Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 22/05/2020, a pag. 21, l'articolo di Guido Santevecchi dal titolo "La legge di Pechino cala su Hong Kong, Xi fa votare le norme 'anti sedizione' "; a pag. 31, con il titolo "La carta cinese di Donald Trump", il commento di Massimo Gaggi.
Mentre l'articolo di Santevecchi rende conto delle minacce cinesi verso Hong Kong, quello di Gaggi è una velina che fa il gioco di Pechino. Gaggi inoltre accusa Trump di propaganda a tutto vantaggio del suo sfidante Biden.
Ecco gli articoli:
Guido Santevecchi: "La legge di Pechino cala su Hong Kong, Xi fa votare le norme 'anti sedizione' "
Guido Santevecchi
Hong Kong e la Cina sono legate dal principio «Un Paese due sistemi». Ma è il sistema unico delle leggi sulla «Sicurezza nazionale cinese» quello che Xi Jinping ha deciso di imporre anche nella City, dopo l’ondata di manifestazioni democratiche e anti-Pechino dell’anno scorso. Lo ha annunciato ieri notte il portavoce del Congresso del popolo che si riunisce oggi nel palazzone grigio di piazza Tienanmen. «Alla luce delle nuove circostanze, il Congresso eserciterà il suo potere costituzionale, i delegati del Popolo esamineranno la normativa contro le attività secessioniste e sovversive», ha detto Zhang Yesui. Il funzionario non dato dettagli sulla bozza. Ma basta ricordare che in Cina la polizia è pronta a reprimere ogni assembramento che non sia organizzato dalle autorità. E che può bastare firmare un documento di critica al Partito per finire in carcere. In più, per mesi Pechino ha accusato il fronte democratico di Hong Kong di mire secessioniste e di collusione con potenze straniere, equivalente di alto tradimento. La Legge sulla sicurezza nazionale cinese applicata a Hong Kong significa che se i giovani contestatori torneranno in strada, dopo il lockdown da coronavirus, rischieranno condanne a vita, non solo le bastonate e i lacrimogeni dei poliziotti. I magistrati dell’ex colonia britannica restituita alla madrepatria nel 1997, a differenza dei loro colleghi nel resto della Cina, non sono funzionari politici incaricati di difendere l’interesse supremo del Partito, i giudici di Hong Kong applicano la legge con principi garantisti ereditati dal modello britannico. Da anni Pechino voleva che Hong Kong, Regione Amministrativa Speciale, si adeguasse alla «Legge sulla Sicurezza nazionale» in vigore nella Repubblica popolare. La guerriglia urbana del 2019 ha creato frustrazione nel governo centrale. Hong Kong aveva resistito per 23 anni, aggrappata al suo sistema dove basta presentare regolare richiesta per scendere in strada e manifestare, contestare il governo e le sue scelte politiche o economiche. L’avrebbero dovuta introdurre i deputati del Legislative Council della City, la «National security legislation», perché il principio della sicurezza nazionale è previsto nella «Basic Law», la sua costituzione speciale. Ma la disposizione attuativa non è mai stata votata, per l’opposizione popolare: 500 mila in piazza nel 2003 quando ci fu un tentativo di metterla all’ordine del giorno. E anche ora, pur essendo in netta minoranza rispetto ai deputati filo-Pechino, il fronte democratico presente nell’Assemblea legislativa di Hong Kong darebbe battaglia, farebbe almeno ostruzionismo. L’anno scorso la meno dirompente legge sull’estradizione aveva acceso la miccia della ribellione. Bisognerà vedere se ora l’opposizione di Hong Kong avrà la forza di uscire dal letargo virale: l’occasione potrebbe essere il 4 giugno, anniversario della repressione sanguinosa di Tienanmen. Hong Kong è l’unica città cinese dove la gente si riunisce in pubblico per ricordare le vittime: quest’anno la Legge sulla sicurezza nazionale minaccia una battaglia. Perché Xi ha ordinato questa accelerazione dirompente? Il Congresso normalmente vive il momento di massimo (se non unico) interesse nell’annuncio dell’obiettivo di crescita. Quest’anno, con la devastazione causata dal coronavirus, i pianificatori di Pechino sembrano incerti, tentati di soprassedere per timore di indicare una previsione di espansione del Pil troppo bassa e deprimente, o troppo alta e irrealizzabile. Riaccendere il fronte Hong Kong potrebbe anche essere un diversivo. Donald Trump ha già reagito minacciando «una forte reazione» americana. O, forse, Xi ha giocato d’anticipo perché a settembre nella City sono in calendario le elezioni per il rinnovo del Legislative Council e i candidati democratici potrebbero rovesciare la situazione, rendendo impossibile l’introduzione della legge cinese.
Massimo Gaggi: "La carta cinese di Donald Trump"
Massimo Gaggi
«Pechino vuole l’elezione di Biden, così continuerà a sfruttare gli Stati Uniti, come ha fatto per decenni». Trump gioca la carta cinese nella campagna elettorale. Niente di strano: l’aveva già fatto nel 2016 accusando Obama (e il suo Segretario di Stato, Hillary Clinton) di aver consentito ai cinesi di stuprare l’America. La violenza verbale di Trump non è una novità e il suo tentativo di spostare l’attenzione degli americani dalla disastrosa gestione della pandemia al pericolo Cina contro il quale ricompattare il suo elettorato era previsto. Ma il 2020 non è il 2016: allora Trump era un candidato, mentre ora è un presidente che alle parole fa spesso seguire atti di governo e che controlla mezzo Parlamento. Dall’altro lato, poi, c’è una Cina molto più imperiale e autocratica di quella del 2016, pronta a demolire gli ultimi brandelli di rispetto per le libertà e i diritti umani ora che le finestre di dialogo con l’Occidente si stanno chiudendo. Quello che sta accadendo a Hong Kong, con la nuova legge sulla sicurezza che considererebbe ogni contestazione un atto sovversivo, dà l’idea di quanto sia pericolosa la piega che stanno prendendo le relazioni della Cina con gli Stati Uniti e, probabilmente, anche con i suoi alleati. Trump è all’offensiva, ma la demolizione di un sistema di interdipendenze economiche, culturali e sociali che sembrava una polizza assicurativa contro nuovi conflitti, va molto al di là delle manovre elettorali e delle intenzioni del partito repubblicano: i sondaggi dicono che i sentimenti anticinesi stanno crescendo in tutti gli Stati Uniti. E mentre Biden, che già a febbraio attaccava la Cina sul virus, quando Trump ancora lodava Xi Jinping, non si farà incastrare nel ruolo di amico di Pechino e sarà duro sulle violazioni cinesi dei diritti umani, il Senato ha appena votato all’unanimità una legge che potrebbe portare all’espulsione dalla Borsa Usa delle tante imprese cinesi, da Alibaba a Baidu, che rifiutano di sottoporre i loro conti ai controlli di auditing previsti dalla legge Usa. Il divorzio tecnologico sta diventando totale col divieto di vendere a Huawei semiconduttori americani e dei suoi alleati asiatici come Taiwan e Giappone. Il Senato si prepara a votare un’altra legge per sanzioni contro la Cina se restringerà ancora la libertà di Hong Kong e non smantellerà i mercati animali che hanno generato il virus. Evitare una guerra fredda con la Cina diventa sempre più difficile.
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