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Corriere della Sera Rassegna Stampa
04.06.2020 I silenzi del Papa su Pechino
Cronaca di Massimo Franco

Testata: Corriere della Sera
Data: 04 giugno 2020
Pagina: 21
Autore: Massimo Franco
Titolo: «Cina-Vaticano, gli 'effetti' del virus: verso la proroga del patto segreto»
Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 04/06/2020, a pag.21 con il titolo "Cina-Vaticano, gli 'effetti' del virus: verso la proroga del patto segreto", il commento di Massimo Franco.

L'accordo segreto tra il Vaticano e la dittatura cinese spiega i silenzi del Papa su Pechino. La Santa Sede, ancora una volta nella sua storia, non si fa scrupoli di appoggiare regimi liberticidi.

Ecco l'articolo:

After decades of mistrust, Pope pushes for breakthrough with China
Deng Xiaoping, papa Francesco

Osservata dal Vaticano, Hong Kong appare remota, e non solo geograficamente. E l’eco delle proteste e della repressione nell’isola non cambierà la strategia della Santa Sede nei confronti della Cina. Anzi, la «diplomazia del coronavirus» si prepara a produrre un prolungamento della loro intesa, in scadenza a fine settembre. La decisione non è stata ancora presa ufficialmente, ma l’ipotesi che Francesco e Xi Jinping concordino su uno slittamento «per almeno dodici mesi» del termine per ridiscutere il loro accordo biennale e verificarne i contenuti nel 2021 sta prendendo consistenza. Non con un’estensione automatica: le due parti dovranno esprimere la volontà di proseguire i negoziati. Ma esistono pochi dubbi che si vada in quella direzione. D’altronde, il contagio da Covid-19 rende praticamente impossibile, si spiega in Vaticano, una serie di incontri preparatori come quelli del 2018. Meglio aspettare che la fase acuta della pandemia si concluda. L’enigma di quell’accordo, dunque, è destinato a restare. Come è noto, tranne i vertici di Pechino e della Roma papale, nessuno conosce il contenuto di quel documento, definito temporaneo e tenuto segreto per volontà cinese. Ma se ne intravedono sempre più chiaramente le conseguenze. La prima è che l’attenzione reciproca emersa anche dopo l’esplosione della pandemia si consoliderà. È improbabile che ci saranno prese di posizione vaticane sul pugno di ferro di Pechino a Hong Kong, o sulle responsabilità per il ritardo col quale il mondo è stato informato. Non ci sarà neppure un allineamento vaticano agli Stati Uniti, se lieviterà una nuova Guerra fredda tra Usa e Cina. E non soltanto perché Francesco si considera un papa postoccidentale, disancorato dagli schieramenti internazionali del passato e deciso a giocare a trecentosessanta gradi. Lo scontro tra la Casa Bianca di Donald Trump e il regime di Xi Jinping è considerato strumentale e foriero di un’escalation pericolosa. Nel governo della chiesa di Jorge Mario Bergoglio rimane la convinzione che non si possa prescindere dalla presenza cinese sullo scacchiere mondiale. E il Vaticano non vuole inserire elementi anche minimi che possano compromettere il mantenimento dell’accordo firmato a Pechino il 22 settembre del 2018. Quell’intesa è stata utilizzata per cercare di superare la dicotomia tra la Chiesa cattolica «patriottica», di fatto controllata dal governo comunista di Pechino, e quella «sotterranea» fedele al Papa e perseguitata per decenni. Ufficialmente, l’operazione è riuscita, nonostante arrivino a intermittenza voci di un giro di vite progressivo contro la libertà religiosa; e di una lobby antivaticana nel Partito comunista cinese, contraria a rapporti più stretti con la Roma papale. Nella stessa Chiesa cattolica, d’altronde, affiorano segnali di malumore e diffidenza: oltre che dal solito cardinale Joseph Zen, arcivescovo emerito di Hong Kong, additato come portavoce di una linea gradita a Washington, anche dall’arcivescovo birmano Charles Bo, presidente dei vescovi cattolici asiatici, che a fine marzo ha accusato «il regime comunista cinese» di essere «il primo responsabile» della pandemia. Questo non ha cambiato la traiettoria della geopolitica vaticana, tuttavia. Appena esplose il contagio, il Papa fece raccogliere dalla farmacia vaticana 700 mila mascherine protettive in tutta Italia, e le mandò a Wuhan, epicentro del Covid-19, ricevendo il grazie delle autorità cinesi. E nel febbraio scorso, «su richiesta vaticana», precisarono da Pechino, il «ministro degli Esteri» della Santa Sede, monsignor Paul Gallagher, ha incontrato a Monaco il suo omologo Wang Yi. Nell’occasione si spiegò che la Cina contava sul contributo del Vaticano per correggere l’ostilità della comunità internazionale nei confronti di Xi e della sua gestione della pandemia. Per difendere l’intesa temporanea e rintuzzare l’accusa di Zen a Francesco di avere «svenduto i cattolici», a febbraio il cardinale Giovan Battista Re ha dovuto sottolineare che quel patto provvisorio sarebbe «in perfetta sintonia di pensiero e di azione degli ultimi tre pontefici». Ma per tutta risposta si è sentito chiedere dall’arcivescovo di Hong Kong di mostrare il testo, mai reso pubblico. L’intreccio del patto con i rapporti Vaticano-Usa e con il futuro dell’isola «ribelle» di Taiwan, che la Cina vuole prima o poi riprendersi, rimane sullo sfondo, inestricabile e fonte di continue tensioni. Ma la diplomazia del coronavirus continua. Il 20 aprile scorso il segretario di Stato vaticano, Piero Parolin, ha lanciato l’edizione digitale in cinese di Civiltà Cattolica, la rivista dei gesuiti. Gli Stati Uniti osservano, nel ruolo di convitato di pietra ingombrante. E non si esclude che possano spingere presto per una sorta di scelta di campo della Santa Sede: richiesta, sembra di capire, considerata irricevibile.

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