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La Stampa Rassegna Stampa
29.01.2020 Reazione scomposta di Hamas e Abu Mazen al piano di Trump
Commento di Giordano Stabile

Testata: La Stampa
Data: 29 gennaio 2020
Pagina: 9
Autore: Giordano Stabile
Titolo: «Fronte comune Hamas-Abu Mazen: 'I nostri diritti non sono in vendita'»
Riprendiamo dalla STAMPA di oggi, 29/01/2020, a pag.9, con il titolo "Fronte comune Hamas-Abu Mazen: 'I nostri diritti non sono in vendita'", la cronaca di Giordano Stabile.

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Giordano Stabile

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Abu Mazen

I palestinesi protestano, si appellano alla Lega araba, mentre il presidente Abu Mazen incoraggia i giovani a scendere nelle strade e a bruciare i ritratti di Donald Trump, dice che «risponderà schiaffo su schiaffo» ed è pronto ad accettare l'aiuto di Hamas. Ieri sera ci sono stati 13 feriti negli scontri in Cisgiordania ma la vera preoccupazione della dirigenza di Ramallah è l'isolamento. Le monarchie del Golfo sono propense ad accettare la proposta americana, anche se spingeranno per modifiche più generose nei confronti della controparte araba. I progetti di sviluppo per 50 miliardi annunciati l'anno scorso in Bahrein, la metà ai Territori, una grossa fetta alla Giordania, sono destinati a scavare altre spaccature nel fronte della «resistenza». Il raiss palestinese è pronto al «martirio sulle mura di Gerusalemme» ma i suoi fratelli arabi sono poco inclini a un nuovo conflitto, che avrebbe come prima conseguenza un colpo di freno all'economia. Soprattutto l'Egitto, che invita le parti a «valutare con attenzione la proposta», e gli Emirati, che elogiano la «seria iniziativa» americana, «un importante passo per arrivare a una pace duratura».
Molto della scommessa di Trump e Benjamin Netanyahu si basa su queste considerazioni e la presenza degli ambasciatori di Bahrein, Emirati e Oman a Washington è un segnale. Pragmatismo contro il richiamo sacro della moschea di Al-Aqsa. Certo già sabato al Cairo i leader arabi si stringeranno attorno ad Abu Mazen e le fazioni palestinesi sono unite come non si vedeva da tempo. A Ramallah il presidente palestinese si è presentato con al fianco rappresentanti di Hamas e della Jihad islamica. Il raiss ha ribattuto a Trump che «Gerusalemme non è in vendita, i nostri diritti non sono in vendita, il tuo piano della cospirazione non passerà» e che «cedere il 30 per cento del nostro territorio è folle». Hamas ha ribadito che «Gerusalemme sarà sempre una terra per i palestinesi» e non è certo sufficiente la concessione del sobborgo di Abu Dis. Stessi toni dall'Hezbollah libanese, contro un piano che «vuole distruggere la Palestina» con la «complicità vergognosa» di alcuni Stati arabi, mentre la Turchia ricorda che «Gerusalemme è la nostra linea rossa».
Più contenuto è il no della Giordania. Il ministro degli Esteri Ayman Safadi sottolinea che la soluzione è «uno Stato palestinese indipendente nei confini del 1967 e con Gerusalemme Est come capitale». E mette in guardia contro «azioni unilaterali di Israele», cioè l'annessione immediata della Valle del Giordano e degli insediamenti. La Giordania «si coordinerà» con gli altri Stati arabi per «una risposta comune». Sabato ci sarà una riunione di emergenza della Lega araba al Cairo. Re Abdullah sembrava essere ammorbidito e due giorni fa aveva dichiarato di «guardare al bicchiere mezzo pieno». Il sovrano hashemita è in una situazione delicata, con il 60 per cento dei suoi cittadini di origine palestinese. Per questo saranno molto importanti i primi passi sulla questione più delicata, l'estensione della sovranità israeliana alla Cisgiordania, anche se l'ambasciatore David Friedman ha già detto che «gli insediamenti potranno essere annessi in ogni momento» e Netanyahu ha annunciato una legge in questo senso già per domenica.
Sono punti critici che creano qualche dubbio persino fra i sauditi. Mohammed bin Salman si è spinto molto avanti nell'appoggio al piano Usa, soprattutto sul fronte economico, ma esita di fronte all'idea di seppellire la prospettiva realistica di uno Stato palestinese. Ieri il ministro degli Esteri Faisal bin Farhan Al Saud ha fatto riferimento al Piano saudita, molto più generoso. Un segno di raffreddamento è il rifiuto di consentire l'ingresso nel Regno a cittadini israeliani, anche musulmani, dopo che Israele aveva dato il consenso ai viaggi per i pellegrinaggi. L'altro timore saudita è il ritiro dagli accordi di Oslo paventato da Abu Mazen e il suo braccio destro Saeb Ekerat. È una minaccia implicita di mettere termine alla collaborazione con le forze di sicurezza israeliana, il che ha impedito l'esplodere di una Terza intifada negli ultimi quindici anni. Ma ora il raiss potrebbe cambiare idea, anche se ostile per indole all'uso della violenza.

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