'Testamento di un anticomunista. Dalla Resistenza al golpe bianco': ritratto di Edgardo Sogno Il libro di Aldo Cazzullo
Testata: Corriere della Sera Data: 09 giugno 2020 Pagina: 36 Autore: Aldo Cazzullo Titolo: «Sogno, l'ambizione di essere il De Gaulle d'Italia»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 09/06/2020 a pag.36, con il titolo "Sogno, l'ambizione di essere il De Gaulle d'Italia", l'anticipazione dalla nuova edizione del libro di Aldo Cazzullo.
Aldo Cazzullo
La copertina (Mondadori ed.)
Anticipiamo un brano della nuova prefazione al libro-intervista di Edgardo Sogno con Aldo Cazzullo, «Testamento di un anticomunista. Dalla Resistenza al golpe bianco» che Mondadori ripubblica a vent'anni dalla morte di Sogno, e della prima edizione del volume in cui il conte raccontò di aver davvero preparato un «golpe bianco».
E’ stata una bella avventura scrivere con Edgardo Sogno il libro sulla sua vita. Già la sua casa era un ambiente da romanzo. Un incrocio tra un casotto di caccia di un nobile sabaudo e una residenza coloniale da romanzo francese di spionaggio: le teste di cervi dalle corna imponenti e i passaggi segreti (una scala portava in un'intercapedine nel soffitto, un tunnel conduceva nei sotterranei e da lì in strada), la spada di Carlo Alberto dono di nozze della marchesa Visconti e i reperti orientali di quand'era ambasciatore in Birmania, il ritratto con la veste rossa dell'ordine dei santi Maurizio e Lazzaro e gli acquarelli esotici. Un palazzo sorto sulla rovine della Cittadella, il quartiere più torinese di Torino — almeno della Torino cara a Sogno: vie squadrate, linee metafisiche, nemmeno una panetteria — con i ritratti degli avi imparruccati e le statue di Buddha portate via con stratagemmi da esploratore. E poi la botola per sfuggire ai nazisti e ai carabinieri, cui Luciano Violante aveva affidato l'ingrato compito di perquisire una casa così complicata. Per settimane, il conte mi raccontò la sua storia. La guerra di Spagna. I gesti di insofferenza al regime: la volta che, dopo la firma delle leggi razziali, Sogno passeggiò per i portici di via Po con una stella gialla appuntata sul petto; la volta che, dopo il discorso di Mussolini del io giugno 1940, spalancò le finestre di casa per far ascoltare all'intero quartiere la Marsigliese, l'inno del Paese cui l'Italia fascista aveva appena dichiarato guerra. E poi la lunga epopea della guerra partigiana. Nella Resistenza Sogno ebbe un ruolo di primo piano, e non perdonò mai alla sinistra e ai suoi intellettuali di non averglielo riconosciuto. Rappresentante del Partito liberale nel Comitato militare di liberazione del Piemonte, evita di essere fucilato al poligono del Martinetto con il generale Perotti, il capitano Balbis e gli altri sei eroi solo perché quel giorno era in missione a Genova, e non poteva partecipare all'incontro fatale nella sacrestia del Duomo. Paracadutato oltre le linee tedesche, tiene i contatti tra gli Alleati e le bande partigiane, va in missione a Roma con Parri, Pajetta e Pizzoni per stringere il rapporto tra il Comitato di liberazione dell'Alta Italia e il governo Bonomi, fonda l'organizzazione Franchi, viene arrestato mentre tenta di liberare Parri, picchiato, torturato, infine scarcerato dai nazisti su pressione dei servizi americani. Dopo la guerra, Sogno fonda un giornale, entra in diplomazia, collabora con Scelba all'anticomunismo di Stato, scrive un progetto per quella che diventerà Gladio, e con i denari prima di Valletta e poi della Cia inventa Pace e Libertà, organizzazione di punta dello scontro con il Pci e la Cgil. Briga per farsi nominare ambasciatore a Saigon, nel pieno della guerra del Vietnam, ma per una beffa del destino — e di Moro e Fanfani — si ritrova a Rangoon, in Birmania, dove non accade nulla: la moglie Anna dipinge i suoi migliori acquerelli, Sogno colleziona antichità e studia il regime militare. Proprio nei torbidi degli anni Settanta la medaglia d'oro della Resistenza vede l'opportunità di tornare a essere l'uomo d'azione che era stato, combattendo i comunisti con la stessa durezza con cui ha combattuto i nazifascisti. La Procura di Torino lo accusa di aver preparato un colpo di Stato. Sogno finisce in carcere. Giudice istruttore e Luciano Violante, poi deputato del Pci. Il conte passa un mese e mezzo a Regina Coeli («ero in cella con due che avevano ammazzato la moglie ma mi trattarono benissimo»), prima di essere liberato e prosciolto. Fu allora, quando cominciò a parlarmi di quegli anni, che compresi perché Sogno desiderava fare questo libro almeno, anzi più di quanto lo desideravo io. In quegli anni era considerato una vittima dei comunisti, come tale era stato candidato da Alleanza nazionale alle elezioni del 1996, veniva invitato ai convegni di Forza Italia, lo si nominava per ricordare quanto i postcomunisti fossero cattivi (proprio nel 1996 