Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 28/09/2020, a pag.16, con il titolo "Qual è il prezzo per la mancanza di libertà in Cina", l'analisi di Milena Gabanelli, Luigi Offeddu.
Milena Gabanelli
Luigi Offeddu
E’ accaduto anche con la pandemia da coronavirus: la Cina, membro permanente del Consiglio di sicurezza dell'Onu con diritto di veto, tace o nega da sempre quando le si chiede conto di come rispetta i diritti umani, in questo caso la libertà di informazione. Stavolta però il suo silenzio viene pagato anche da molti altri Paesi. Il South China Morning Post riporta più volte informazioni da fonti governative: il primo contagio da Covid-19 è stato registrato in Cina il 17 novembre 2019. L'informazione all'Oms dovrebbe essere immediata, ma le autorità cinesi attendono fino al 31 dicembre prima di comunicare al corrispondente ufficio di Pechino di una «strana polmonite» sviluppatasi a Wuhan nel mercato di animali vivi, e solo il 9 gennaio parlano di «nuovo coronavirus» simile al precedente Sars del 2002. Il 30 gennaio l'Oms dichiara l'emergenza internazionale. Nel frattempo il business e il turismo mondiale va e viene dalla Cina come se nulla fosse: 5.523 voli solo in Europa nel mese di dicembre. Il 13 gennaio, mentre Pechino sta preparando il lockdown di Wuhan, firma con l'Italia (ignara) un memorandum d'intesa per un aumento fino a 164 voli settimanali per parte, di cui 108 con decorrenza immediata. II prezzo di quel mese e mezzo di silenzio è incalcolabile. La Cina nega ogni responsabilità e reagisce alla perdita di credibilità aumentando la repressione.
Hong Kong La nuova «legge sulla sicurezza» che punisce il dissenso con condanne fino all'ergastolo è stata votata in gran segreto la notte del 30 giugno. Rinviate così di un anno le elezioni previste per metà settembre (i sondaggi davano già al 60% l'opposizione liberal); fuggiti in esilio i principali leader democratici, centinaia di arresti solo nei primi giorni, in manette anche l'editore liberal Jimmy Lai. Londra ha offerto «una nuova via di immigrazione» ai 3 milioni di cittadini residenti a Hong Kong che nel 1997 scelsero, con l'accordo di Pechino, di conservare il loro passaporto inglese. La risposta di Pechino:«Non consideriamo validi quei passaporti».
II nodo Taiwan Dal gennaio 2021, Taiwan avrà un nuovo passaporto. In copertina, la parola «Repubblica di Cina» non si legge quasi più, al suo posto «Taiwan». Pechino ha sempre ammonito: «Se dichiareranno l'indipendenza, attaccheremo militarmente». Taiwan, indipendente di fatto dal 1949, non siede — per volontà di Pechino — nelle organizzazioni internazionali, e solo 14 Stati la riconoscono diplomaticamente. Pechino ha impedito che l'Oms invitasse al suo vertice annuale 2020 Taiwan come esempio di buona gestione sanitaria. La questione è geostrategica, perché il Mar cinese meridionale, ricco di petrolio e gas naturale, è al centro dei suoi piani di espansione. Taiwan si è armata fino ai denti, e la Cina pure, con tecnologia in grado di distruggere e uccidere senza intervento umano.
Le esecuzioni Secondo Amnesty International la Cina ha il primato mondiale delle esecuzioni capitali, previste per 46 diversi reati, inclusa la sovversione. Sarebbero «migliaia all'anno», ma Pechino dice che non esistono «statistiche separate», le considera un segreto di Stato e le raccomandazioni Onu non sono vincolanti. Senza risposta anche le proteste del Consiglio Onu per i diritti umani: anzi, nell'aprile 2020, proprio in quel Consiglio, la Cina ha ottenuto un suo seggio fino al 2021.
