La politica del peggio in versione palestinese
Commento di Michelle Mazel
(Traduzione di Yehudit Weisz)
https://www.jforum.fr/politique-du-pire-version-palestinienne.html
Questo è il titolo che campeggia su Le Monde del 23 giugno : ”Alla vigilia della conferenza economica prevista il 25 e il 26 giugno a Manama, in Bahrein, la Casa Bianca ha svelato, sabato 22 giugno, il piano di sviluppo economico dei territori palestinesi occupati”.
Il quotidiano esprime le più grandi riserve sulle possibilità di successo di questo progetto, presentato come la componente economica dell’ “affare del secolo” che dovrebbe, secondo il Presidente Trump, porre fine al conflitto israelo-palestinese.
Si noterà per inciso, che parlando di “territori occupati”, Le Monde omette il fatto che il progetto riguarda anche la Striscia di Gaza, che non è occupata, visto che Israele si è ritirato totalmente da quasi quindici anni.
Tuttavia, si può ben capire il pessimismo del grande giornale, date le reazioni ufficiali al quartier generale dell'Autorità palestinese. " Non vogliamo i tuoi 50 miliardi di dollari" intonano in coro i leader palestinesi, “..."Miglioramento delle condizioni di vita della popolazione? Approvvigionamento idrico, elettrificazione rurale, strade, ospedali, scuole, industrie, posti di lavoro? E’ fuori discussione. Noi non siamo in vendita". Dobbiamo accogliere con favore questo nobile sentimento e non essere tentati da commenti del tipo: “Sì, ma i leader, loro, sono al sicuro: vivono in ville lussuose o appartamenti di lusso e viaggiano in Mercedes, i loro figli frequentano università all'estero, e alcuni di loro in seguito, vi si sono stabiliti; sono curati nei migliori ospedali di Israele e Stati Uniti ”.
Ovviamente questa vita sontuosa è a scapito degli investimenti nelle infrastrutture vitali del Paese, ma dobbiamo premiare i leader per la loro coraggiosa opposizione a qualsiasi soluzione del conflitto.
Tuttavia, cosa si intende per "Noi non siamo in vendita” che suona così bene? Anche leggendo con una lente d’ingrandimento il programma che verrà presentato all'incontro di Manama questa settimana, non troviamo alcuna violazione ai “diritti legittimi dei palestinesi” così spesso menzionati dai media.
A meno che ... c’è questa piccola frase nell'articolo de Le Monde: “Questi fondi sarebbero gestiti da una banca internazionale di sviluppo e non dalle Autorità palestinesi, che Washington considera apertamente inefficienti e corrotte”.
Il quotidiano avrebbe guadagnato in correttezza se avesse aggiunto che Washington non era l'unico a dare questo giudizio ampiamente condiviso nel mondo arabo.
Si dovrebbe quindi credere che se le autorità palestinesi fossero state incaricate di dispensare la manna a loro discrezione, avrebbero potuto esaminare le proposte con più gentilezza?
Dovremmo, al contrario, cercare un'altra spiegazione per il loro rifiuto ostinato? La perpetuazione del conflitto è la loro ragion d'essere, il loro biglietto da visita nel mondo arabo e sulla scena internazionale.
O il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione, nuovi posti di lavoro, opportunità - tutto questo non rischierebbe di distogliere i palestinesi dalla loro politica del rifiuto e di incoraggiarli ad accettare un compromesso ragionevole che potrebbe soddisfare le loro aspirazioni senza mettere a repentaglio la sicurezza di Israele?
Michelle Mazel scrittrice israeliana nata in Francia. Ha vissuto otto anni al Cairo quando il marito era Ambasciatore d’Israele in Egitto. Profonda conoscitrice del Medio Oriente, ha scritto “La Prostituée de Jericho”, “Le Kabyle de Jérusalem” non ancora tradotti in italiano. E' in uscita il nuovo volume della trilogia/spionaggio: “Le Cheikh de Hébron".