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Corriere della Sera Rassegna Stampa
29.02.2020 Iran: la storia di un regista perseguitato
Commento di Valerio Cappelli

Testata: Corriere della Sera
Data: 29 febbraio 2020
Pagina: 40
Autore: Valerio Cappelli
Titolo: «Il film del dissidente iraniano scuote il festival di Berlino»

Riprendiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 29/02/2020, a pag. 40, con il titolo "Il film del dissidente iraniano scuote il festival di Berlino" la cronaca di Valerio Cappelli.

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Valerio Cappelli

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Un fotogramma del film

«Prima di tutto, vi esprimo il dispiacere di Mohammad Rasoulof per non poter essere qui con noi. È la prima volta che porta un suo film alla Beriinale, ma le autorità iraniane nel 2017 gli hanno confiscato il passaporto, col divieto di lasciare il Paese e di lavorare», racconta il produttore Kaveh Farnam. L'ultimo in gara è uno dei favoriti all'Orso d'oro che si assegna stasera. There is no evil riunisce quattro storie diverse sul tema di regimi dove c'è la pena di morte, una misura che, scrive il regista nelle note del film, «ha bisogno di gente che uccida altra gente. Qui quattro uomini sono messi di fronte a una scelta inconcepibile e semplice, che li corroderà dentro con conseguenze dirette o indirette sulle loro relazioni e vite». Rasoulof, 48 anni, in passato fu rinchiuso in carcere col collega e amico Jafar Panahf. In una intervista via Skype dalla sua casa in Iran, spiega di averlo potuto girare grazie a una astuzia: «Alle autorità abbiamo detto che si trattava di quattro cortometraggi, genere a cui non prestano attenzione. Un regime oppressivo come il nostro ti mette pressione e obbliga a menzogne e ipocrisie. Soltanto nelle scene fuori città, dove mi sentivo più libero, sono stato in grado di essere sul set e di guidare gli attori. Qui c'è una critica più diretta al governo di quanto abbia osato in passato». «Il tuo potere è nel dire no», è la frase cult del film, molto applaudito. Nell'incontro con la stampa, media filogovernativi hanno accusato Rasoulof di «fare propaganda» e di sostenere il falso, perché «non è il soldato di leva a condurre un prigioniero sul luogo dell'esecuzione». «Ma non è un documentario — spiega il produttore — è fiction che racconta in maniera libera e allegorica delle verità». «Il soldato — ha detto Rasoulof — rappresenta la sottomissione e un modo di accettare l'oppressione». Al festival c'è la sedia vuota del regista iraniano perseguitato dal potere. In sala c'è la figlia, Baran, che vive in Germania e fa l'attrice, protagonista dell'episodio in cui un uomo nasconde la paternità alla figlia per salvarla, a causa della scelta come obiettore di coscienza. «Mi sono specchiata in questo ruolo», dice Baran, elegante con il suo cappello a falde larghe al posto del velo. C'è Bella Ciao nella colonna sonora, cantata in italiano ma con parole diverse, l'ultima strofa, rivolta alle donne, dice: «Verrà un giorno che tutte quante lavoreremo in libertà». «Bella Ciao è molto popolare, era l'inno della gioventù nelle strade di Teheran durante le rivolte contro il governo».

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