Riprendiamo dalla REPUBBLICA di oggi, 07/09/2020, a pag.15, con il titolo 'Virus, economia e voto per posta i temi cruciali nella sfida elettorale' l'intervista di Federico Rampini; da LIBERO, a pag. 11, a firma di Gennaro Sangiuliano il commento "Trump contro tutti, però l'America è con lui".
Ecco gli articoli:
LA REPUBBLICA -
Federico Rampini: 'Virus, economia e voto per posta i temi cruciali nella sfida elettorale'
Federico Rampini
Sul mercato delle scommesse gli allibratori hanno ridotto il vantaggio di Joe Biden a soli due punti. In Florida e in altri Stati-chiave che possono assegnare la vittoria, il candidato democratico ha ridotto il suo margine sotto la percentuale di errore statistico, quindi tutto è ancora possibile. La rimonta di Trump nei sondaggi non è certo travolgente, ma è sufficiente ad alimentare l’incertezza. Tanto più che non è chiara la ragione di questo mini-recupero. È una campagna elettorale anomala, senza precedenti, per l’impatto del coronavirus e la quasi scomparsa dei contatti tradizionali: dal comizio al porta-a-porta. Che cosa sposta gli elettori, nel 2020? Ce lo spiega un’esperta di psicologia del voto, Bethany Albertson della University of Texas, autrice del saggio Anxious Politics in cui ha decifrato l’impatto delle angosce contemporanee sul comportamento elettorale degli americani.
Bethany Albertson
Qual è in questo momento la preoccupazione numero uno per gli americani? La pandemia o l’economia? O l’ordine pubblico? Quale di queste può favorire una rimonta di Trump? «In questo momento il coronavirus resta al primo posto, davanti alla crisi economica. E sull’emergenza sanitaria gli elettori hanno più fiducia in Biden. Perciò Trump deve spostare l’attenzione altrove, focalizzare il dibattito sull’economia dove una leggera maggioranza di elettori lo considera più efficace. La questione Law and Order, i rischi legati alle proteste, il timore di un disordine sociale, non è ancora salito molto in alto nelle priorità anche se sta guadagnando terreno fra gli elettori bianchi. Per adesso il numero uno è la pandemia ma tutto può ancora cambiare».
L’ansia da Covid come agisce sui due campi? «Siamo una nazione sempre più polarizzata e questo significa che con l’avvicinarsi del voto anche la pandemia viene inquadrata nelle preferenze politiche di ciascuno. Questo ne diminuisce l’impatto. In una situazione di grande ansia cerchiamo fiducia nell’autorità, ma ognuno lo fa a modo suo. I due terzi dei repubblicani concordano con Trump sul fatto che l’aumento dei casi è solo una conseguenza dell’aumento dei test. Mentre l’80% dei democratici pensa che la pandemia stia avanzando».
E gli indecisi? «Continuano a diminuire da un’elezione all’altra. È un effetto della polarizzazione. Significa che ormai ci sono pochi elettori a cui far cambiare idea e lo spazio per una "sorpresa di ottobre" si è ridotto». Un nuovo spettro avanza sul 3 novembre: il rischio di un’elezione contestata, con miriadi di ricorsi, soprattutto nei collegi dove lo scarto sarà ridotto. Un post-elezione dominato dall’incertezza, col rischio di violenze.
Gli elettori come affrontano le ripetute denunce di Trump sul rischio di brogli, soprattutto nel voto per posta che potrebbe coinvolgere tra gli 80 e i 100 milioni di persone? «La maggioranza degli americani ha fiducia nel meccanismo elettorale e bisogna ricordare che questa macchina è interamente gestita dalle amministrazioni locali. In passato il voto per posta non ha avuto una connotazione di parte. Quest’anno invece per la prima volta potrebbe coinvolgere di più i democratici: sono loro a prestare più attenzione ai rischi di contagio, e quindi vorranno evitare seggi elettorali affollati».
Che impatto può avere la svolta dei social, in particolare l’annuncio di Facebook contro le fake news? «In realtà Facebook si impegna a disciplinare solo i messaggi che vengono dalle due campagne ufficiali. Lo spazio dei social continuerà ad essere invaso da messaggi incontrollati che vengono dal basso, da singoli individui o organizzazioni. Facebook cancellerà solo quelli palesemente falsi: per esempio se qualcuno annuncia la chiusura di un seggio da parte della polizia per dissuadere chi si appresta a votare».
