Il Corriere contro Donald Trump Con i pezzi di Massimo Gaggi, Giuseppe Sarcina
Testata: Corriere della Sera Data: 29 agosto 2020 Pagina: 12 Autore: Massimo Gaggi - Giuseppe Sarcina Titolo: «La strategia di stuzzicare la 'maggioranza silenziosa' - Lo show di The Donald è un assalto a Biden: 'Distruggerà l'America'»
Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 29/08/2020, a pag. 12, con il titolo "La strategia di stuzzicare la 'maggioranza silenziosa' ", il commento di Massimo Gaggi; con il titolo "Lo show di The Donald è un assalto a Biden: 'Distruggerà l'America' " il commento di Giuseppe Sarcina.
Il Corriere sceglie di attaccare frontalmente Donald Trump, con due pezzi non degni del quotidiano più diffuso in Italia. Secondo Gaggi e Sarcina Trump è responsabile di una deriva estremista del linguaggio politico che ha sconvolto gli Usa, stuzzicando, come recitano i titoli dei due articoli "la maggioranza silenziosa" e servendosi di uno "show". Due pessimi servizi per l'informazione in Italia sulle elezioni presidenziali americane.
Ecco gli articoli:
Donald Trump, Mike Pompeo
Massimo Gaggi: "La strategia di stuzzicare la 'maggioranza silenziosa' "
Massimo Gaggi
Sono passati solo 12 anni ma sembra un'altra era: nel 2008 Barack Obama criticava il suo avversarlo, John McCain, ma con toni più garbati perfino di quelli usati con la democratica Hillary , Clinton, battuta alle primarie. Mentre McCain interrompeva una sua fan mentre criminalizzava il candidato della sinistra: «Ho idee diverse dalle sue, ma Obama è un patriota che ama l'America come me». Tutto diverso oggi: una settimana fa Biden ha fatto previsioni apocalittiche in caso di conferma di Trump e l'altra notte il presidente ha sostenuto che una vittoria democratica il 9 novembre getterebbe il Paese nel caos: crimine, disordine, disastro economico. Addirittura l'America che smette, dopo dine secoli, di essere faro di libertà, prosperità e leadership democratica per il mondo con l'ex vice di Obama pronto a sottomettersi alla Cina. Le campagne elettorali si portano sempre dietro slogan e toni esasperati, ma quella Usa del 2020 promette di deragliare in uno scontro senza esclusione di colpi che può travolgere anche le regole del confronto democratico. Le avvisaglie non mancano, dalla minaccia di Trump di non riconoscere i risultati del voto al suo uso in campagna elettorale di luoghi, atti, simboli, dipendenti e risorse del governo, cosa vietata dalla legge a un presidente che cerca la riconferma, fino alle proteste ormai endemiche di ribelli di sinistra in varie città americane. Con tutte le sue forzature e l'uso spregiudicato dei poteri presidenziali, il discorso di Trump alla convenzione repubblicana è stato molto efficace: per la brutalità e l'insistenza degli attacchi a Biden, dipinto come incapace di tenere testa alla piazza, schiavo della sinistra radicale oltre che della Cina, ma anche per come ha mostrato, in modo teatrale, spicchi della sua attività di governo. Detenuti neri graziati, immigrati battezzati cittadini americani davanti a lui, i blitz contro l'Iran e i terroristi dell'Isis e, ora, l'accordo Israele-Emirati: episodi che — a volte atti realmente significativi, altre volte mosse studiate a tavolino — servono comunque a cercare di mobilitare un elettorato moderato più ampio della base compatta ma minoritaria dei suoi fedelissimi: cittadini che fin qui si sono tenuti alla larga dal presidente, infastiditi dalla sua arroganza e dai danni che ha arrecato ai meccanismi democratici. Gli strateghi non si Illudono che questi elettori si possano innamorare di Trump, ma ritengono che, oltre agli evangelici e ai conservatori trumpiani dell'America rurale e delle piccole città, ci sia un ceto medio urbano e suburbano che potrebbe votarlo pur non amandolo perché spaventato dal disordini nelle piazze e dal timore che le riforme economiche di Biden prendano una piega troppo radicale. Funzionera? Nell'America multietnica del 2020 può riemergere una «maggioranza silenziosa» come quella che elesse Nixon nel 1968? Comunque vada, l'America sarà un Paese sempre più spaccato a metà. Non solo sul piano politico, ma anche fisico, geografico: America rurale e del piccoli centri conservatrice, metropoli democratiche sempre più problematiche tra coronavirus, ripresa del crimine e allargamento del popolo degli homeless con molti benestanti che se ne vanno a vivere nei sobborghi residenziali lasciando i sindaci progressisti a gestire la povertà. Trump, che può mettere alle corde le citta distribuendo risorse federali col contagocce, probabilmente si gioca la presidenza proprio sulla sua capacità di allargare i consensi in questo ceto medio suburbano.
