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Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


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Il Foglio - Libero Rassegna Stampa
16.09.2020 Pace a Washington 3: L'ironia di Andrea Marcenaro,zero news sul resto del Foglio
l'unico quotidiano ad avere ignorato Washingto, l'analisi corretta di Daniel Mosseri

Testata:Il Foglio - Libero
Autore: Andrea Marcenaro - Daniel Mosseri
Titolo: «Andrea's Version - Donald fa fare la pace a Israele e arabi»

Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 16/09/2020 a pag. 1 "Andrea's Version", di Andrea Marcenaro; da LIBERO, a pag. 11, l'analisi di Daniel Mosseri dal titolo "Donald fa fare la pace a Israele e arabi"

Ecco gli articoli:

Usa e Iran, furia Trump: «Vertici militari di Teheran? Terroristi» - Il  Mattino.it
Donald Trump, Hassan Rohani

IL FOGLIO - Andrea Marcenaro: "Andrea's Version"

Il Foglio ignora la cerimonia a Washington, con l'eccezione del commento di Marcenaro. Riconoscere i meriti di Trump è vietato nel giornale fondato da Ferrara 

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Andrea Marcenaro

Israele fa pace con gli Emirati arabi e col Bahrain, l'intero medio oriente si ribalta, l'Arabia Saudita festeggia l'avvenimento e apre il suo spazio aereo agli israeliani in vista degli accordi con respiro ancora maggiore, l'Egitto si congratula, l'Oman aspetta a sua volta di aprirsi alla distensione, così il Marocco, forse il Kuwait e il Ciad e il Sudan, talché pare davvero a portata un cambio d'epoca, il crollo di un muro secolare più massiccio che a Berlino, il sisma che porta pace invece che distruzione. Contano mica poco, alla fine, le religioni monoteiste. I capi palestinesi decrepiti, appoggiati da Iran e Turchia, più ovviamente Hamas, hanno detto di nuovo no. L'Europa perciò tentenna, non dice, si sottrae, guarda con malcelato imbarazzo dall'altra parte. Che guaio. Hanno varato un ottimo Recovery plan per noi, i dirigenti europei. Ci vorrebbe, forse, un piano di ricoveri anche per loro.

LIBERO - Daniel Mosseri: "Donald fa fare la pace a Israele e arabi"

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Daniel Mosseri

Donald Trump porta a casa gli accordi di Abramo. E stata chiamata così l'intesa fra Israele ed Emirati Arabi Uniti (EAU) per le normalizzazione dei rapporti fra i due paesi, ebraico il primo, islamico il secondo. Un accordo annunciato il 13 agosto e al quale si è aggiunto pochi giorni fa il piccolo regno del Bahrein, un altro alleato di ferro dell'Arabia Saudita nel Golfo Persico. Nel giro di poche settimane, sono dunque diventati due i dirimpettai dell'Iran a riconoscere quella che Teheran indica da decenni come "l'entità sionista". «Siamo qua per cambiare il corso della storia», ha esordito il presidente degli Usa lodando il coraggio dei suoi ospiti, per Israele il primo ministro Benjamin Netanyahu e per gli EAU e il Bahrein i ministri degli Esteri, Abdullah bin Zayed e Abdullatif al-Zayani. «Questi accordi provano che la regione si sta liberando dall'approccio fallito che l'ha tenuta prigioniera», ha proseguito Trump assicurando che altri stati del Medio Oriente metteranno presto da parte «l'odio pregiudiziale» per Israele. «Siamo pieni di gratitudine», ha ringraziato Netanyahu che ha lodato la fermezza di Trump nei confronti dell'Iran e l'impegno del presidente per allargare gli accordi di Abramo alla regione. L'emiratino bin Zayed ha da parte sua ringraziato Netanyahu «per aver scelto la pace e aver fermato il progetto di annettere territori palestinesi», ricordando cioè la condizione posta dal principe ereditario degli EAU Mohammed bin Zayed al-Nahyan per normalizzare i rapporti con Israele. Mediatore e garante dei primi accordi di pace fra Israele e un Paese arabo negli ultimi 26 anni (la pace fra lo stato ebraico e la Giordania risale al 1994), Trump concentra i riflettori della campagna elettorale sul suo ruolo di uomo di pace. Un risultato che mette in luce le recenti scelte, di segno contrario e fallimentari del suo diretto concorrente, il candidato democratico Joe Biden. Biden è l'ex numero due di Barack Obama, il presidente che con più tenacia ha cercato di rilanciare il ruolo dell'Iran nella regione. Libero ne ha discusso con Dore Gold ed Ehud Yaari. Il primo ex negoziatore a Oslo e già direttore del ministero degli Esteri israeliano, e il secondo giornalista israeliano già mediorientalista di Wall Street Journal e Washington Post. Spiegano, i Paesi del Golfo celebrano la possibilità di accedere a più tecnologia militare di punta israeliana e americana e aprono le porte a una maggiore cooperazione economica con i due Paesi in settori come investimenti diretti, salute e turismo. E non c'è dubbio che in molti nella regione o ze sostengano la proposta del deputato norvegese Christian Tybring-Gjedde di candidare Trump al Nobel per la Pace. Allo stesso tempo il Golfo Persico trema all'idea che il 3 novembre gli americani possano bocciare Trump e preferirgli Biden; i cui consiglieri potrebbero rispolverare la carta iraniana, «magari aprendo di nuovo a un possibile sviluppo del programma nucleare di Teheran senza i necessari controlli», osserva Yaari. Oppure che una Casa Bianca democratica riapra il caso di Jamal Khashoggi, il giornalista saudita dissidente e columnist del Washington Post brutalmente assassinato il 2 ottobre 2018 dentro al consolato saudita di Istanbul. Timori fondati sulla rivalità strategica che esiste fra Arabia Saudita e i suoi alleati da una parte e l'Iran dall'altra. Basti ricordare che il giorno prima di stringere simbolicamente la mano a Netanyahu - un gesto sparito dalla coreografia della Casa Bianca causa Covid - il ministro degli Esteri del Bahrein si congratulava con l'omologo serbo per avere inserito Hezbollah fra le organizzazioni terroristiche.

I PROSSIMI PASSI Quanto alla possibilità che gli accordi di Abramo facciano scuola, Gold e Yaari non hanno dubbi. «L'Arabia Saudita ha già aperto il suo spazio aereo ai voli diretti da Tel Aviv ad Abu Dhabi». Il vicino Oman ha già lodato gli accordi, poi dovrebbe toccare al Sudan «che ha bisogno dell'assistenza di Israele per gestire le piene del Nilo». Vicino alla firma dovrebbe essere anche il Marocco, che a dispetto di rapporti eccellenti con Israele si è tenuto fuori solo per contrariare gli EAU. I rapporti fra i due Paesi arabi sono pessimi da quando a Rabat governa il premier Saadeddine El Othmani, ritenuto dagli emiratini troppo vicino ai Fratelli Musulmani. Neppure la Siria ha criticato l'intesa, contro la quale o puntano il dito solo palestinesi, Turchia e Iran.

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