Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 20/06/2020, a pag.31, con il titolo "L'arte rivista e 'corretta' dai guardiani della pubblica morale" la recensione di Alessandro Gnocchi al libro di Luca Beatrice.
Alessandro Gnocchi
La copertina (Giubilei Regnani ed.)
Sarebbe bello liquidare la furia iconoclasta come si meriterebbe: un'alzata di spalle, un po' di sarcasmo e una bella risata. Sarebbe bello ma purtroppo non è possibile. Infatti i piccoli censori iniziano a diventare grandi e vanno a occupare posizioni di rilievo all'interno di istituzioni e luoghi che dovrebbero essere simboli della libertà d'espressione. Ad esempio, i musei e la Rete. Al politicamente corretto va bene qualsiasi opera d'arte: a parte quelle irriguardose per le donne, per le minoranze etniche e religiose. Quelle no, è arte degenerata. Ah non vanno bene neppure le opere che, viste con gli occhi di oggi, manifestano tracce di colonialismo, razzismo, fascismo, populismo. Anche queste appartengono all'arte degenerata. Ah non vanno bene neanche le opere che celebrano valori riconducibili alla triade «Dio, patria, famiglia». Sono un esempio di arte degenerata. Ah, un attimo, anche le opere ideologicamente pure non vanno bene se realizzate da artisti da una moralità non specchiata e al di sopra di ogni sospetto. Sono espressioni di uomini degenerati. La misura della vera moralità è sempre il politicamente corretto, più bacchettone di un prevosto di campagna all'epoca della Controriforma. La sinistra ha sempre un ottimo feeling con la repressione del pensiero infedele alla linea. Basti pensare ai tentativi italiani di bloccare la pubblicazione del Dottor Zivago di Boris Pasternak o in anni più vicini a noi il pandemonio scatenato per far fallire la Biennale del dissenso, dedicata ai dissidenti dei Paesi comunisti. Difficilmente però il Partito comunista italiano si sarebbe speso per battaglie comiche come la guerra contro le statue. Aveva una classe dirigente cinica ma mediamente istruita e intelligente. Ora arriva Luca Beatrice e ci fa un bel quadro della situazione, nel saggio Arte è libertà? Censura e censori al tempo del web (Giubilei Regnani, pagg. 130, euro 13).
Luca Beatrice
Roba da mettersi le mani nei capelli e insieme da sbellicarsi: è incredibile come il politicamente corretto ci abbia fatto regredire a un puritanesimo che batte perfino quello dell'età vittoriana, ritenuto a lungo insuperabile. Primo esempio. L'audioguida della mostra londinese Gauguin Portraits a un certo punto domandava: «E ora di smettere di guardare Gauguin?». E perché mai dovremmo smettere? Semplice, era un essere moralmente indegno perché ebbe relazioni con quattordicenni polinesiane. Dal reame del Bene, simbolo dell'incarnazione eroica di tutte le libertà e di tutte le lotte sociale, Gauguin si trova sprofondato nell'inferno del Male, 120 anni dopo la sua morte. Lo storico dell'arte Stéphan Guègan, autorevole biografo del pittore francese fa notare che «Gauguin si era lasciato andare alle abitudini dell'isola, dove si diventava interamente donna, maternità compresa, a partire dall'età di tredici anni». Niente da fare. Commenta il New York Times «Sarebbe meglio non esporre più nessuna opera del pittore parigino». Secondo esempio. John William Waterhouse è stato un pittore preraffaellita. Era meno noto di Dante Gabriel Rossetti o John Everett Millais fino a quando, nel 2018, il suo quadro Ila e le Ninfe (1896) è stato rimosso dalle sale della Manchester Art Gallery. L'accusa: «Opera sessista». La difesa: «Ma racconta la storia mitica di Ila, trascinato in una fonte dalle ninfe innamorate». Niente, troppo maschilista. Beatrice non si limita a indagare i casi in cui si giudica il passato con gli occhi del presente (ci sono Picasso, Balthus e perfino Canova). Anche i contemporanei, ogni tanto, ci rimettono le penne, si va da Anish Kapoor a Maurizio Cattelan e molti altri. Ma ai nostri giorni, il punto privilegiato d'osservazione non sono le gallerie, i musei o le installazioni pubbliche. I termometri perfetti sono i Social Network che hanno messo in campo algoritmi, in via di perfezionamento, capaci di individuare e cancellare i post potenzialmente offensivi. Questo ancora prima dell'eventuale reazione indignata degli utenti. Nei casi dubbi, interviene lo staff del Social Network che decide se censurare o meno. Il metro di giudizio è ancora una volta il politicamente corretto. Non è l'unico problema. L'algoritmo infatti confonde L'origine del inondo di Gustave Courbet con la pornografia. La Rete era nata come territorio libero e anarchico. A quanto pare le cose sono cambiate in peggio.
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