cominciamo a verificare la vita di ogni artista, non resterà granché al Louvre». Queste parole di saggezza, dubbiose sull’utilità della cancel culture, arrivano oggi dalla Normandia, dove da 35 anni vive in esilio l’ex «Black Panther» che con la moglie dirottò verso Algeri, nel 1972, il volo Delta 841 tra Detroit e Miami. L’incredibile storia di Melvin e Jean McNair torna alla luce in questi giorni di manifestazioni in tutto il mondo in solidarietà con il movimento Black Lives Matter. La società americana non è cambiata abbastanza rispetto a quando Melvin McNair aderì al Black Panther Party, alla fine degli anni Sessanta. Si è trasformata invece la sua vita: dal ghetto in Carolina del Nord alla lotta politica estrema contro la segregazione, a una vita tranquilla di assistente sociale a Caen, capoluogo del Calvados a 6.000 km dalla patria abbandonata nel 1972, dove non potrà mai più tornare. Melvin McNair nasce nel quartiere nero di Greensboro 72 anni fa. Perde il padre a quattro anni, viene allevato dalla madre e dallo zio Joe, «il primo poliziotto nero della nostra città». La prima volta che da bambino esce dal ghetto e con la madre entra in un grande magazzino, Melvin sale sulla scala mobile ma viene rimbrottato e insultato come «negro».
È la prima umiliazione indelebile, alla quale seguiranno quelle inflitte da commilitoni del Ku Klux Klan durante il servizio militare a Berlino. Melvin è un ottimo studente,e grazie al baseball ha una borsa di studio all’università. Ma al momento di partire per la guerra del Vietnam, come Mohammed Alì considera che «nessun vietcong mi ha mai chiamato negro», diserta ed entra nelle Pantere Nere con la moglie Jean. Sono convinti: per loro non ci sarà mai un futuro negli Stati Uniti d’America. Il 31 luglio 1972 Melvin e Jean McNair con tre complici danno il via al primo e unico dirottamento della loro carriera di rivoluzionari. Con una pistola nascosta dentro una Bibbia svuotata dalle pagine fanno atterrare il DC-8 con 100 passeggeri a Boston. Chiedono il pieno, un milione di dollari e panini. Dopo un volo al suono di Stevie Wonder atterrano — senza spari né vittime — a Algeri, all’epoca terra promessa dei militanti anti-imperialisti. Fuggiranno poi in Francia, che nega l’estradizione. A Parigi il processo ai dirottatori diventa un processo al razzismo, Melvin e Jean trovano l’aiuto di Jean-Paul Sartre, James Baldwin, Yves Montand e Simone Signoret. Dopo pochi mesi di carcere, i Mc Nair vivranno il resto dei loro giorni alla periferia di Caen, come assistenti sociali al servizio dei ragazzi in difficoltà. Jean è morta nel 2014, e Le Monde racconta che in suo onore pochi giorni fa a Caen è stata scoperta una targa. Melvin, pantera nera di Normandia, non violento da decenni, segue i moti di piazza e le elezioni americane alla Cnn.
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