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Il Giornale Rassegna Stampa
03.06.2020 Paura, vendetta, violenza. Ecco quello che sta succedendo negli Stati Uniti
Analisi di Fiamma Nirenstein

Testata: Il Giornale
Data: 03 giugno 2020
Pagina: 16
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Le paure di ieri e la cultura della vendetta»
Riprendiamo dal GIORNALE di oggi, 03/06/2020, a pag. 16 con il titolo "Le paure di ieri e la cultura della vendetta" l'analisi di Fiamma Nirenstein.

A destra: violenze per le strade delle città americane

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Fiamma Nirenstein

Se George Floyd, l'uomo strangolato con quel terribile ginocchio dal poliziotto ormai accusato di omicidio martedì scorso fosse stato bianco, mi avrebbe fatto lo stesso identico effetto: orrore, tragedia, pena per una morte violenta e causata dalla polizia, che in ogni Paese è là per i cittadini, anche quando sono parte del disordine sociale. Non solo: penso, con presunzione, che Martin Luther King avrebbe avuto i miei medesimi sentimenti e adesso vorrebbe fermare quella folla infuriata che afferma che "black life matter". Penserebbe che coi saccheggi e la violenza viene svalutato, che decade il suo ruolo nella democrazia, esattamente come accadrebbe a un uomo bianco. Il sogno di Martin Luther King, chiarito come ricorda anche Douglas Murray, il 28 agosto del 1963 nel discorso al Lincoln Memorial è chiaro: dopo aver descritto come gli americani neri sono stati prima schiavi e poi cittadini di seconda classe e aver denunciato come ancora le leggi di segregazione razziale fossero ancora parte della vita americana spiegò che il suo sogno era che i suoi figli "potessero vivere in una nazione in cui non saranno giudicati per il colore della loro pelle ma per il loro carattere", e tornò ancora sul concetto. Questo è in parte accaduto, in quanto le leggi oggi sono paritarie e realizzano l'idea della dichiarazione di Indipendenza che "Tutti gli uomini sono creati uguali". Ma la società americana è come tutte quante, ingiusta, soffre di squilibri e di pregiudizi. Ma non di questo è accusata, bensì del suo passato, ritenuto ormai dall'ondata culturale intersezionale e di "gender" geneticamente spregevole, da concludere, da cancellare per sempre. Anche con la violenza. Quello che come un'ondata di schiuma disegna uno tsunami sull'onda dei saccheggi e delle violenze di questi giorni, non c'entra nulla con la parità degli esseri umani, con la lotta per la giustizia. C'entra invece con lo sbarramento ideologico che negli Stati Uniti, e per riflesso anche da noi, riflette la cultura della colpevolizzazione e della vendetta, che nasce nel fascismo e nel comunismo, che inventa l'eternità del conflitto, proietta sull'oggi la paura di ieri, travolge l'identità dell'uomo moderno e il travaglio della democrazia e della sua funzione di levatrice. Vede nella storia dell'arte l'esaltazione della cultura bianca per cui istituisce "black studies" che cancellano pittura, letteratura, musica, come gli "women studies" o i "gay studies" fanno a loro volta ritenendoli espressione della persecuzione che li accompagna. E' la pretesa che al di fuori di te, tutto il resto ti odi, di perseguiti e quindi ti dà un diritto praticamente totale alla reazione violenta. Un presidente che di fronte a un paese in fiamme dice che semmai ci vorrà l'esercito non dice niente di strano: ma se è bianco, è un suprematista. Una lunga scia letteraria e filosofica ha cambiato in America le università, ha costruito una cultura, una filosofia a parte, di gender, di colore: Stokely Carmichael, Eldridge Cleaver, George Jackson... La nuova cultura deve con i loro nomi creare l’ispirazione, in scritti e romanzi, in cui risulta basilare l'esperienza di gioventù violente, emarginate. I giovani che distruggono i negozi e portano via le merci, sparano e picchiano convinti di incarnare il supremo diritto della sofferenza, nell'aspirazione suprema di una società a loro immagine e somiglianza, che corregga ciò che è accaduto ai loro padri. Le Università di Harvard, Yale, l'Università dell'Arizona, della Pennsylvania, hanno lanciato dichiarazioni di fedeltà alla "racial Equity". Che c'entrava? Nel 2014 mi trovavo negli Stati Uniti e scrissi la storia di grandi proteste sotto lo slogan nuovo "black lives matter" dopo violenze della polizia su ragazzi neri. Il Presidente degli Stati Uniti era Barack Obama, che come tanti altri con la sua vita dimostrava che anche se negli USA era esistita la schiavitù e il disagio sociale era un problema, black lives matter. Così è negli USA di oggi.

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