Giuseppe Sarcina: "Lo show di The Donald è un assalto a Biden: 'Distruggerà l'America' "
Giuseppe Sarcina
Attacco a Joe Biden. Slogan, un paio di immagini e qualche battuta. Donald Trump codifica lo schema per gli ultimi due mesi di campagna elettorale. Giovedì 27 il presidente americano ha chiuso la quattro giorni della convention repubblicana, con un discorso quasi interamente mirato a demolire la storia, la personalità, le proposte di Biden. Il cavallo di Troia Per prima cosa è necessario «smascherare la truffa» dei democratici. Formalmente si presentano agli elettori con un moderato. In realtà Biden è «il cavallo di Troia del socialismo, di marxisti esagitati come Bernie Sanders e i suoi amici radicali». L'obiettivo, dunque, è delegittimare Biden, togliere credibilità a ogni suo impegno, perché non sarà lui a comandare. Trump suggerisce che il potere sarebbe nelle mani di figure come Ilhan Omar: «quando questa deputata defini la polizia di Minneapolis un cancro corrotto fino alle radici, Biden non la smentì, non rifiutò il suo endorsement, anzi lo pubblicò orgogliosamente sul web». Il nemico della polizia Dunque, «Joe è debole». Con quali conseguenze? Trump risponde azionando quella che al momento sembra la sua leva migliore: «L'aspetto più pericoloso della piattaforma di Biden è l'attacco alla sicurezza pubblica». Il presidente ripropone la sua versione della dottrina law and order, presentandosi come l'unico garante dell'ordine pubblico, l'unico tutore degli agenti. «Non sbagliatevi...la sinistra radicale toglierà i fondi alla polizia. I democratici faranno in modo che ogni città americana somigli a Portland, dove sono al governo. Nessuno sarà al sicuro nell'America di Biden». La resa di Joe al virus Ma la manovra più spregiudicata è sulla gestione della pandemia. Trump ha parlato davanti a un'audience di notabili e supporter seduti uno accanto all'altro e quasi tutti senza mascherina. Eppure riesce a dire: «Anziché seguire le raccomandazioni della scienza, Joe Biden vuole infliggere un doloroso shutdown all'intero Paese. Questo causerà danni impensabili e durevoli ai nostri figli, alle nostre famiglie e ai cittadini di ogni fascia sociale. Il piano di Biden non è una soluzione al virus, ma una resa». In contrasto Trump toma a promettere: «Avremo presto il vaccino entro l'anno, forse anche prima. Abbiamo tre sperimentazioni che sono ormai nella fase finale». L'anima dell'America La parola d'ordine di Biden è: «Nelle prossime elezioni è in gioco l'anima dell'America». II leader democratico tenta di suscitare un'onda emotiva, cercando di elevare gli elettori. Trump, in qualche modo, prova a bucare questa simbolica mongolfiera spirituale: «Biden non è il salvatore dell'anima americana, è il distruttore dei posti di lavoro dell'America. Se gli date la possibilità, distruggerà «la Grandezza Americana». Ma quello di Trump non è puro materialismo. Anche il presi dente evoca il mito e la retorica «del più grande Paese che sia mai esistito sulla terra». Un primato che poggia sulla crescita economica, sull'indipendenza energetica, sulle esplorazioni spaziali e tante altre cose ancora. L'agenda cinese Biden, dunque, svolazza nella metafisica, e intanto consegna il Paese alla Cina: «Dice di essere empatico con i più deboli. Ma le persone vogliono indietro i loro posti di lavoro. Per tutta la sua carriera politica Biden ha svenduto i sogni degli operai americani, consentendo che Washington decentrasse il lavoro in Cina e altri posti lontani». E qui Trump accantona I suoi tre anni e mezzo di sbandierata amicizia con Xi Jinping. Ecco un nuovo slogan per la campagna: «L'agenda di Biden è "made in China"; la mia è "Made in Usa"». E «i cinesi tifano per lui». II vero amico dei neri Ieri a Washington circa 50 mi la persone hanno partecipato alla marcia promossa dal reverendo Al Sharpton per rilanciare la protesta della comunità afroamericana. Nel suo discorso di chiusura Trump ha detto in via preventiva: «Ho fatto più io per la comunità afroamericana che ogni presidente fin dai tempi di Abraham Lincoln».
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