L'accordo Emirati-Israele e la linea saudita Commento parziale con omissione di Davide Frattini
Testata: Corriere della Sera Data: 30 agosto 2020 Pagina: 51 Autore: Davide Frattini Titolo: «Israele spezza la linea saudita»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA - La Lettura di oggi, 30/08/2020, a pag.51, con il titolo "Israele spezza la linea saudita" il commento di Davide Frattini.
Davide Frattini, invece di scrivere un'analisi equilibrata dell'accordo Emirati-Israele e delle sue conseguenze, sottolinea unicamente gli aspetti che possono sembrare negativi (almeno per la parte araba palestinese). La sua è perciò un'analisi parziale. Chissà poi se sono realmente aspetti negativi, visto che la stragrande maggioranza dei cittadini arabi di Israele, alla domanda se si trasferiranno nello Stato palestinese, rispondono in grande maggioranza in modo negativo. Lo scriverà Frattini ?
Ecco l'articolo:
Davide Frattini
Benjamin Netanyahu
Le racchette da tennis servono per la copertura, le fasce di spugna raccolgono il sudore sulla fronte. Le goccioline sono vere anche se tutto il resto attorno è falso: la tensione di interpretare per qualche ora il ruolo di agenti del Mossad strizza i nervi e i pori. L'escape room tra le colline della Galilea, verso il confine con il Libano, promette di ricostruire il percorso e restituire l'adrenalina di una missione del 2010 in un hotel dI Dubai: a giudicare dai sorrisi soddisfatti pubblicati su Facebook gli 007 israeliani del fine settimana sembrano avere in media più successo della squadra di 27 tra uomini e donne che partecipò all'operazione nel gennaio di dieci anni fa. Com'è normale i capi dell'Istituto non hanno mai ammesso di aver organizzato e perpetrato l'assassinio del palestinese Mahmoud al-Mabhouh, considerato il collegamento tra Hamas e gli iraniani, incaricato di fornire le armi e le tecnologie per accrescere l'arsenale del organizzazione fondamentalista che spadroneggia sulla Striscia di Gaza. Sono stati i poliziotti degli Emirati Arabi — con l'aiuto dell'intelligence occidentale — a mettere insieme i pezzi e le riprese delle telecamere di sorveglianza fino a stabilire che i passaporti tedeschi, britannici, irlandesi, francesi, australiani usati dagli operativi israeliani erano contraffatti quanto i turisti che li avevano mostrati ai doganieri. ll raid nel cortile di casa luccicante di grattacieli ha offeso e irritato lo sceicco Mohammed bin Zayed Al Nahyan, il principe ereditario che guida la monarchia del Golfo, e ha interrotto per un anno e mezzo il dialogo segreto che ha portato in queste settimane a una svolta definita «storica» dal presidente Donald Trump attraverso il suo megafono preferito, Twitter. ll governo di Benjamin Netanyahu e lo sceicco hanno infatti appena definito un'intesa che porterà alla normalizzazione dei rapporti tra I due Paesi. Quando i primi turisti potranno arrivare dagli Emirati, è improbabile che raggiungano la Galilea per tentare la sorte nella escape room. L'accordo ribalta la formula che fino a ora i Paesi arabi hanno voluto imporre: nella proposta presentata a George W. Bush nel 2002 l'Arabia Saudita indica i passi per arrivare all'apertura di relazioni diplomatiche con lo Stato ebraico. Il primo — e imprescindibile — era la firma di un trattato di pace con i palestinesi che portasse alla nascita di uno Stato dentro i confini del 1967, I territori catturati ai giordani da Israele nella guerra dei Sei giorni, con capitale a Gerusalemme Est. Cambiano i presidenti americani e la situazione in Medio Oriente. Trump ha riconosciuto Gerusalemme come capitale «indivisa» di Israele e ha presentato il suo piano per arrivare all'«accordo del secolo». I Paesi sunniti sono preoccupati da quella che considerano la minaccia iraniana — l'espansionismo sciita nella regione — e molto meno dall'avanzare della causa palestinese. Così Mohammed bin Zayed Al Nahyan ha ottenuto come contropartita da Netanyahu l'impegno a fermare l'annessione di parte della Cisgiordania: non più terra in cambio di pace — secondo lo schema dei sauditi — ma pace in cambio della rinuncia a una promessa da campagna elettorale. In mezzo è rimasto Abu Mazen, il presidente palestinese che si è sentito «pugnalato alle spalle» dal reggente degli Emirati: due volte, perché il bersaglio sulla schiena sembra disegnato da Mohammed Dahlan, almeno ad ascoltare le teorie della cospirazione che circolano nel palazzo presidenziale a Ramallah. Ex capo della sicurezza preventiva a Gaza (si è fatto portare via la Striscia da Hamas), assistente dello stesso Abu Mazen, è diventato il suo principale rivale, in corsa perla successione fino a quando non è stato costretto a lasciare la Cisgiordania dopo avere passato ai giornali arabi le carte che accusano di corruzione i due figli del rals e Dahlan si è insediato negli Emirati dove è diventato amico e consigliere del principe ereditario, ha ammassato una fortuna e a quanto pare l'influenza per ispirare le scelte diplomatiche. Le trattative tra israeliani e palestinesi sono congelate (ormai ibernate) dal 2024. Abu Mazen ha interrotto i rapporti anche con gli inviati di Trump, non considera più gli Stati Uniti un mediatore imparziale, forse aspetta una possibile vittoria di Ice Biden. A 84 anni, fumatore accanito e incallito con problemi di cuore, non ha mai voluto affrontare la questione della sua successione. il «tradimento» ha allontanato ancora di più Dahlan dall'anziano leader ma potrebbe averlo avvicinato a prenderne lo scettro.
Per inviare al Corriere della Sera la propria opinione, telefonare: 02/ 62821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante