IC7 - Il commento di Claudia De Benedetti
Dal 20 al 25 luglio 2020
Il significato del 9 di Av
Giovedì prossimo 30 luglio sarà in data ebraica il 9 di Av: per 26 ore, dal tramonto del sole di mercoledì fino alla comparsa delle prime tre stelle di giovedì, gli ebrei digiuneranno, non berranno né mangeranno nulla, non indosseranno calzature in cuoio, non avranno rapporti coniugali, siederanno in terra, applicando gran parte delle regole previste per Yom Kippur, il giorno del digiuno di espiazione. Secondo la tradizione il 9 di Av è avvenuta la distruzione dei due templi di Gerusalemme nel 586 a.e.v. ad opera dei Babilonesi e nel 70 per mano dei romani guidati da Tito. Altri eventi tragici sono ricordati in questa giornata: la caduta della città di Beitar, dopo una strenua lotta contro le truppe romane, episodio che, di fatto, sancì la fine della resistenza ebraica nel II secondo secolo e infine la cacciata degli ebrei dalla Spagna. C’è poi un episodio biblico che viene ricordato: il divieto all’ingresso in terra d‘Israele della generazione uscita dall’Egitto a causa della sfiducia nell’aiuto divino e nella bontà della terra promessa, una sfiducia dimostrata fidandosi delle spie inviate a esplorare la terra di Canaan e tornate terrorizzate “come insetti” di fronte ai “giganti” che la abitavano. Il lutto è quindi per la perdita della patria, che è il luogo assegnato da Dio al popolo ebraico, e per il proprio culto. Il digiuno del 9 di Av non è dunque semplicemente una testimonianza del legame storico fra il popolo ebraico e Gerusalemme. Come molti altri aspetti dell’ebraismo, ad esempio la preghiera detta tre volte ogni giorno e dopo ogni pasto per la ricostruzione di Gerusalemme, l’invocazione alla fine della celebrazione pasquale, numerosi salmi, esso dice che senza Gerusalemme, e il suo completo e pacifico possesso, l’ebraismo è incompleto, carente, incapace di seguire la sua legge.
Nella giornata del 9 di Avi passato e presente s’identificano totalmente. L’ebraismo di oggi e Israele non possono e non devono prescindere dalla tradizione a noi tramandata dalla Torà, dall’intera storia ebraica in tutta la sua plurimillenaria esistenza e dalla situazione mediorientale attuale. La perennità di questa tradizione, testimoniata anche dal legame di nuovi lutti successivamente attribuiti alla stessa data, parla alla coscienza ebraica di una continuità storica del proprio destino e, innanzitutto, dell’imprescindibile legame con Gerusalemme. L’ebraismo non distingue tra ricordo storico nazionale e ricorrenza religiosa, perché la divinità viene incontrata collettivamente dal popolo e nella storia, che si tratti di un dono di libertà che salva o della punizione terribile che Dio commina. Chi pensa di staccare il popolo ebraico dalla sua tradizione religiosa, dalla Torà, come purtroppo e troppo spesso avviene di questi tempi, ma anche chi cerca di staccare le tradizioni religiose dal destino del popolo, come avviene tristemente per alcune frange ultraortodosse di charedim, non solo mette a rischio la sopravvivenza di entrambi ma dimostra di non aver capito nulla neppure di quello che, fra questi due principi, dice di amare. Gerusalemme è una e indivisibile, con il suo tempio distrutto, con il suo ricordo, con la sua indiscussa volontà di ritornarvi, Gerusalemme ha unito e unisce il popolo ebraico di ogni generazione proprio perché nelle Bibbia è definita come “donata”.
Anche da un punto di vista totalmente laico, questa memoria ha un significato profondo. È come se ad Atene si celebrasse una giornata di lutto per le Termopili o a Roma per l’assedio di Roma di Porsenna: cose che si studiano a scuola o si vedono nei film, ma che non sono oggetto di memoria viva e di passione reale. Invece in queste ore entrando nei luoghi in cui l’ebraismo è vivo si comprende che il lutto è reale, condiviso, ancora bruciante. Ciò testimonia, naturalmente, dell’attaccamento del popolo ebraico alla Terra d’Israele e a Gerusalemme, un attaccamento personale, emotivo, conservato per millenni, che né le oppressioni romane, né quelle Babilonesi, né quelle musulmane e cristiane sono riuscite a eliminare. Gerusalemme ha un suo cuore pulsante straordinario, un’anima concreta, un’identità indistruttibile. Chiunque pensi al labirinto politico mediorientale deve tener conto di questo fatto. E l’odio di sé di alcuni, la faziosità e il disprezzo per il popolo che motivano le loro azioni, sono certamente una buona ragione per mantenere viva questa ricorrenza e cercare di ricordarla per riflettere sull’oggi.
Dedico questo mio IC7 alla memoria di Marcello Tedeschi scomparso la scorsa settimana, era un medico che ha dedicato tutta la vita a portare sollievo a chi soffriva. Un uomo saggio, giusto, sereno, pacato. Non usava parole inutili, sapeva cogliere la vera essenza delle cose e l’umanità di chi gli stava di fronte. Ha sempre saputo essere guida e punto di riferimento silenzioso e autorevole per i figli, per i nipoti e per i pronipoti, per la famiglia ferrarese e torinese, per le tante persone che hanno avuto la fortuna di apprezzarne le qualità. Il suo ricordo sia di benedizione.
Claudia De Benedetti
Presidente Sochnut Italia - Agenzia Ebraica per Israele