'Sequestrai 50 bambini per odio verso l’Italia': una condanna esemplare Commento di Giuseppe Guastella
Testata: Corriere della Sera Data: 16 luglio 2020 Pagina: 1 Autore: Giuseppe Guastella Titolo: «'Sequestrai 50 bambini per odio verso l’Italia'»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 16/06/2020, a pag. 1 con il titolo 'Sequestrai 50 bambini per odio verso l’Italia', il commento di Giuseppe Guastella.
Ousseynou Sy
Le dichiarazioni spontanee rivelano quel poco che ancora restava da cogliere della sua oscura personalità. Stentoreo, sprezzante, Ousseynou Sy rivendica con malcelato orgoglio di aver voluto compiere un gesto eclatante e non riesce a contenere l’odio verso gli italiani per il remoto passato coloniale e per le norme sull’immigrazione varate dal precedente governo. Basterebbe questo a spiegare perché i giudici lo condannano a 24 anni di carcere: il dirottamento da Crema a Milano dello scuolabus carico di studenti per raggiungere Linate fu, secondo la sentenza, un atto di terrorismo che solo il caso non ha trasformato in una strage tremenda. Si chiude così il processo in Corte d’assise al senegalese di 48 anni che il 20 marzo del 2019 rischiò di ardere vivi 50 ragazzi, due professori e una bidella nell’autobus che guidava per lavoro con il quale avrebbe voluto raggiungere l’aeroporto di Linate. Non ci riuscì solo grazie alla prontezza di due ragazzi che diedero l’allarme dopo essersi liberati dalle fascette con cui li aveva legati e all’intervento dei carabinieri che lo bloccarono a San Donato Milanese facendo uscire gli ostaggi immediatamente prima che Sy incendiasse la benzina che aveva sparso sul pavimento. I pm Alberto Nobili e Luca Poniz hanno escluso che fosse in contatto con organizzazioni terroristiche: Sy è un lupo solitario che sognava di rientrare in Africa salutato come un eroe dopo l’attentato. I giudici, presidente Ilio Mannucci, accolgono questa tesi e la richiesta di pena e condannano Sy, il ministero dell’Istruzione e le «AutoGuidovie Italiane» proprietarie del bus a pagare i danni subiti dalle vittime. Quando prende la parola in apertura dell’udienza per quello che nelle intenzioni dovrebbe anche essere un proclama, il senegalese dichiara che il suo non era un atto di terrorismo, ma «un gesto obbligatorio per salvare le vite umane» che vengono uccise «deliberatamente dal decreto Salvini» con cui «il governo dell’epoca lucrava sui migranti per avere voti». Non si rende conto, forse non gliene importa, che è proprio questa azione violenta contro una legge dello Stato a configurare l’accusa di terrorismo dalla quale vorrebbe sgattaiolare. Invece la rafforza ulteriormente prendendosela con gli italiani «che hanno impiccato e fucilato noi africani». Odia a tal punto l’Italia, che pure l’ha ospitato permettendogli di vivere serenamente per 25 anni e mettere su famiglia, da preferire «i nazisti tedeschi ai fascisti italiani». Sy tenta anche di ridimensionare le sue responsabilità (e la prevedibile pena) dicendo che nel bus le fiamme divamparono per un cortocircuito. «Il mio gesto è andato oltre le aspettative» perché «non volevo fare del male, se avessi appiccato il fuoco, nessuno si sarebbe salvato, nemmeno io». I pm la pensano diversamente, visto che lo hanno accusato di non aver esitato, quando fu bloccato dai carabinieri, a mettere a rischio la vita degli ostaggi pur di compiere un’azione della quale avrebbe dovuto parlare tutto il mondo. Ma non aveva alcuna intenzione di diventare un martire. Lo dimostrano, secondo la Procura, i due passaporti e le medicine che si era portato per l’improbabile fuga in Africa. «Se volete condannarmi, fate pure». È stato così.
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