Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 11/06/2020, apag.16-17, con il titolo "Usa, attacchi contro le statue di Colombo" la cronaca di Giuseppe Sarcina; con il titolo "E a Londra il sindaco lancia la 'revisione' dei monumenti", la cronaca di Luigi Ippolito; con il titolo "Il caso 'Via col vento', rimosso dalla tv. Ma non servirà a cambiare la Storia", il commento di Paolo Mereghetti.
Ecco gli articoli:
Giuseppe Sarcina: "Usa, attacchi contro le statue di Colombo"
Giuseppe Sarcina
Attacco a Cristoforo Colombo. Nella notte di martedì a Richmond, in Virginia, un gruppo di manifestanti ha abbattuto una statua del grande navigatore. Un’operazione pianificata, visto che i vandali si sono portati delle corde per trascinare il monumento,e gettarlo nel laghetto di Byrd Park. Poi si sono dedicati al piedistallo, imbrattandolo con lo slogan: «Questa è la terra dei Powhatan», la popolazione dei nativi in Virginia. Oppure: «Colombo rappresenta il genocidio». Nella stesse ore, altro incidente a Boston. Qui in realtà la protesta era diretta contro il monumento di Robert Lee, il comandante sudista nella Guerra Civile. Ma a un certo punto gli attivisti si sono scagliati contro la scultura del Genovese nel parco che porta il suo nome. Hanno staccato la testa, lasciando il resto sulla base. Il sindaco di Boston, Mary Walsh ha deciso di far rimuovere la statua, custodirla in deposito e aprire l’immancabile «dibattito» sul significato del gesto. Ma non è la prima volta: il monumento fu decapitato già nel 2006 e sporcato con vernice rossa nel 2015 e una scritta in nero: «Black Lives Matter». La furia iconoclasta del movimento ha investito altri simboli. In genere figure legate allo schiavismo nel Sud o a personaggi controversi come l’italo-americano Frank Rizzo, sindaco di Philadelphia dal 1972 al 1980. L’offensiva ideologica contro Colombo ha una lunga storia. Una sorta di processo postumo con le categorie politiche e morali di oggi. Negli anni scorsi 13 Stati hanno cancellato il Columbus Day, sostituendolo con una giornata in ricordo delle sofferenze patite dai nativi americani.
Luigi Ippolito: "E a Londra il sindaco lancia la 'revisione' dei monumenti"
Luigi Ippolito
È una furia iconoclasta che è stata paragonata alla Rivoluzione Culturale maoista e che riporta alla memoria le immagini delle statue di Marx e Lenin abbattute nell’Europa dell’Est dopo la caduta del comunismo. In tutta l’Inghilterra i monumenti legati all’epoca schiavista e coloniale sono finiti nel mirino, dopo che nei giorni scorsi la folla a Bristol ha rovesciato dal piedistallo la statua del mercante di schiavi Edward Colston e l’ha gettata in un canale. È l’onda lunga del movimento di protesta dei neri che sta scuotendo l’America: e in Gran Bretagna, dalla iniziale solidarietà con gli afroamericani, si è rapidamente passati alla messa sotto accusa del proprio passato imperiale e del razzismo che tuttora permea società e istituzioni. È una vera rilettura critica della Storia, quella che è stata avviata a furor di popolo. E tanti si sono messi in scia: a partire dal sindaco di Londra Sadiq Khan, che ha nominato una commissione incaricata di rivedere tutte le statue e i nomi di strade della capitale macchiati dall’associazione col razzismo. Ma c’è chi non aspetta: nei Docklands, nell’Est di Londra, è stata già portata via la statua di un proprietario di schiavi dell’Ottocento. E sono 130 i Comuni a guida laburista in tutta l’Inghilterra che hanno annunciato l’intenzione di rivedere i loro monumenti, per stabilire se siano «appropriati». È un revisionismo storico che non manca di suscitare polemiche: perché c’è chi si chiede se sia legittimo fare tabula rasa del passato, mentre i commentatori conservatori evocano i fantasmi dell’intolleranza ideologica legati alla stagione maoista in Cina.
Paolo Mereghetti: "Il caso 'Via col vento', rimosso dalla tv. Ma non servirà a cambiare la Storia"
Paolo Mereghetti
Con la puntualità delle scadenze fiscali, torna la polemica su Via col vento . L’ultimo a sollevarla è stato John Ridley, lo sceneggiatore di 12 anni schiavo , che con un appello sul «Los Angeles Times» ha chiesto di boicottare il film probabilmente più celebre di tutta la storia del cinema americano. E a fare i debiti raffronti con l’inflazione, anche quello di maggior incasso. Questa volta, a dar retta alla richiesta è stata la piattaforma Hbo Max, che ha tolto il film con Scarlett O’Hara e Rhett Butler dalla disponibilità dei suoi utenti, sostenendo che «senza spiegare e denunciare [il razzismo di] questa rappresentazione sarebbe stato irresponsabile» e che lo rimetterà in streaming «contestualizzandolo e risituandolo nel suo periodo storico». In effetti il romanzo di Margaret Mitchell prima (pubblicato nel 1936) e il film di Victor Fleming dopo (uscito nel 1939) raccontavano un’America dove il razzismo era dato per normale, dove la servitù di colore si rivolgeva nei modi più deferenti (e sgrammaticati) possibile ai padroni e soprattutto dove i valori del Sud schiavista non erano mai messi in discussione. Anzi, sottilmente esaltati. Inevitabile che questo monumento della Hollywood più spettacolare e fantasmatica (otto Oscar, per molti critici un capolavoro, per il pubblico un film che a ogni passaggio, anche televisivo, fa segnare record d’ascolto) finisse nel mirino di chi vorrebbe cancellare i segni di un passato offensivo e umiliante. In ottant’anni di vita, ancorché immaginaria, ha assunto la forza di un simbolo e come tale è facile da colpire ed esecrare. Anche perché in fatto di stereotipi — e non solo razzisti — è un vero campionario. Eppure queste «petizioni», questi appelli alla cancellazione, hanno dentro di loro qualcosa di discutibilmente contraddittorio e di ambiguamente rassicurante. Come se, chiudendo in un cassetto Via col vento, si potesse ottenere di cambiare la storia degli Stati Uniti e d’un colpo cancellare il razzismo che fino a ieri ha segnato la storia del Paese. E che non ha ancora smesso di farlo. Prendersela con i simboli è facile, scandalizzarsi per le frasi sgrammaticate di Mami ancora di più, ma si potrebbe scommettere che Derek Chauvin, il poliziotto che ha causato la morte di Floyd, non è diventato quello che è per aver visto Via col vento. Forse non sa nemmeno cosa sia. Non è stato abbattendo le statue di Stalin e Lenin che gli abitanti dell’ex Unione sovietica hanno cambiato all’improvviso il loro modo di pensare e di comportarsi, così come non è invitando a boicottare Via col vento che non succederanno più drammi come quello di George Floyd. Ben altri sarebbero gli appelli da fare rispetto alla cultura del razzismo in America e ai suoi «campioni». Ben altre le riflessioni da pretendere. Come quella di Spike Lee che nel suo ultimo film Do 5 Bloods - Come fratelli mette in testa a uno dei protagonisti di colore un cappellino con la scritta trumpiana «Make America Great Again». Magari le contraddizioni e i problemi dell’America si potessero risolvere proibendo Via col vento.
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