C’è qualche categoria dove Biden è sicuramente più forte di quanto lo era Hillary Clinton nel 2016? «Gli anziani. Ed è una fascia che ha sempre avuto un’elevata partecipazione al voto».
LIBERO - Gennaro Sangiuliano: "Trump contro tutti, però l'America è con lui"
Gennaro Sangiuliano
E’ notte fonda in Italia, quando il Senato degli Stati Uniti approva all'unanimità il più grande intervento economico della storia americana, 2.200 miliardi di dollari, una cifra astronomica, 2 trilioni di dollari, articolato in un voluminoso documento di 880 pagine, otto volte di più lo stanziamento fatto da Obama in occasione della crisi finanziaria del 2008. «Un piano Marshall per la salute pubblica», lo definiscono congiuntamente i due capigruppo al Senato, il repubblicano McConnell e il democratico Schumer, che per tre giorni e tre notti hanno lavorato insieme, chiusi in una stanza sulla proposta che il presidente Trump aveva spedito al Congresso. Voto unanime, alla fine è lo stesso Trump ad attaccarsi al telefono e a convincere quattro senatori repubblicani a superare le loro resistenze determinate da quella che secondo loro è un'eccessiva generosità verso i disoccupati.
IMPRESE E FAMIGLIE Qualcuno dirà che Trump ha imposto all'America un «piano socialista», qualcosa di impensabile per gli Stati Uniti, e soprattutto lo ha fatto digerire alla sua parte politica. Il piano riconosce 500 miliardi di prestiti alle aziende con più di 500 dipendenti. Di questi, 58 miliardi riconosciuti alle linee aeree e altri 17 alla Boeing, individuata come un caso a sé, perché ha implicazioni con la sicurezza nazionale. Alle piccole e medie imprese vanno 367 miliardi, mentre 130 miliardi sono destinati agli ospedali. Stati e città ottengono 150 miliardi La novità del pacchetto Trump sono i sostegni ai singoli e alle famiglie, interventi molto comuni nella storia economica europea ma che negli Stati Uniti hanno solo sbiaditi ricordi nel New Deal di Franklin Delano Roosevelt. E quasi un cambio di paradigma, un fatto storico. Ai singoli cittadini il piano attribuisce 250 miliardi, con un assegno da 1.200 dollari per i singoli che guadagnano meno di 75.000 dollari all'anno; 2.400 per le famiglie sotto i 150.000 dollari; e 500 dollari per figlio. L'importo si riduce in base al reddito, e si azzera per individui e coppie che prendono 99.000 e 198.000 dollari all'anno. Vengono anche fissati aiuti per i prestiti agli studenti. Altri 250 miliardi finanzieranno i sussidi di disoccupazione, prorogati fino a 4 mesi ed aumentati di 600 dollari, mentre le imprese che non licenziano e pagano i150% dello stipendio dei dipendenti sono sostenute con crediti fiscali. A metà aprile Trump apporrà la sua personale firma su 70 milioni di assegni spediti a casa di famiglie americane, sia su quello da 1.200 dollari, che quello da 2.400. Il consigliere economico della Casa Bianca Kudlow, chiarisce che questo non è tutto, se necessario gli aiuti pubblici potrebbero salire a 6 trilioni, sommando le operazioni della Fed. E, infatti, il giorno dell'approvazione al Senato, il presidente della Banca Centrale Americana, Jerome Powell, in un'intervista alla Nbc, chiarisce che la Fed «non ha esaurito le munizioni». A metà di aprile Trump sospende, invece, i finanziamenti americani all'Organizzazione Mondiale della Sanità accusandola di atte v amento «filocinese», di aver coperto le ambiguità di Pechino, che non ha comunicato presto e con chiarezza i termini della diffusione del virus. L'accusa è chiara, l'OMS ha «fallito nell'ottenere tempestive informazioni sul coronavirus, con errori costati vite umane».
BATTAGLIA INEDITA La Pandemia ha fatto irruzione nell'anno del voto americano, difficile prevederne gli esiti, Trump che fino ad oggi poteva contare sulle buone performance dell'economia, si ritrova a dover combattere una battaglia inedita quanto insidiosa. Queste situazioni possono avvantaggiare chi governa perché, soprattutto in America, nelle fasi cruciali ci si stringe attorno al comandante in capo. Così fu per la prima rielezione di George W. Bush allora impegnato nella guerra globale ad Al Qaeda. Ma lo stesso Bush mise il campo repubblicano in enorme imbarazzo quando sottovalutò la crisi finanziaria e il ciclone Katrina.
