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Il Giornale - Avvenire Rassegna Stampa
27.09.2020 Charlie Hebdo ancora sotto attacco
Cronaca di Francesco De Remigis, ma Ferdinando Camon giustifica il terrorismo

Testata:Il Giornale - Avvenire
Autore: Francesco De Remigis - Ferdinando Camon
Titolo: «Parigi, la cellula dietro Alì. E il pakistano confessa: 'Volevo bruciare Charlie' - Non sto con la satira quando diviene sadica»

Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 27/09/2020 a pag.12 con il titolo "Parigi, la cellula dietro Alì. E il pakistano confessa: 'Volevo bruciare Charlie' ", la cronaca di Francesco De Remigis; da AVVENIRE, a pag. 3, il commento di Ferdinando Camon dal titolo "Non sto con la satira quando diviene sadica".

Ferdinando Camon, in nome di un equivoco concetto di rispetto, giustifica di fatto il terrorismo islamista contro Charlie Hebdo. Sceglie infatti non di condannare gli assassini, ma Charlie Hebdo, considerato "oltraggioso" nei confronti della sensibilità dei credenti.

Ecco gli articoli:

IL GIORNALE - Francesco De Remigis: "Parigi, la cellula dietro Alì. E il pakistano confessa: 'Volevo bruciare Charlie' "


La copertina di Charlie Hebdo

L'inchiesta avanza e l'ipotesi che l'autore dell'assalto di venerdì sia un lupo solitario s'allontana sempre di più: salite a 9 le persone in stato di fermo, il pallottoliere degli inquirenti punta a smantellare quella che ha tutti i connotati di una cellula. Molto diversa da altre individuate negli anni. Il ministro dell'Interno francese ha già definito l'assalto all'ex sede di Charlie Hebdo un «chiaro atto di terrorismo islamista». Ma l'attentato all'arma bianca accende pure un faro sull'esercito di ragazzini invisibili: che in Francia arrivano da immigrati irregolari, come il pachistano Alì Hassan, esponendosi al mercato della criminalità o peggio del terrore una volta persi gli aiuti di Stato. Il 18enne, bloccato poco dopo l'attentato, ha confessato: «Non sopportava la ripubblicazione delle caricature su Maometto», filtra dagli inquirenti. Era già stato fermato un mese fa per porto d'armi abusivo. Un grosso cacciavite, precisa il ministro Gérald Darmanin, lo aveva a bordo di un bus. Non è nell'elenco dei radicalizzati dei Servizi segreti. Ma a quanto sembra tra i sedotti e abbandonati dal sistema di protezione sociale francese. Prima di colpire aveva fatto un sopralluogo, un andirivieni ripreso dalle telecamere. E oltre alla mannaia con cui ha ferito due giornalisti dell'agenzia Premières Lignes, aveva del liquido infiammabile per dar fuoco al palazzo. «Pensava di essere da Charlie e che le persone che stava attaccando lavoravano per il giornale satirico. Dice di essersi informato». E di essersi «arrabbiato» dopo la ripubblicazione delle vignette su Maometto in occasione del processo per le uccisioni perpetrate dai fratelli Kouachi, cinque anni fa, proprio in quella sede. Dunque un gesto pensato, quello di Alì Hassan. Preparato. Sono passate infatti tre settimane dalla ripubblicazione delle vignette per sensibilizzare la Francia sulla libertà d'espressione. Mentre Charlie, che lavora oggi da una sede segreta, e vari testimoni del processo, venivano minacciati da al Qaida. Ieri, tra le altre persone finite in custodia della polizia dopo blitz in diversi indirizzi a nord di Parigi, anche il fratello minore del pachistano nato a Islamabad. Sugli altri si sa poco. Una rete del terrore tutta da verificare. Rilasciato invece l'algerino 33enne arrestato subito dopo i fatti: «Volevo essere un eroe e mi sono ritrovato dietro le sbarre», dice Youssuf a «Le Monde», raccontando come abbia tentato di fermare il 18enne notato in metro col volto insanguinato. Due i presunti rifugi del ragazzino che aveva beneficiato degli aiuti finché minorenne. Alla maggiore età, era alla mercé di connazionali come centinaia di adolescenti non accompagnati. Viveva alle porte di Parigi: una casa-ostello a Cergy (Val-d'Oise), poi un appartamento a Pantin (Seine-Saint Denis), ultimo domicilio di fortuna. Luc Hermann, co-direttore di Premières Lignes, presente al momento dell'attacco di venerdì, torna però a denunciare la mancata sorveglianza del palazzo, «un edificio simbolo nuovamente colpito». «C'era sangue ovunque, era straziante». Niente polizia nello slargo rinominato piazza della libertà d'espressione. Solo una targa commemorativa in omaggio alle vittime assassinate in quel tragico 7 gennaio. «Capisco che non possa esserci una pattuglia 24 ore su 24 davanti a tutti gli edifici religiosi o simbolici, ma dopo un attentato di tale impatto globale viene da chiedersi se sia concepibile la totale mancanza di sicurezza a fronte di un processo che si tiene in un aula-bunker». Sarà ricevuto dal governo. Accusata pure dal ministro dell'Interno per aver «sottovalutato» il pericolo, la polizia di Parigi spiega che «il vecchio edificio di Charlie non era soggetto a minacce, le aziende oggi ospitate non ne hanno segnalata alcuna nei confronti del personale». I due dipendenti di Premières Lignes feriti dalla mannaia impugnata dal 18enne, un uomo e una donna, sono in condizioni serie. Colpita al volto, la giornalista ha subìto un intervento di ricostruzione facciale. E venerdì sera un altro machete ha ferito alla carotide un uomo di 27 anni davanti al commissariato di Sarcelles (sempre in Val-d'Oise). Non è chiaro se sia un regolamento di conti o un gesto di emulazione. O, peggio, un'azione collegata a quella di Alì.