Repressione delle minoranze Il Tibet è una regione autonoma, i suoi 3,1 milioni di abitanti sono quasi tutti buddisti, con una loro lingua e una identità nazionale risalenti al 127 a.C. Hanno sempre rivendicato l'indipendenza da Pechino, e hanno pagato un prezzo: templi distrutti e repressione sanguinosa. Il Dalai Lama, premio Nobel per la Pace, vive in esilio nell'India del Nord, ha rinunciato alla linea indipendentista, ma chiede «compassione» e il rispetto dei diritti umani. Nella regione autonoma occidentale dello Xinjiang vivono 23 milioni di abitanti, il 47% sono musulmani uiguri. Inaccettabile per Pechino la loro richiesta di libertà religiosa. Alla repressione violenta, si alterna la «rieducazione politica» attraverso il lavoro forzato. Lo scorso 1° settembre il World Uyghur Congress, in occasione della visita a Berlino del ministero degli Esteri cinese Wang Yi, chiede aiuto al governo tedesco: da a 3 milioni di uiguri sono detenuti senza accuse nei campi di «rieducazione», dove avvengono torture e sterilizzazioni forzate. La Germania ha protestato più volte, anche se nello Xinjiang si trovano fabbriche tedesche come la Volkswagen, la Siemens, la Basf. Pechino nega, ma non autorizza l'accesso agli ispettori Onu chiesto nel 2019 da 22 Stati. Intanto gli uiguri emigrati in Europa, e ormai cittadini di Olanda o Finlandia, quando denunciano il dramma dello Xinjiang vengono minacciati da agenti cinesi: «Pensa alla tua famiglia». Rapporti Cina-Vaticano Oggi in Cina ci sono io milioni di cristiani, coi vescovi, diocesi, 4.000 preti, circa 4.500 suore. E' in scadenza l'accordo provvisorio con il Vaticano. Dovrebbe confermare che l'ultima parola nell'ordinazione dei vescovi spetta al Papa e non al regime. Intanto fonti cattoliche sostengono che sulle chiese sbarrate sventola la bandiera del partito. I missionari italiani vengono mandati a casa, e chi aspira a essere assunto in un ufficio governativo deve prima rinunciare a ogni fede religiosa, considerata incompatibile con l'iscrizione al partito, indispensabile per accedere agli impieghi pubblici.
Le minacce agli Stati sovrani Le minacce si estendono anche agli Stati sovrani. «Con gli amici noi usiamo del buon vino, e i fucili con i nemici», ha ringhiato l'ambasciatore cinese a Stoccolma quando il governo svedese ha annunciato di voler premiare l'editore e scrittore, Gui Minhai, svedese nato in Cina, dove era stato condannato a io anni per presunto spionaggio. Durante il tour europeo, il ministro degli Esteri cinese Wang Yi era passato il 31 agosto dalla Norvegia. Un giornalista gli aveva chiesto cosa pensasse della possibilità di estendere «ai ragazzi di Hong Kong» il Nobel per la Pace. Risposta: «La Norvegia pensi piuttosto a coltivare relazioni "sane" che si sono finalmente realizzate dopo il "gelido inverno" seguito al No- bel conferito nel 2010 al dissidente incarcerato Liu Xiaobo». Il 3 settembre ha fatto tappa nella Repubblica Ceca, e rivolgendosi al presidente del Senato Vystrcil, che era appena stato in visita a Taiwan, ha dichiarato: «Pagherà caro il suo opportunismo politico».
II prezzo del silenzio Quanto conta la libertà di parola in un mondo sempre più interconnesso, che dovrà fare i conti con minacce sanitarie e riscaldamento globale, e dove la Cina ha un ruolo centrale? Il giurista dell'Università di Pechino He Weifang ha dichiarato: «L'assenza in Cina di libertà di parola e di espressione ha favorito il diffondersi del contagio», lo aveva ribadito un suo illustre collega Xu Zhangrun. Arrestato. Li Wenliang, l'oculista cinese che tra i primi individuò il virus è stato fermato e censurato. Oggi nel mondo si contano un milione di morti, e una recessione globale. La Cina non si è scusata, ed esalta la superiorità del modello cinese, che avrebbe saputo gestire in modo straordinario la pandemia. Non c'è dubbio che alcuni Paesi abbiano sottovalutato, ma come sarebbero andate le cose se le autorità cinesi, consapevoli della gravità di ciò che stava succedendo, non avessero tardato così tanto a informare la comunità internazionale? Non lo sapremo mai, come non sapremo cosa sia realmente successo perché l'inchiesta internazionale indipendente chiesta da 194 Paesi, e votata all'unanimità dall'Oms a maggio, è ancora un pezzo di carta.
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