Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 30/07/2020, a pag. 12, l'articolo di Guido Santevecchi dal titolo 'Hacker cinesi nei server del Vaticano'; a pag. 13, con il titolo "Il 'presentimento' su Hong Kong: trasferito a Roma tutto l’archivio segreto", il commento di Massimo Franco.
Ecco gli articoli:
Guido Santevecchi: 'Hacker cinesi nei server del Vaticano'
Guido Santevecchi
Una innocua lettera di condoglianze per la morte di un vescovo cinese, firmata dal cardinale Pietro Parolin il 14 maggio, è arrivata per email alla Holy See Study Mission di Hong Kong. Ma quella email sarebbe stata falsificata da hacker cinesi per spiare il Vaticano. Secondo la società americana di monitoraggio privato Recorded Future, l’email conteneva un malware inserito dagli hacker di un gruppo identificato come RedDelta, che sarebbe riconducibile ai servizi segreti di Pechino. Facendo abboccare all’amo del «phishing» la missione cattolica di Hong Kong, gli agenti si sarebbero infiltrati anche nel server vaticano durante la trattativa tra Santa Sede e Cina per il rinnovo dell’accordo sulla nomina dei vescovi cinesi. La Holy See Study Mission a Hong Kong è considerata una delle missioni più strategiche del Vaticano nel mondo: agisce da ufficio di collegamento con le diocesi cattoliche nelle 33 province della Repubblica popolare cinese. Il messaggio di posta elettronica indirizzato a Monsignor Javier Corona Herrera, esponente della delegazione cattolica a Hong Kong, aveva la firma dall’Arcivescovo Edgar Peña Parra, sostituto alla Segreteria di Stato della Santa Sede. Il rapporto di Recorded Future, società privata americana basata nel Massachusetts, è stato anticipato dal New York Times e poi pubblicato sul sito di Recorded Future. Un lavoro molto sofisticato, dicono gli analisti americani: il file elettronico conteneva una lettera su carta intestata della Segreteria di Stato e un messaggio di condoglianze che il cardinale Parolin (responsabile della diplomazia vaticana) avrebbe potuto scrivere senza problemi. Se la lettera usata per dare credibilità alla email delle spie cinesi è autentica, bisognerà accertare anche come sia finita nelle mani degli hacker di RedDelta a Pechino (e sotto la lente di Recorded Future). Il rapporto degli americani è oltre che tecnico anche molto politico. Ripercorre il lungo negoziato tra Santa Sede e Partito comunista cinese per risolvere la questione della nomina dei vescovi in Cina. L’accordo provvisorio fu firmato nel 2018 e i termini mantenuti segreti. Dopo due anni era prevista la conferma. Un tema del quale ha scritto il 3 giugno sul Corriere Massimo Franco, ricordando che la prima intesa scadrà a settembre ma dovrebbe essere prorogata tacitamente. Fin qui la distensione tra Santa Sede e Pechino ha dato buoni frutti. Recorded Future sostiene che l’intrusione nel server vaticano è diretta a rubare segreti diplomatici nell’ambito del negoziato. Ma l’operazione sembra più ampia: ieri ha denunciato un attacco anche il Pime (Pontificio Istituto per le Missioni Estere), la cui posta elettronica non ha funzionato per settimane, ha detto padre Bernardo Cervellera, direttore di AsiaNews. La rivelazione arriva nel pieno dello scontro tra Washington e Pechino, subito dopo che l’Fbi ha denunciato l’enorme aggressività dello spionaggio cinese negli Stati Uniti. Certamente la distensione diplomatica tra Santa Sede e Repubblica popolare diretta dal Partito comunista non è vista bene da Mike Pompeo che incita il «mondo libero» a fare muro ideologico contro Xi Jinping e compagni. Secondo il New York Times «non ci sono indicazioni che l’amministrazione Trump sia coinvolta nel rapporto privato sui cyberattacchi al Vaticano». Sarebbe interessante però sapere perché la società privata del Massachusetts si sia interessata alla sicurezza della Santa Sede, senza essere da questa sollecitata. Da Pechino il portavoce del ministero degli Esteri nel briefing per la stampa ha ripetuto che la Cina «è un fermo difensore della cybersicurezza» e ha aggiunto che per fare accuse bisognerebbe portare «ampie prove, invece di semplici congetture».