AVVENIRE - Ferdinando Camon: "Non sto con la satira quando diviene sadica"

Immagine correlata
Ferdinando Camon

So di entrare in un terreno delicato, sul quale in queste pagine altri hanno camminato prima di me. E può darsi che quel che dico qui in Italia non sia possibile dirlo in Francia. Ma non sono d'accordo sul diritto alla blasfemia, praticato dal settimanale satirico francese "Charlie Hebdo" e ribadito in tv dal presidente Macron: esiste il diritto alla libertà di espressione, ma non può esistere il diritto alla libertà di blasfemia. Lo dico chiaro, consapevole che nel mondo c'è chi usa l'accusa di blasfemia per perseguitare la religione o la religiosità degli altri. Qui si tratta d'altro. All'università un docente di Filosofia ci spiegava che se uno non crede in Dio può mettersi al tavolo e scrivere la "Critica della Ragion Pura", ma non può girare per le strade col megafono bestemmiando ad alta voce. Il ragionamento sull'esistenza o la non-esistenza di Dio è un diritto, aiuta a ragionare, l'umanità non fa altro che fabbricare "aiuti" come questo e trasmetterli lungo i secoli, tra le generazioni, ma sono arrivato alla conclusione che i redattori di "Charlie Hebdo" non vogliono ragionare e dialogare, vogliono irridere, sbeffeggiare, insultare e profanare. Non di nascosto, ma pubblicamente. Non solo all'interno del loro giornale, ma deliberatamente in copertina. Non peri lettori di quel giornale, ma per tutti i passanti che transitano davanti all'edicola. La vignetta è immediatamente comprensibile e se è una bestemmia questo non cambia: l'occhio ci casca sopra e subito la bestemmia entra nel cervello. Per chi ritiene quell'immagine una bestemmia, vedere quella vignetta è come ricevere una ferita L'edicola espone con gioia quel giornale blasfemo, vuol venderlo, più copie vende e più guadagna, il giornalaio fa il giornalaio per questo. Ma le città francesi sono piene di musulmani, per i quali camminare per le strade e vedere il loro profeta bestemmiato come pedofilo o assassino è una coltellata. Non ritengo un diritto di quelle città accoltellare i passanti di una data religione. A mio parere, questa non è democrazia, non è concittadinanza, non è ospitalità, non è accoglienza Non è libertà d'espressione, è libertà d'insulto, è sopraffazione. Anni fa lessi un libro, un best-seller, di un grande scrittore, del quale non dirò il nome, che non era cristiano e per dire che un cristiano teneva in casa appesa al muro una croce, disse: «Esponeva una lordura». Ma milioni di persone han sopportato tribolazioni di ogni genere e sono morte per quel simbolo, tu non puoi chiamarlo «lordura». Non amo quell'autore, lo ritengo umanamente fallito. I redattori di "Charlie" commettono (ripeto: a mio modesto giudizio) lo stesso errore: ritengono che la loro libertà di espressione sia libertà di oltraggio, e se oltraggiano una figura interiore che è nella coscienza di alcuni lettori e se una parte di questi ne soffre fino a impazzire e a restituire coltellate reali per coltellate morali, la colpa è solo di questi impazziti. I quali sono dei fobici, e come tali peggiorano la società, devono guarire. Giusto: una società di fobici non è una buona cosa. Ma loro, quelli che oltraggiano una religione altrui, sono dei sadici, una società di sadici è forse una buona cosa?

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