Violante era diventato presidente della Camera). Ma Edgardo Sogno Rata del Vallino moriva dalla voglia di far sapere al mondo che lui non era una mammoletta, un debole, un indifeso. Che i comunisti li avrebbe volentieri confinati su un promontorio sardo. Che avrebbe fatto dell'Italia, con l'appoggio dei militari, una Repubblica presidenziale sul modello gollista. Ovviamente dal suo punto di vista questa non era una confessione, ma una rivendicazione. Il suo modello non erano certo i golpe sudamericani, ma la prova di forza incruenta con cui il Generale aveva riscritto la Costituzione francese. Lui del resto si considerava un po' il De Gaulle italiano: il punto di riferimento morale degli antifascisti non comunisti. Ovviamente Sogno non era De Gaulle, così come l'Italia non è la Francia. Ma quelli che ancora oggi lo raffigurano come la fragile vittima di una cospirazione non sanno di fargli il peggiore dei torti possibili. A quel punto, per essere più sicuro, passai dalle registrazioni dei nostri colloqui ai testi scritti. Conservo ancora i dattiloscritti con le correzioni di suo pugno con cui Edgardo Sogno rispose alle domande sul golpe. «Credo sia arrivato il momento di non tacere più nulla. Iniziando l'organizzazione militare per lo strappo al vertice sul modello gollista, io non avevo dubbi, come non ne aveva Pacciardi, di compiere un atto dovuto, nella difesa della libertà democratica e per la ricostruzione dello Stato sulle sue basi storiche e risorgimentali. Si trattava di un'operazione politica e militare, largamente rappresentativa sul piano politico, e della massima efficienza sul piano militare. Le dirò i principali reparti pronti a operare, con i loro comandanti, che avevo tutti contattati personalmente. La Regione Militare Sud, il comandante; la Regione Militare centrale, il vicecomandante e il capo di Stato maggiore; l'Arma dei carabinieri, il vicecomandante; la Divisione carabinieri Pastrengo, il comandante; la Legione carabinieri di Roma, il comandante; la Brigata paracadutisti a Livorno, il comandante; la Divisione Folgore, il comandante; la Marina, il capo di Stato maggiore generale, l'Aeronautica, il capo di Stato maggiore generale...». E poi i nomi: i generali Liuzzi, Ricci, Picchiotti, Palumbo, Santovito, Barbasetti, Giulio Cesare Graziani, Borsi, gli ammiragli Roselli Lorenzini e Pighini, il procuratore generale presso la Cassazione Colli, politici democristiani, liberali, e pure ex comunisti come Eugenio Reale... «Finalmente un mistero italiano risolto» scriverà Michele Serra su «Repubblica». In tanti invece non si sono rassegnati alla più semplice delle verità, quella uscita dalla penna del protagonista, al momento di lasciare la scena. Certo, quando vent'anni fa uscirono le anticipazioni del libro, le reazioni sulle prime pagine dei giornali furono unanimi L'ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga chiese scusa a Violante per averlo definito «un piccolo Vishinskij». Ernesto Galli della Loggia scrisse sul «Corriere» che «Sogno mise nei suoi piani il suo impegno più pieno, la sua vasta rete di amicizie, tutte le risorse del suo temperamento singolare». Eugenio Scalfari su «Repubblica» valutò che «non si tratta certo di un golpe da operetta, visto che il gruppo dei congiurati coinvolge gran parte dell'apparato militare, si avvale del consenso attivo o attendista di importanti settori politici ed economici, ha ottenuto il via libera del responsabile in Italia dei Servizi americani», e indicò in Giulio Andreotti, nell'estate del 1974 ministro della Difesa, l'uomo che aveva fatto fallire i progetti golpisti, trasferendo o defenestrando tutti i generali indicati da Sogno. Alcuni generali confermarono la ricostruzione. L'ex ministro dell'Interno Paolo Emilio Taviani, che al telefono con me nella fase di stesura del libro aveva negato, confermò in un'intervista a Giovanni Maria Bellu di «Repubblica» che era stato lui a mettere la Procura di Torino sulle tracce di Sogno. In difesa del conte si espressero Paolo Guzzanti sul «Giornale», Enzo Bettiza sulla «Stampa» e Giuliano Ferrara sul «Foglio»: «Sogno era un po' golpista, ma Violante non aveva ragione, visto che non trovò le prove». Poi la polemica storica e culturale si assopì. La memoria di Sogno ha ripreso a essere usata per le rituali polemiche. Molti parlano come se il Testamento di un anticomunista non fosse mai uscito, e in tal modo fanno un torto a lui, perché il libro è più suo che mio. E la sua ultima parola. Ma la sua ultima parola interessava poco sia agli pseudostudiosi del «doppio Stato» e del complottismo, i quali ovviamente sapevano già tutto, sia ai professionisti dell'anticomunismo, che di Sogno sapevano meno di nulla ma a cui Sogno serviva nel ruolo della vittima.
Per inviare al Corriere della Sera la propria opinione, telefonare: 02/62821, oppure cliccare sulla e-mail sottostante