Massimo Franco: "Il 'presentimento' su Hong Kong: trasferito a Roma tutto l’archivio segreto"
Deng Xiaoping, papa Francesco
Forse il Vaticano aveva avuto un presentimento. Nell’estate del 2019, all’inizio dei moti di protesta, la Legatura apostolica di Hong Kong ha deciso di trasferire di nascosto nelle Filippine tutti i suoi documenti più riservati. E da lì sono stati portati in Vaticano, nell’ex Archivio segreto, oggi rinominato «apostolico», per paura che fossero sequestrati o distrutti dai militari e dall’intelligence cinesi. Può darsi che i vertici ecclesiastici percepissero non solo l’occasione storica ma le insidie di un rapporto ravvicinato con la Cina, formalizzato il 22 settembre 2018 con un patto di due anni mai reso pubblico per volontà di Pechino. Adesso, quella diffidenza sembra giustificata dalle notizie su un’infiltrazione nei server del Papa da parte di hacker cinesi, che sarebbe avvenuta a maggio: anche se Pechino parla di «congetture» senza prove. Già nel 1997, all’inizio della lunga transizione di Hong Kong da colonia britannica a isola cinese a tutti gli effetti, seppure con un’autonomia speciale, la Santa Sede aveva riempito decine di valigie diplomatiche per mettere al sicuro i dossier più scottanti: destinazione Manila, perché ufficialmente l’ufficio della Santa Sede a Hong Kong risulta come «missione di studio», una sorta di nunziatura informale, legata alle Filippine. Un anno fa, l’operazione è stata completata con il trasferimento dei dossier a Roma. Insomma, proprio mentre continuavano le aperture al regime di Xi Jinping, gli analisti vaticani erano arrivati alla conclusione che presto l’Esercito di Liberazione sarebbe intervenuto per normalizzare la situazione. La distensione è andata avanti in questi quasi due anni a dispetto del giro di vite cinese sia a Hong Kong, sia contro la minoranza musulmana degli Uiguri, nell’estremo ovest dell’Impero di Mezzo; e nonostante le pressioni degli Stati Uniti, convitato di pietra tra il pontefice argentino e il «nuovo Mao», per isolare Pechino. La Casa Bianca ha mosso le sue pedine geopolitiche in questi mesi, creando una sorta di «corona ostile» di nazioni asiatiche preoccupate dall’espansionismo cinese. E la guerra fredda in incubazione tra i due Paesi sta prefigurando scelte destinate a mettere in mora l’equidistanza vaticana dagli schieramenti strategici internazionali.Il fatto che i vertici della Santa Sede non abbiano mai preso una posizione ufficiale contro la repressione in atto nella ex città-stato è stato visto a Washington come la controprova della volontà di continuare la marcia di avvicinamento a Pechino. Il Vaticano ha optato fin da febbraio su una «diplomazia del coronavirus» che ha portato a colloqui con gli interlocutori cinesi e a scambi di cortesie, osservati con irritazione dagli Usa. E ha preso corpo l’ipotesi di un prolungamento tacito di altri due anni dell’accordo provvisorio e segreto in scadenza a settembre. La scoperta dell’infiltrazione cinese da parte della società americana di monitoraggio Recorded Future si inserisce su questo sfondo politico-diplomatico. Getta ombre pesanti sui negoziati per il rinnovo dell’intesa e la prospettiva ultima di stabilire relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Cina: anche perché lo spionaggio cinese sarebbe cominciato due mesi fa, nel pieno della trattativa. In Vaticano sospettano che sia un siluro americano per sabotare l’accordo e ridare fiato a quel «partito anti cinese» tuttora radicato nel mondo cattolico; e protagonista dal 2018 di un martellamento contro la strategia di Francesco, accusato dal cardinale emerito di Hong Kong, Joseph Zen, di «svendere i cattolici cinesi». Di Zen in Vaticano si dice che abbia avuto milioni di dollari di finanziamenti per la Chiesa clandestina ostile a Pechino. Ma nei circoli occidentali viene considerato il portavoce delle preoccupazioni e dell’allarme di una vasta area cattolica. In realtà, gli stessi negoziatori vaticani ammettono che il manico del coltello è in mani cinesi. «Quando lo prendiamo, lo facciamo per la lama e sanguiniamo. Ma meglio un cattivo accordo che nessun accordo», ammettono. D’altronde, la motivazione che viene fornita per l’assenza di prese di posizione nette su Hong Kong è che le proteste sarebbero in parte spontanee, in parte fomentate strumentalmente dagli Stati Uniti. Per questo le reazioni sono state delegate alla Chiesa locale. A Roma si è imposta una prudenza che incrocia l’esigenza vaticana di non irritare Pechino, e che sa molto di realpolitik. Rimane da capire se le rivelazioni delle ultime ore, riportate dal New York Times, influiranno sulla strategia asiatica di Francesco. Se davvero è in atto un tentativo di condizionarla e magari farla deragliare, sono prevedibili altre sorprese: sebbene i documenti più scottanti su Hong Kong siano al sicuro da un anno nei meandri blindati dell’Archivio apostolico vaticano. Irraggiungibili perfino dai pirati informatici cinesi.
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