Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 27/09/2020, a pag.23, con il titolo "Von Mises: 'Abolite la proprietà e il potere si farà totalitario' ", il commento di Carlo Lottieri.
Ludwig von Mises
Nella storia del dibattito sul socialismo uno spazio speciale va riservato a Ludwig von Mises. Già all'indomani del colpo di Stato dell'ottobre 1917 che portò la fazione leninista a controllare l'intera Russia con metodi totalitari, l'economista austriaco scrisse un articolo fondamentale in cui - per la prima volta - evidenziò come un sistema collettivista sarebbe fatalmente crollato su se stesso, dato che comportava la fine della proprietà dei mezzi di produzione e di conseguenza la scomparsa dei prezzi di mercato, senza i quali non è possibile alcuna gestione razionale. In effetti, come si può sapere se quanto si sta facendo è orientato a soddisfare le esigenze altrui, quando ogni prezzo è una tariffa arbitraria e non trasmette le preferenze dei consumatori? Come si potranno evitare eccessi e scarsità nella produzione, dopo aver distrutto quell'ordine interpersonale e spontaneo in cui ognuno cerca di mettersi al servizio del prossimo? L'analisi misesiana suscitò una vasta discussione, dal momento che vari studiosi marxisti avvertirono subito che quelle considerazioni rinviavano a difficoltà oggettive e che quell'affondo andava preso sul serio. Settant'anni dopo, con il crollo del Muro di Berlino e la constatazione del fallimento socialista, sarà in qualche modo la storia a chiudere la diatriba. Se le pagine di von Mises sull'impossibilità del calcolo economico entro un regime collettivista rimangono uno dei punti più alti nella storia delle scienze sociali, la sua riflessione sul socialismo fu assai più ampia. Grazie a Lorenzo Infantino oggi disponiamo di una nuova versione in italiano di quella fondamentale ricerca intitolata Socialismo (Rubbettino, pagg. 640, euro 38) in cui le logiche collettiviste di destra e di sinistra vengono esaminate sotto ogni profilo.
La copertina (Rubbettino ed.)
Nell'articolo del 1919 cui si è fatto cenno von Mises aveva individuato - da economista teorico - la falla principale di un ordine produttivo determinato a trasformare l'intera società in un'unica azienda nelle mani di pochi pianificatori. Nel vasto trattato di tre anni successivo egli va oltre, evidenziando come la cancellazione delle libertà economiche comporti la perdita di ogni altra libertà: di espressione, iniziativa, associazione, contratto e via dicendo. Come sottolinea Infantino, cogliendo la natura «chiliastica» e per questo totalitaria del marxismo, von Mises «ha decifrato la profezia di salvezza marx-engelsiana» e insieme a ciò «ha compreso che la soppressione della proprietà privata, sottraendo agli uomini qualunque mezzo materiale per dissentire, è uno strumento con cui proteggere dalle smentite la contraffazione della realtà posta sistematicamente in essere dai custodi del verbo salvifico». Nel volume si sottolinea anche come il socialismo abbia più volte cambiato pelle: in tal modo esso si è fatto nazionale, democratico, egualitarista e via dicendo, diventando senso comune proprio mentre perdeva ogni solida giustificazione etica ed economica. Per giunta esso ha compenetrato quasi tutte le tradizioni politiche: dai liberali ai democratici, dai cattolici ai protestanti, dagli sciovinisti ai comunitaristi, dai sovversivi ai conservatori. Nell'epoca del socialismo imperante molti hanno in vario modo accolto le tesi stataliste e dalla lettura di Socialismo si evince bene come larga parte della lotta politica, quanto meno a partire dal Ventesimo secolo, sia una contrapposizioni di socialismi differenti. Il dramma di tale teoria politica è che essa nega le leggi fondamentali della realtà: a partire dalla strutturale varietà e diseguaglianze delle nostre esistenze.
Anche se sembra spesso usare una retorica libertaria e tende a presentarsi come una forma di affrancamento da nuove schiavitù, la teoria di Marx e dei suoi ben più modesti adepti, nei fatti esige sempre un dittatore. Su questo punto la disanima misesiana è invincibile, perché non è possibile trasformare l'intera società in un gregge sottomesso senza ricorrere a un uso costante e spietato della violenza. Per questo motivo Stalin, Hitler, Mao e Castro non sono i traditori di alti ideali, né vanno intesi come una deviazione dalla dottrina. Al contrario, nei loro regimi il socialismo si è manifestato in quanto tale, tirando ogni conseguenza dalle sue premesse. Nato a Lviv, una località dell'Ucraina che allora faceva parte dell'impero asburgico, quando nel 1922 scriveva Socialismo von Mises non poteva certo immaginare che proprio quella nazione sarebbe stata il teatro di uno dei peggiori crimini politici della storia: l'Holodomor, lo sterminio programmato da Stalin per punire una popolazione che aveva provato a difendere l'ordine della proprietà privata (su questa vicenda di recente è stato girato un bel film, Mr. Jones, diretto da Agnieszka Holland). Tra il 1932 e il 1933 sei milioni di persone morirono a causa delle strategie genocidarie adottate dal regime socialista. E quando oggi leggiamo il trattato misesiano possiamo intendere le motivazioni più profonde di quella violenza che allora non era stata ancora commessa, comprendendo anche quanto fosse falsa l'alternativa suggerita da Rosa Luxemburg («socialismo o barbarie»). Il mondo è finito nella barbarie proprio quando ha scelto il socialismo. In questo senso pure lo statalismo più moderato e à la page - si pensi all'egualitarismo in stile Piketty - continua allora a essere solo l'onda lunga di una cultura intimamente autoritaria, che con determinazione von Mises ha messo sul banco degli imputati. Tutto questo gli costò decenni di isolamento e marginalizzazione. Mentre il suo allievo Friedrich von Hayek riuscì in qualche modo a farsi ascoltare e, anche se fu giudicato da molti un estremista, trovò comunque spazio nel dibattito accademico (fino a conseguire il premio Nobel nel 1974), von Mises fu sempre trattato come un dinosauro intellettuale. I suoi argomenti erano troppo radicali e la sua riflessione troppo controcorrente. Ora è giunto però il momento di riconoscere a quelle analisi il loro valore, sapendone trarre le necessarie conseguenze.
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