SCONTRO CON PECHINO Il coronavirus giocherà un ruolo pesante nella campagna elettorale americana, in quale direzione è difficile dirlo. Trump a tratti è parso ondivago ma ha anche avuto il coraggio di dire cose che altri non hanno avuto in ossequio al Politicamente corretto, che cioè «il virus è cinese». Il Capo di Stato Maggiore statunitense il generale Mark Milley, durante un incontro con i media ha detto che gli indizi sono per l'origine naturale del virus ma non è da escludere nulla, con riferimento all'ipotesi di un incidente di laboratorio. Teorie che non appartengono solo al mondo complottista che da sempre negli Usa sforna storie stravaganti ma che ha trovato sponda anche in un articolo del Washington Post a firma di Josh Rogin, nel quale si racconta dell'allarme lanciato dall'ambasciata Usa a Pechino proprio sull'Istituto di Virologia di Wuhan e sull'attività di laboratorio al suo interno. I funzionari americani, dopo la visita, spedirono due cablogrammi a Washington, materiale classificato come riservato ma non top secret, secondo il quotidiano, comunicazioni che misero in evidenza i rischi legati alla sicurezza e le carenze del laboratorio, con riferimento agli esperimenti sui pipistrelli e alla trasmissione agli umani. Le argomentazioni si concentrano sull'attività di Shi Zhengli, responsabile delle ricerca a Wuhan. Guido Olimpio sul Corriere della Sera scrive: «I cablo trasmessi al Dipartimento di Stato segnalano l'inquietudine per i rischi che prende, osservazione già espressa da alcuni studiosi nel 2015. A loro giudizio alcune delle sue iniziative sono sul filo, possono finire male. Altri dubbi investono un secondo laboratorio sempre a Wuhan. I medesimi rilievi emersi, pochi giorni fa, da un altro pezzo del Washington Post. David Ignatius, giornalista e commentatore con buoni agganci, sembra indicare uno scenario e, in qualche modo, una via d'uscita a Pechino: tutto potrebbe essere nato per un errore del personale dei laboratori, dunque un incidente, con la successiva contaminazione. E correda la tesi con molti riferimenti alle presunte imprudenze e alla mancanza di contromisure efficaci per evitare disastri come quello avvenuto». Il professor Luc Montaigner, premio Nobel per la Medica nel 2008, ha dichiarato ai microfoni del podcast francese, specializzato in questioni di medicina, "Pouquoir doctor", che «la Sars-CoV-2 è un virus che è stato lavorato e rilasciato accidentalmente da un laboratorio di Wuhan, specializzato per la ricerca sui coronavirus, nell'ultimo trimestre del 2019». Affermazioni da verificare ma che vengono da uno scienziato autorevole. Alla domanda se fosse una teoria complottista, il professore Montagnier ha risposto: «il complottista è colui che nasconde la verità».
CASTE CULTURALI Gli anni recenti sono stati segnati da veri e propri «padroni del pensiero contemporaneo», caste di potere tecnocratiche e culturali, strutturate secondo lo schema delle peggiori oligarchie, burocrazie del potere che hanno esercitato una pedagogia quotidiana e impongono una visione univoca della realtà. Queste élite hanno decretato la «morte della nazione» che è soprattutto la «morte della Patria»; e hanno impresso una direzione di marcia senza accettare alcuna dialettica. La triade dei sostenitori di Trump, «white trash», spazzatura bianca, «redneck», tenoni, «hillbilly», montanari, come li chiamano i loro benpensanti detrattori, forse, non è mossa solo dalla decadenza economica ma probabilmente anche dalla minaccia alla loro identità e da un anelito di libertà. «Le élite di Boston e New York che sostengono la creazione di un welfare state in stile europeo - scrivono John Micklethwait e Adrian Woolridge - in The Right Nation: Conservative Power in America - e credono di avere una buona chance di civilizzare quelli che qualcuno di loro chiama yahoos». «Ma questi yahoos (bruti, ignoranti) come dimostra anche il ciclo elettorale a cui abbiamo assistito, tendono ad opporsi all'idea di essere domati». Solo a novembre scopriremo chi si avvantaggerà di questo contesto.
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